Belisario cavalca di Concetto Pettinato

Belisario cavalca floma nel madioero Belisario cavalca All'Italia laica la vera delusione la infliggerà l'arrivo dei Bizantini. Di lontano, dopo la parentesi gotica, lo scettro di Giustiniano sembrava promettere al popolo della penisola la restaurazione dell'ordine politico, amministrativo e sociale consacrato dalla tradizione, il ritorno a quell'unità del sistema imperiale che per l'uomo civile del VI secolo, non ancora iniziato al concetto di nazione, era qualcosa di almeno altrettanto necessario quanto le tre dimensioni dello spazio euclideo. Il sogno gotico di un reame d'Italia non aveva mai entusiasmato una gente incline a vedere in esso più che altro una deminutio capitis, un insulto all'universalità di Roma, una specie di degradazione della capitale a provincia. Agli occhi dei contemporanei di Boezio la figura del Re nazionale si presentava irresistibilmente sotto la specie di un Giugurta, di un Nicomede, di un Tigranc, di un Erode, di un qualunque filopatore marnante scalzo e scarmigliato dietro il cocchio dell'immancabile generale romano trionfante. Il prestigio accordato al personaggio era paragonabile a quello goduto oggi sulla scala dei valori internazionali da un sultano del Marocco o da un maragià di Indore. Il concetto della grande monarchia nazionale è un concetto moderno, che solo molti secoli di irreparabile e clamoroso discredito dell'idea imperiale riusciranno ad accreditare, almeno in Italia. Darsi a Giustiniano non significava pertanto pei Romani darsi a un padrone, e tanto meno a un padrone straniero : significava rientrare nel circolo mondiale, riprendere il proprio posto nel gioco delle forze che reggono l'orbe civile. Di qui la delusione sofferta. La folata d'ossigeno giunta sulle rive del Tevere nelle pieghe dei vessilli di Belisario fa presto a consumarsi tra le vampe di vent'anni di guerre. La politica di Giustiniano è la solita politica degli imperi vasti e deboli, attaccati contemporaneamente su troppi punti per non vedersi ridotti a vincere su un punto solo per volta cioè a fare del proprio sforzo militare una vana'tela di Penelope. Dal 536 al 540 l'Italia non ha più occhi se non pel casco piumato e pel roano dalla stella in fronte che dai giardini della Domus pinciana, residenza romana del generalissimo, alle paludi di Ravenna trascorrono invincibili sulle calcagna dei Goti : ma in quegli occhi la gratitudine non tarda ad ecclissarsi. La conquista bizantina si rivela un lusso rovinoso. La pace di Teodorico aveva risanata Roma : la guerra di Belisario la copre di ferite che metteranno secoli a rimarginare. La prima brutta sorpresa riserbata ai Romani dall'assedio che nel 537 aduna sotto le loro mura lo sterminato campo di centocinquanta mila Goti con carri, masserizie, macchine di guerra, parchi di cavalleria e armenti che sanno di vello e di sterco lontano tre miglia è il taglio degli acquedotti. Seccati i mascheroni e le cannelle, orgoglio di Roma, le regioni orientali, dalla Celemontana all'Alta Semita, si spopolano del tutto per riversare i loro abitanti nei quartieri bassi, là dove il flutto fangoso del fiume permette almeno di mettere ancora al fuoco una minestra e dove emigrano l'un dopo l'altro i mulini che sul Gianicolo non girano più. La città dalle acque innumerevoli non ha più fontane ne terme : i Romani hanno finito di lavarsi. Chi provi a raffigurarsi l'inglese moderno senza il tub, non negherà l'importanza di questa data nella storia della civiltà latina. E' il primo segno tangibile della decadenza imperiale. Non sarà l'ultimo, ahimè. La fame, la miseria, le epidemie gli succedono. La stessa difesa di diciotto chilometri di mura con poche migliaia di fanti e di caballarii è quotidiana occasione di agguati che solo la vecchia pratica militare bizantina riesce a parare. 11 21 di marzo un colpo di mano di Vitige contro il Mausoleo di Adriano non vien respinto se non precipitando a pezzi sugli assalitori dall'alto della rotonda le statue di marmo, non esclusi i colossi di Adriano e di Antonino, che sino a quel giorno ne han fatto una delle meraviglie del mondo. Quando, dopo un anno di lotta e di stenti, scoppiano le prime proteste dei Romani, esasperati dal veder Roma ridotta a un immenso cimitero — il solo assalto del marzo ha stesi al suolo trenta mila Goti — Belisario non trova miglior modo per cavarsi d'impiccio, dell'evacuare, spinte o sponte, il grosso della popolazione. A soli pochi anni dalle feste e dalle gale di Teodorico, la presenza dei Greci si traduce già in uno sbandamento generale, in miserande risse intestine, nella fine del Senato, in nuove beghe intorno al soglio pontificio. Fra tanta confusione, il filo conduttore della sventata politica italiana del 536 è bcll'c smarrito. Vinta contro Vitige, la guerra riavvampcrà fra non molto contro Totila. Belisario cavalca. dall'Eufrate al Tevere, coprendosi di gloria ufficiale, ma quaranta giorni di sacco sprofondano ancora una volta l'Urbe nella desolazione. Un terzo delle- mura rase al suolo, templi e chiese depredati, domicilii violati, ricchezze disperse : ecco il bilancio del tradimento degli Isaurici che consente ai Goti di rientrare in città senza combattere da Porta Salaria poche notti prima del Natale del 546. Giacchè la famosa riorganizzazione militare bizantina, coi suoi bucellarii e soprattutto coi suoi federati, produce effetto più che non effetti. ltgTgBscvatplgoUraznrvpdMtnlrtlpgbè L'esercito di Giustiniano è la solita giubba d'Arlecchino che ha già con dotto Roma al disastro. Greci, Traci, Isaurici, Pisidi, Mauritani, Unni alimentano fra le truppe incomprensione e discordia, mentre fra i capitani lo spagnolo Peiano cerca di farla al trace Barbatane, il persiano Artasira insidia l'erulo Filemuzio, il greco Bessa rivaleggia con l'isaurico Termuto e tutti insieme subiscono la gelosia e i malumori di un lontano Basileus il cui ideale starebbe nel destituirli in massa al termine di ogni campagna. I Goti, ad onta di tutto, verranno cacciati un'altra volta. Ma anche questa seconda vittoria bizantina resterà vana. Roma è appena ripresa, che Giustiniano richiama Belisario : e sulle orme del vecchio guerriero, la cui fortuna comincia ad oscurarsi, ecco ricomparire Totila. Un'altra campagna e un altro generale saranno necessari per stabilire, almeno apparentemente, la dominazione greca in Italia : solo Narsete, nel 554, potrà vantarsi di avere coronata l'opera. Senonchè, anche la vittoria dell'eunuco è una vittoria per modo di dire. I suoi frutti non durano più di tre lustri, e nel 569 Milano, capitale dell'antica prefettura d'Italia, apre le porte ad Alboino. I duecent'anni del dominio titolare di Bisanzio sulla penisola saranno in realtà duecent'anni di effettivo, ancorché contrastato, dominio longobardico ! Questo i Romani non lo avevano previsto. Dimentichi della dura esperienza del V secolo, essi non si sono resi conto che l'Impero d'Oriente, oggetto dell'ingenua fiducia d'una generazione allevata nell'odio dei Goti, ha ereditati, e forse aggravati, i vizi costituzionali dell'Impero d'Occidente. Primi, i vizi militari. Il problema della stabilità del comando si è fatto, col crescente snazionalizzarsi dell'esercito, più insolubile che mai. Tenuti in perpetua diffidenza dai rapporti dei loro agenti segreti, gli Imperatori perdonano ormai più volentieri ai propri generali una sconfitta che non una vittoria. Se Stilicone è finito sotto la' scure di Onorio il giorno che le sue virtù militari n'ebbero fatto il salvatore dell'Impero, Belisario e Narsete finiscono, anch'essi per aver troppo vinto, sotto il peso dei sospetti di Giustiniano e di Teodora. Nessuno, certo, che non sia totalmente immemore di quanto han fatto un Arbo'gasto, un Riamerò oserebbe condannare a priori gli eccessi della prudenza imperiale. Sono gli inconvenienti del sistema, quelli medesimi che un giorno consiglieranno ai Veneziani di abbattere un Carmagnola e detterai! no al Machiavelli il capitolo XII del Principe. Ma qùal sorta di capi è dato procurarsi alla scuola dell'in gratitudine? Altro problema sempre più grave, e al quale i Romani non avevano pensato, è quello degli effettivi, i" cui esaurimento precipita irrimediabile. Nel 405 Stilicone poteva ancora mettere in linea trentamila uomini per far la guerra a Radagasio ; i Bi zantini, nel loro momento migliore, disporranno in tutto di centoventimila armati, dei quali il solo Oriente accaparra una settantina di migliaia Sostenere con forze avaramente misurate i colpi di assalitori inesauri bili dispersi attraverso tre continenti non è facile. Bisanzio si abitua prc sto a regnare sulla carta ia storia dei mille anni dell'Ini-pero d'Oriente fa già pensare ai villaggi del russo Potiomkinc durante le ispezioni di Caterina II. L'insensibilità e l'ipocrisia diventano le caratteristiche del regime. Purché si salvino i. centri amministrativi essenziali e la facciata dell'edificio rimanga in piedi, il resto non conta. Purché nelle pubbliche cerimonie la serie dei dignitari appaia completa e i corniti, i magistri, i patrizi, gli spatarii, i vicarii di diocesi, gli csarchi, gli strateghi inscritti sull'organico della grande macchina amministrativa figurino tutti al loro posto, il bizantino medio del VII e dell'VIII secolo, occupato ad azzuffarsi sulle panche del Sinodo e sui gradini dell'Ippodromo, nell'ignoranza di quanto accade a un tiro d'arco dai moli di Crisokeras, non tiene a sapere quanti di loro non rappresentino più se non un nome e uno stipendio. Si paghino pure al bollente Agilulfo trecento libbre d'oro all'anno, se in compenso giura di non far la guerra all'Esarca : non è forse il metodo che ha servito a meraviglia coi Bulgari, con gli Armeni, con dieci altri popoli dell'Oriente? Il prestigio universale del nomisma, non inferiore a quello che nel secolo XIX godrà la sterlina, asseconda questa politica suntuaria. 1 barbari piegano volentieri il ginocchio davanti all'effigie dcll'Autocrator, a condizione che essa venga loro incontro in molti esemplari nel conio di monete di buona lega. L'idea di pagar tributo ai propri vassalli affinchè continuino a riconoscersi tali può sembrare speciosa, quale principio di governo : non altrimenti sarebbe oggi se l'Inghilterra versasse ai Dominions un certo numero di milioni l'anno per avere il diritto di seguitare a chiamarli Dominions. Malatrassi" bizantina, materiata di pcs--.«imismo orientale e cristiano, nonraccomanda la ricerca della $o™per la gloria bensì le transazioni van-taggiose, gli accomodamenti che con-sentano di tirare innanzi. Agli Italiani, purtroppo, non sonoconcessi nemmeno quelli. Per loroche non stanno sul Bosforo e nonvivono di apparenze, quale brutto ri-•sveglio tengono in serbo le illusioni della guerra vinta ! 1 reggimenti dai pennacchi di colore hanno appena finito di manovrare attraverso la penisola, che del pot:re imperiale non vi rimane già più se non il fantasma. Nel 572, tre anni dopo Milano, l'Impero perde Pavia, di cui : Longobardi fanno la loro capitale : e da questo momento il nuovo invasore non cesserà di incombere e minacciare dalla Pentapoli al Lazio come l'avvoltoio sull'ovile. Altro che Goti ! I Goti tendevano all'unità nel solco di Roma : i Longobardi, istruiti forse dall'esperienza dei primi, tendono al particolarismo negatore di Roma. Pretendono legiferare, ma il diritto romano, .che pure Giustimano ha ormai codificato, è per essi lettera morta. I loro Re si appiccicano, a imitazione di Teodorico, il nome di Flavio : ma conoscono almeno il senso dell'aggettivo? E' con Autari, con Agilulfo, con Rotari, con Liutprando che, ufficialmente greca, ufficiosamente barbara, praticamente anarchica, l'Italia cesserà veramente d'essere romana. Ridotta adfdrpnlalucnmmvpclunA a una popolazione di quattro milioni d'anime, desolata dalle soldatesche f smZarr^ra da^cfci^lPdalle requisizioni militari, Yalma parais frugum diventa un immenso pantano selvoso. I campi, abbandonati, non valgono più nulla. I vilaggi, deserti, si mutano in tane da upi e da cinghiali. Vac'victis! Uni- mcsoza alleata dei vinti, la malaria, che;sinel 538, mezzo secolo avanti la pn ma peste, ha messi in fuga i Goti iliOmontala guardia alle porte dell'Urbe' DmSedai fondo del suo mausoleo ra- dvennate, potesse assistere allo scem- ;s10 di questa Italia che non lo ha pio ai questa nana clic non lo na|panno e non ha voluto saperne di inui, Teodonco griderebbe forse che jUnon aveva invocata dal Dio degli , limsfAriani una vendetta cosi dura. Concetto Pettinato