Ghardaia emporio del Sahara di Riccardo Forte

Ghardaia emporio del Sahara VIAGGIO 1IN ALGERIA Ghardaia emporio del Sahara Tutta la vita indìgena si svolge come nel passato : l'unica diversità sostanziale è che il « caid » a cui gli indigeni obbediscono è nominato dalla Francia (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) GHARDAIA, dicembre. J3?comi a Ghardaia, uno dei luoghi più curiosi del mondo. Sono cinque grandi città indigene, distanti solo tre o quattro chilometri Vuna dall'altra, che sorgono in -pieno Sahara, come una presenza fantastica, con un numero d'abitanti immenso — cinquantamila — dopo parecchie centinaia di chilometri di una landa desolata e senza un filo d'erba, come si suol dire {veramente, qualche filo d'erba c'è; se no, di che cosa vivrebbero i cammelli? c'è un Dio anche per il Sahara) e danno albergo alla famiglia dei Mosabiti. Come ai tempi di Abramo Forte, intelligente e scaltra gente questa dello M'Zab! Tutti commercianti per vocazione irresistìbile, dalla più tenera età vanno a far fortuna nei centri costieri del nord e, ammassato il denaro, tornano nella Penta-poli ancora uguale a quella che era ai tempi di Abramo — salvo il telegrafo. Qui, in mezzo al deserto, con cinquantadue gradi di calore all'ombra l'estate, e trentotto di notte, fra il pauroso mare di terra rossiccia e cancrenosa che si stende intorno alle cinque città come un lenzuolo macabro, trovano un soggiorno più lieto e più soave, col suo sudiciume vecchio di millenni (l'Islam ne sent pas bon, dicono i Francesi) di quello che potrebbero offrire Algeri o qualunque città del nostro continente, di cui non sentono punta curiosità. Oggi sono venuto, da, Ghardaia propriamente detta, ih quella delle cinque città che è chiamata la santa, la città di Beni-Sgem. Qui noi gomèm, ovvero Europei (« uomini che hanno dell'acqua », dice esattamente la parola) possiamo entrare ma non possiamo ne edificare, nè commerciare, nè sopra tutto insegnare. La scuola franco-araba ha dovuto essere costruita sul limitare della città, a venti metri dalle prime case, perchè il marabutto locale possa dire che non è a Beni-Sgem e la tradizione sia salva. Eravamo, la mia guida e io, nella piccola piazza del mercato, brulicante di cammelli, di vecchi Arabi dal gran manto sdrucito, di mendicanti alti, grandi e nobili come Belisari, quando un ometto dalla pelle un po' più scura di quella dei suoi congeneri è giunto, a cavallo d'un somaro, e preceduto da. un ragazzetto che gli apriva la strada. Un silenzio generale s'è fatto nella piazza. I Belisari, facendosi grandi segni e alzando le braccia come se fosse venuto il Messia, si sono schierati intorno al personaggio e dopo un momento di attesa una roca tromba ha squillato. Allora l'uomo ha incominciato a recitare in arabo qualche cosa di jnisterioso che gli altri udivano con profondo e raccolto interesse. Quando egli ha finito di declamare, dal petto delta folla è sorto un grande « Ah! » che diceva meraviglia e sdegno; i commenti sono ripresi più animati di prima e nella piazza è ricominciato il baccano. Non era che un banditore pubblico. Aveva annunziato l'arrivo, avvenuto poche ore prima, d'un ladro pericoloso: un ladro internazionale, dei paesi sahariani, un Sudanese, credo, giunto chissà in che modo, con chissà quale carovana, e il banditore ha comunicato l'avvertimento del caid, il capo supremo di Ghardaia: non accostate domani, al mercato, questo personaggio: e lì i connotati. Si sarebbe presentato come voglioso di fare delle compere, avrebbe proposto contratti vantaggiosi sui cereali, sui cammelli commestibili, sui montoni e sulle piante aromatiche: che tutti stessero in guardia! quell'uomo era assai pericoloso! Ho raccontato alla padrona dell'albergo l'incidente. Ghardaia, pei i ventotto Europei che vi abitano, e come un convento, c poiché non vi accade mai nulla, ogni più lieve fatterello vi assume le proporzioni di un avvenimento. La signora si è interessata infatti molto al racconto. Ma quello che più ha stupito me, fi la rapidità con cui una notizia si è trasmessa in poche ore a tutta la Pentacoli. Senza giornali, senza radio, senza telefono, i cinquantamila abitanti di Ghardaia sono stati im¬ mediatamente avvertiti dell'arriva d'un pericoloso truffatore, le misure di sicurezza prese; tutti stanno all'erta, meglio, assai meglio di quanto avrebbe potuto fare qualunque servizio di polizia. Questo insignificante episodio mi dà come l'impressione tangibile della continuità, della compattezza, dell'inattaccabilità della vita indigena, che si svolge qui assolutamente come nel più remoto passato, con la stessa organizzazione .patriarcale che ha sfidato i secoli, con pochissime carte. Un piccolo scrivano accoccolato nel sottoscala della bella casa del caid, dove anch'io sono andato a- fare la mia riverenza europea, che è stala accolta freddamente e con non dissimulata alterigia, tien luogo di ogni sorta dì burocrazia. Nel grossolano registro untuoso, ma ordinato e ben tenuto, un registro identico a quello che s'usava mille anni fa, sono menzionati i matrimoni, le nascite, le morti, i contratti dì vendita e d'appalto, sono riassunte le principali ordinanze del caid in materia economica e amministrativa. Nel sottoscala è un viavai di gente che viene a chiedere un permesso, a denunciare un abuso, e sopra tutto mette al corrente il capo degli avvenimenti della propria famiglia ogni volta che per la loro importanza meritino di essere conosciuti dalla comunità. Questa vita si svolge in margine all'autorità francese. Nulla è cambiato dopo l'occupazione, che data già da chiquant'anni. Ventotto europei che possono su cinquantamila abitanti, che conservano intatta la loro organizzazione, le istituzioni, i riti, i regolamenti, fino al divieto per i Francesi di fare questa o quella cesa? L'unica diversità — indubbiamente sostanziale — dal passato è che il caid a cui gl'indigeni obbediscono è nominato dalla Francia e grato a questa. Obbedienza passiva, la loro: se il caid è nominato dalla Francia, che caid è? Ma è lì, si rende a lui l'omaggio che si vorrebbe rendere ad. altri; è sempre un caid. La mentalità berbera di questi Mosabili è ancora più primitiva, benché non meno profonda, di quella degli Arabi. Se li interrogate sulle loro disposizioni di obbedienza o meno riguardo a questa fittizia autorità civile, rispondono con una sottomessa ironia, che vela appena l'ossequio obbligato e almeno apparentemente leale. Popolo la cui civiltà è stata appena sfiorata dall'invasore arabo (e non parliamo di quello europeo) e la cui esperienza politica radica in un passato che non conosce i limiti della nostra storia, si domandano appena se l'origine di questa autorità sia più o meno legittima dal punto di vista coranico e accettano con filosofia le sue imposizioni. Azione vigile, ma distante Nei tre giorni che ho passato a Ghardaia non ho visto un ufficiale francese, un semplice soldato nelle strade della Pentapoli. Il comando si esercita distantemente, invisibilmente. Ho sentito, invece, parlar molto, e ad ogni proposito, del bordj, del palazzo del presidio che s'erge su uno di quei denti di sega che fa da collina in questa regione stepposa.'Ho sentito lamentare lo spirito bucrocratico dì certi ufficiali, invidiare e deplorare i loro magnifici stipendi, che li convertirebbero in usufruttuari di una colossale rendita temporanea e indurrebbero molti di essi a passare col minor numero possibile di histoires i tre anni, i brevi tre anni del loro regno sahariano, e a ritornar nella metropoli con un buon gruzzolo il giorno de! richiamo; ho sentito parlar di paperasses, di piccole formalità, di piccole noie, come in ogni sottoprefettura europea; ho sentito menzionare vuoi il giudice, vuoi l'ufficiale di stato civile, vuoi perfino il segretario comunale, che sono tutti militari, cioè pochissimi ufficiali i quali si distribuiscono le cariche amministrative e giudiziarie a loro modo e con copia di incarichi e di attribuzioni come in una piccola provincia francese, accumulando così ciascuno quattro o cinque personalità diverse, per cui per esempio il chef d'annexe, ovvero il capo della giurisdizione militare annessa al comando centrale dei territori del Sud — il quale è un capitano — è nello stes¬ iI\ a e e i , n e a , a o l n e o e a a a i o o e , a e . a e à o a i i o a e e o r so tempo giudice, capo della polizia, capo dell'ufficio statistico, e via dicendo, e riceve a questo titolo tre, qua tiro stipendi diversi. Ma tutta questa autorità, che è saggia e moderata, da quanto ho potuto sapere, si esercita di lontano, dall'alto del bordj virtualmente inaccessibile, al di fuori della vita mol-\ leplicc e pullulante di questa Ghar-' daia, forse il più grande centro del Sahara, dalla vastissima popolazione e dai ricchi traffici. Non una guardia francese, non un soldato, non un occhio vigile europeo il giorno della trattazione degli affari, il venerdì, quando la piazza centrale di Ghardaia contiene migliaia di mercanti e di nomadi giunti da tutte le parti del deserto — e alcuni dei quali hanno camminato mesi e mesi a piedi e a dorso di cammello per venire a scambiare in una mattinata festiva, nella grande capitale m'zabita, qualche montone e un dromedario mangereccio, qualche sacco di datteri pesti e fangosi contro qualche metro di ruvida stoffa, qualche paio di sandali e una provvista di pane per alcuni mesi. Tutta la vita indigena procede come nel passato, come sr la Francia non fosse venuta mai a collocare i suoi ufficiali carichi di prebende, il suo dispensario e i suoi padri missionari che non fanno conversioni (pressoché impossibili in paese islamico), ma compiono un'opera di bene, di virtù, di carità, offrendo un esempio di vita raccolta, austera, devo'a, apprezzatissimo in questi ; paes> religiosi fino al fanatismo, ej insegnano ai piccoli Mozabiti — raz-i za berbera pura, che considera l'Ara-\ bo come straniero e coinè eretico — a scrivere e a parlar bene l'arabo.: a masticare il francese, a sciacquarsi^ ila bocca e a pulirsi il corpo, a faldi conto. Come si organizza il lealismo L'opera amministrativa francese si svolge così più in estensione e in superficie che in profondità, c in tutI ta la parte meridionale del territo\ rio algerino, come in tutto il Sahara, fino al Niger, la nazione dominatrice si limita ad assicurarsi del lealismo dei capoccia locali, che per maggior prudenza nomina essa stessa fra elementi notoriamente accetti e influenti sulla popolazione, e ai quali permeile (quasi agli occhi di tutti) di effettuare piccole operazioni lucrose attraverso la riscossione delle imposte, sì da lasciar loro un margine di cassa talvolta d'un'ampiezza giudicata spropositata e circa il quale ho sentilo non pochi lamenti nella popolazione indigena e financìle in quella europea; ma che serve ad accontentare l'ambizione e l'avidità di questi clementi infidi, resi così personalmente responsabili del lealismo delle popolazioni e vincolate sopra tutto alla buona condotta di queste da interessi assai pingui benché più o meno legali. Sistèma non molto morale, non è vero?, ma in compenso pratico, pur se, come ho detto.provocu i risentimenti e i brontolìi della massa indigena, abbastanza bene percepibili nonostante la grandissima, proverbiale e lodevole discrezione di questa gente verso gli stranieri. Per sorrisi, per reticenze, per eloquenti silenzi, per monosillabi diffi-\ vilmente strappati si può capire lo' spirito della massa indigena in confronto ai suoi dominatori. L'atteq j giumento della popolazione in tutta] la parte dell'Algeria che ho visitato] fin qui c leale, non solo in apparen• ; za, ma anche in realtà, nei riguardi, della Francia. Non c'è Arabo o Berbero d'Algeria o del Sahara settentrionale che non riconosca i benefit di cui il paese colonizzatore ha dotato un immenso territorio fino a un secolo fa arido e pestilenziale. Ma chi ha praticato gli Arabi mi comprenderà: questo popolo può essere leale e anche devoto, ma non cessa di essere un nemico. I Francesi hanno fatto molte belle cose, ma non per ciò sono meno rumi, meno cristiani. Si può apprezzare la loro opera e continuare a tollerar male una civiltà, una cultura, una ra:za diversa. Gli uomini dell'acqua non sono amati. Riccardo Forte secugcctiinbveMptcctel'Ebvbtuptaèsvpmdclopdtotpmnpucinilfen,1paddplattrsgn,-hpazisc,.!li■ !'a PER LE VIE DELLA CITTA' SANTA

Persone citate: Abramo Forte, Belisari, Citta' Santa

Luoghi citati: Algeri, Algeria, Francia, Niger