Squadre straniere in Italia di Luigi Cavallero

Squadre straniere in Italia Squadre straniere in Italia Dieci anni fa ed ora — Le che non appassionano più cause del declino delle unità « danubiane » - Confronti le nostre folle 1 « calciatori erranti » in cerca di ingaggi Dieci anni fa erano ancora i maestri. Venivano, a fine d'anno, ad offrirci lo spettacolo del loro bel giuoco e la dimostrazione della loro forza. Calavano, d'oltre alpe, gli squadroni d'Austria e di Cecoslovacchia, d'Ungheria e di Germania. Squadroni dal nome altosonante: Rapid e Wiener, Sparta e Slavla, Ferencvaros ed Ujpest, Hungarla e Admira. Squadroni che annoveravano nelle loro file campioni famosi. Le società nostre dovevano pagare grosse cifre per impegnarli a venire, ma erano sicure di guadagnare poi parecchio, perchè c'era il « tutto esaurito » per vedere all'opera i più celebrati calciatori del mondo. Tutto cooperava alla « montatura > dell'avvenimento. La pubblicità stradale cosi vistosa che i manifesti campeggiavano giganteschi sulle cantonate; gli articoli dei giornali che ospitavano elogi insuperabili agli ospiti. Leggevano gli sportivi: « ...al centro della mediana sarà il grande, insuperabile, magnifico Kada. A quest'atleta prodigioso, a questo calciatore d'eccezione basta un sol polmone per essere un dominatore ineguagliabile in campo. Innumerevoli volte internazionale, il biondo centro sostegno... ». E questo era il tono anche per gli altri. Cam pioni, erano. Fenomeni. Giocavano bene effettivamente. Noi discutevamo della nostra foga e della loro tecnica, ma in campo dovevamo, Il più delle volte, riconoscere ch'essi erano ancora i temuti maestri. Gli è che essi già possedevano quello che a noi mancava ancora: il gioco di squadra, l'armonia dell'azione nei reparti. Ci riusciva talvolta di sorprenderli e di batterli con il nostro brio, la nostra velocità, le nostre improvvisazioni. Ma erano casi rari. Per lo più vincevano, e con punteggi netti, anche, tanto che noi ne discutevamo poi per dedurne i motivi della loro incontestabile superiorità. Venivano sicuri di non sfigurare. Ci mostravano un giuoco diverso, ed a noi pareva che non saremmo riusciti mai a superarli. Per reggere l) confronto le squadre nostre prelevavano rinforzi da altre società. E, quando ciò non bastava, univamo ancor più le forze, magari poi con il risultato di mettere insieme degli « undici » nei quali il giuo'co di squadra era addirittura un mito. Formavamo, certo lo ricordate, le squadre miste e le rappresentative, ma i « danubiani » vincevano lo stesso. Tuttavia il pubblico andava con entusiasmo allo spettacolo di eccezione ed una volta che il Torino volle fare un grosso regalo ai suoi fedeli offri loro, sul vecchio — ma quanto caro! — campo di corso Sebastopoli, un confronto Rapld-Wiener che restò famoso. C'era una coppa in palio e ci voleva un vincitore per assegnarla, ma al termine dei novanta minuti le due squadre erano ancora zero a zero. L'arbitro ordinò allora 1 tempi supplementari e la folla, tutta presa dalla i. o o, e rna, e o oe ac » l > amaaga e, ine n o. il to m oi a o, si è a ati. di ea o, he i euo, u l) anor l » dto pendi no enohe io a, le o. pa bellezza della lotta, avrebbe voluto che la gara continuasse chi sa per quanto tempo ancora. Cosi strillava allorché a qualche attaccante si offriva un'occasione per segnare e applaudiva entusiasta ad ogni pericolo sventato. Nel terzo tempo, dai e picchia, tira e para, venne un goal con definitiva proclamazione del vincente. Le partite di fine d'anno si ricordavano per un pezzo. Ed i campioni d'oltr'alpe erano popolarissimi in Italia. I ragazzini che giuncavano sulle piazze e nei prati... si pavoneggiavano' « Io sono Janda! t> e chiudevano un occhio per scimlottare il tarchiato e pelato calciatore ceco. ■ Ed io Kada *. « Ed io Popovich... ». Sognavano di divenire un giorno altrettanto famosi come i loro idoli, gente che, poi, al loro paese, non erano dèi ma facevano il tranviere, come Kreutzer, o gli operai, o gli impiegati. E non sapevano, quei ragazzini, che dalle loro schiere sarebbero sortiti i futuri campioni del mondo. Fu la crisi a rovinare gli squadroni della « Mittropa ». I giocatori più bravi emigrarono: molti vennero in Italia, ed altri andarono in Spagna ed in Germania, in Francia ed in Svizzera. Le società, perduti gli « assi », incassarono meno, e sui proventi si scagliò vorace il Fisco. Fu il fallimento. Clubs che parevano fortissimi andarono in malora. Sorse il grande interrogativo: professionismo o dilettantismo. La scissione delle forze peggiorò ancora la situazione. E furono pochi 1 giovani di valore che sorsero a sostituire gli anziani che abbandonavano lo sport non redditizio per guadagnarsi la vita con un mestiere. Accadde in Austria, in Ungheria, in Cecoslovacchia, proprio il contrario di quanto si verificò da noi. Il mondo è fatto a scale, nevvero? Quando fummo finalmente sui più alti gradini, ci accorgemmo che i maestri erano discesi assai in basso. Rinunciammo alle loro visite di fine d'anno. Il pubblico non le gradiva più e le società preferirono concedere qualche giorno di riposo ai loro giuocatori anche se le offerte che gli ex-maestri avanzavano erano fatte su cifre da... non temere concorrenza. Per parecchi anni non s'è parlato più di calate in massa di squadre straniere. Avremmo ospitato volentieri unità spagnole, ma avevano pretese troppo alte. Gli Inglesi, lo provammo, venivano per compiere un bel viaggio e non già per giuncare, se a Milano c; mandarono in campo il famoso Gallacher incapace a reggersi in piedi per la « sbornia » presa la sera prima. Non ci interessavano neppure svizzeri e tedeschi, francesi e belgi. Degli altri s'è detto il perchè non ne volevamo sa pere più. E' stato il Campionato del mondo a far rinascere il desiderio di nuovi con e . o l , i l i i d e o fronti. Li abbiamo tentati nei giorni scorsi. Son scesi dai vagoni di terza classe gruppi di calciatori dell'Europa centrale. Sono venuti per pochi biglietti da mille, imponendosi delle privazioni, pur di risparmiare e di trarre profitto da queste tournées. Economi, rinunciano ai facchini, ai tassi, agli alberghi di lusso. Quando scendono in campo, le maglie ricordano appena i colori d'origine. Giuocano. Perdono, quasi sempre. Cercano di mostrare dello stile. Non ci riescono che con le nostre squadre di prima divisione. Quando la va bene, poi. Non si trovano più di fronte rappresentative o squadre miste, ma, all'infuori di poche unità della nostra massima categoria, squadre di Serie B, squadre di giovani, squadre... riserve, come suol fare la Fiorentina. I risultati non sono buoni lo stesso. Hanno ancora fortuna in Francia, questi nostri maestri d'un tempo. Parigi è per essi il mercato che si può sfruttare, la piazza che rende. In Italia, invece, le toccano sode, ed incassano poco. Una cosa che non va per chi fa, di mestiere, il calciatore errante. E' 11 caso di dire: «...tempi beati che non tornan più! ». Luigi Cavallero

Persone citate: Janda, Popovich