Ognuno valga per dieci

Ognuno valga per dieci LA BATTAGLIA ATTORNO AL TRENO Ognuno valga per dieci Da una notte infernale all'alba crepitante di fucileria — Nomi eroici rintracciati tra gli appunti delle ore drammatiche Verso la soluzione , o e » i a . o (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) ADDIS ABEBA', ottobre. Circa la mezzanotte, poco prima, avvisammo che il combattimento era ripreso accanito verso Gli Addàs. Intorno a noi, soltanto poche fucilate, sparate di tempo in tempo, e da una discreta distanza. Poi, quella fucileria misteriosa, vagante lontano, quasi in direzione opposta agli Addàs, cioè per maestro, e in direzione approssimativamente di Addis Abebtl. Ho già accennato di questa fucileria; e ho spiegato che indwbbiamente indicava la marcia contrastata del Capo-manipolo Mantovani, col suo plotone, partito dagli Addàs, cercando venire al nostro soccorso, e avendo già girato intorno al nostro casello, da settentrione, senza riuscire a raggiungerlo, e avendolo oltrepassato, e proseguendo nella notte, alla ventura; finché si ritroverebbe all'alba, sperduto, di là da Duchàm. Ma è deduzione, questa, s controllo a posteriori, quando potremo considerare il complesso dei fatti, e ricostruirne ogni singola particolarità. Parole animatrici Non passava quarto d'ora, che il Generale non tornasse nel suo giro d'ispezione, e venisse a dirci qualche parola buona, di conforto e di animazione. E all'incirca ogni mezz'ora, io m'alzava e andava, per la mia ispezione al mio tratto di linea, a quei dieci metri di fronte che m'erano affidati. Quarti d'ora, mezz'ore, ore interminabili. Stanchi, irritati, lottavamo in silenzio, a grande sforzo, contro l'intorpidimento e l'assideramento. I miei compagni e io stesso, battevamo i denti dal freddo. Dalla sonnolenza, che ci pigliava a tradimento, insinuante e insidiosa, che ci appesantiva le membra, come piombo, e ci annebbiava la mente, irresistibilmente, come per l'effetto di una droga narcotizzante, «tiico diuan'o, e che ci richiamava sussultando alla realtà della nostra situazione, quelle fucilate sperdute, che rinluonavano di tempo in tempo per l'invisibile campagna, intorno, qualche sibilo di pallottola, sulle nostre teste, e lo schianto, quando si schiacciavano contro i muri del casello. E dopo che già s'era taciuta, il riprendere della fucileria, verso Gli Addàs, di tempo in tempo, e qualche scarica di mitragliatrice. Poi silenzio, di nuovo. E senza cessa il flagello della pioggia dirotta. Ma quella notte, ma quella pioggia eran dunque eterne, come notte e pioggia dell'inferno di Dante? Finalmente tra le quattro e le cinque del mattino — martedì, sette luglio, — là pioggia andò scemando d'intensità e di violenza. Ma fradici com'eravamo, che uscir da un bagno al confronto è niente, e i panni addosso che se li avessimo strizzati colerebbero un rio, e l'acqua che proprio c'era penetrata nelle ossa fin al midollo; immollati zuppi fradici, ci aveva preso un freddo assiderante, da colpo d'accidente, con quell'aria anche, che ventava rigida, a ricordarci che eravamo sui millenovecento metri di altitudine, seppure fra tropico ed equatore, dal prominente orlo dell'altipiano etiopico. Tremavamo convulsi, le mani irrigidite nello stringere il moschetto, che at'euamo cercato riparare un po' sotto l'impermeabile o la mantellina; ci raggomitolavamo e sgroppavamo a vicenda; e sì, « ...Mettendo i denti in note di cicogna... ». — nuda, — dissi per dire, alla Camicia Nera accanto a me, — che se mi senti battere i denti, è il freddo, e non mica paura. — Anch'io, Signor Capitano, — mi rispose. Cantano i galli Dopo le cinque, il cielo accennò a rasserenare, a grado a grado. Dalla campagna, involta in una grigia nebbia pioviscolante, da cui emergevano gli alberi alti, gocciatiti, per ogni frasca, da quei villaggi circostanti, dalle zeribe,.dai « tucul », cantarono i galli. Uno cantò dall'interno della nostra cucina. — Questo, oggi, lo mettiamo arrosto. Nelle mie ispezioni, la notte, avevo constatato che nella cucina si era rifugiato qualche pt.llo, tra le legna accatastate, e una botte sfondata, e vasi e pentole ridotti in cocci nel trambusto. Maipesfed in realtà, avevamo altre preoccupazioni, che preparar da mangiare. Eppure tinche questa diventerebbe una preoccupazione: sennonché la tensione nervosa acuta ci teneva ancor su, per adesso, e senza aver riposato un istante senza bere, senza mangiare. E la mia unica sofferenza, aggiunta al freddo, quel freddo istupidente, era non aver da fumare. Cercavo dall'uno dall'altro dei compagni, elemosinando la sigaretta; ma tutti eran rimasti pressoché sprovvisti. Una Guardia di Finanza restò male, perchè gli chiesi autoritariamente: — Non hai sigarette di contrabbando? — Signornò — mi rispose, tra lo stupito e l'offeso. — E che Guardia di Finanza sei? Cumb'ti mestiere. Non capi; e restò mogio. Pensò che forse quell'avventura tremenda, che vivevamo, m'aveva un po' tocco il cervello. Cantarono i yalli, per la campagna; e ricantò quello dalla nostra cucina. Poi si risvegliarono gli uccelli, tra le fronde degli alberi; e cominciarono i loro pispigli e trilli e chiacchierìi. Dall'oriente filtrava l'alba, tra nuvole cinerigne, che ancora v'incombevano: smorta alba brumosa, e come infusa di torpore e di tristezza. E ' triste l'aurora, che seguì, scolorita e stanca. Ma l'incubo della notte, piacendo a Dio, era finito. Che ci riserberebbe il nuovo giorno' I nostri volti vedemmo reciprocamente lividi, irsuti e pesti. rsncqrcnpcrPmdmSgdpsfssNote di taccuino Qui, poco avanti, riprende nel mio taccuino una serie di note, abbastanza ordinate e diffuse. Ancorché semplici note, buttate giù nelle soste del combattimento, mi pare, appunto per la loro imme diatezza, che rispecchino abbastanza fedelmente quel giorno e gli avvenimenti e le impressioni. Non un racconto: elementi schematici di un racconto che forse non imprenderò mai a rifare. E mi sono cari, così. ...Zalalaca: Casello al km. 432. — Martedì, 7 luglio. -- Ore nove, Appena fatto giorno, è cominciata l'adunata degli Abissini. Sono suonati i corni. Da un villaggio all'altro, di tucùl in tucùl, la gente si chiamava e rispondeva alla voce. Li vedevamo uscire dai tucùl, col fucile imbracciato, e camminando senza fretta, come avviati a cae eia, o ad una passeggiata. Sulle porte dei tucùl, fra un tucùl e l'altro, ristavano, raccolti in gruppi donne e bambini. Di tratto in tratto, da qualche gruppo, qualche donna gettava lo strillo dcH'hel leltà, per incitamento agli nomi ni e saluto, per isfitla a noi. Gli armati si sono andati radu nando su quel dosso che s'inarca collinoso verso oriente e verso gre-\ co, a mezzogiorno della strada fer-\ rata che viene dagli Addàs, e a seicento o settecento metri, in linea d'aria, dal nostro casello. Calcolavamo non fossero meno di cinquecento uomini. Noi siamo quarantatre, in totale, mi pare, fucili e moschetti. Il nostro nerbo principale, la nostra Guardia Imperiale del supremo cimento, è costituita dal nucleo omogeneo e organico dei Carabinieri del Tenente Domenico Papisca: Quattrocentocinquiintesima Sezione dei Retili Carabinieri: diciannove moschetti, dopo che morì, jersera, l'eroico Appuntato Salvatore Vigliotti; e qualcuno degli uomini ferito, come il Brigadiere Romaniello, che m'accompagnò jersera nella mia pattuglia, e s'ebbe un projetto nella coscia sinistra; e il Carabiniere Pasquale Cupobiunco, ferito anche lui di pallottola; e i Carabinieri Di Stefano e Scalone, feriti e contusi nell'urto della seconda locomotiva, sopraggiunta a tamponare il nostro treno; e forse qualche altro ancora. I Carabinieri della Quattrocentocinquantesima Sezione, del Tenente Papisca: il Brigadiere Gaetano Romaniello, che ho già citato, quando annotai i quattro partecipanti della mia pattuglia, — tre di questi della Quattrocentocinquantesima Sezione, e il Carabiniere Magno, ch'era sul treno, addetto al controllo dei passaggeri —; poi, i Vice-brigadieri, Michele Cocca, da Grottole (Potenza), classe '907; ed Efisio Sais, da Villa Massargia (Cagliari), classe '905; l'Appuntato Giovanni Miceli, da, Sant'Alessio (Messina), classe '903; i Carabinieri Mario Lecca da Doglionova (Cagliari), classe '904; Vincenzo Di Stefano, da Marsinuovo (Potenza), classe '904; Giuseppe Santangelo, già nominato, quando partecipò aliti, mia pattuglia; Donato Santacroce, da Santa Barbara di Caserta, classe '906; Guglielmo La Prova, da Teano (Caserta), classe '905; Luigi Scalone, da Rotino (Salerno), classe '908; Alberto Guerriero, già nominato, tra % quattro partecipi della mia pattuglia; Andrea Jorio, da Pomigliano d'Arco (Aversa), classe '912; Aldo Cipolla, da Rogliano (Caserta), classe '909; •Ajiiohìo Tarantino, da Forenza (Potenza), classe '909; Alberto Natalino, da Barra (Napoli), classe '910; Arturo Jannaccone, da Atripalda (Avellino), classe '911; Giotwmi Bianco, da Baselicc (Benevento), classe '910; Pietro Torrente, da Napoli, classe '910 e Pasquale Cupobiunco, da Mirabella (Avellino), classe '907. Costituiscono la scorta dei dieci abissini, detenuti politici, capi e personalità, ch'essi riportano ad Addis Abebà. Mi dice il tenente Putrisca che i dieci detenuti se ne sono rimasti tranquilli, pressoché indifferenti, nel vagone dove so- ferio degli assalti al treno, e sue-\cessi vi accidenti, e questa notte. no custoditi, durante tutto il puti- 1 attaccavano... Mario Bassi — Potremo usufruirne come ultima riserva — osservo: — alla stretta finale, sul punto d'essere sopraffatti, ne potremmo spedire un pajo dai ribelli, con l'ambasciata che, se non desistono dall'attacco e non ci lasciano in pace, noi scanniamo gli altri otto, che teniamo in ostaggio. — Io non ho autorità per far questo — mi risponde Papisca: — La mia consegna è di portarli ad Addis Abebà. — E bravo! e allora ce li porti. Anzi, se è così sicuro, io verrei con Lei. Ridiamo. Quest'è il giuoco dei cerchi concentrici: noi teniamo prigionieri i dieci capi abissini; ma gli Abissini tengono prigionieri noi. Ci mancherebbe arrivassero ti uppe nostre, che facessero cerchio intorno agli Abissini, die fanno cerchio intorno a noi, che facciamo cerchio intorno ai dieci pezzi grossi... E se l'assalto al treno fosse combinato e preparato appunto per questa faccenda di questi capi e notabili, per liberarli?... — Papisca, dia retta a me: al momento critico, bando ai sentimentalismi, paghino un po' loro per quei che ci ammazzeranno noi; e prima che gli ultimi di noi situi crepati, li spediaìno pari pari al Creatore, una buona pallottola in testa per ciascuno, tuff e dieci.— Ah, prima di lasciarmeli scappar di mano... Gli Abissini attaccanoGli Abissini, dunque, si erano andati radunando su quella collina verso oriente e verso greco, a seicento o settecento metri. Poi cominciarono ad avanzare, a pattuglie e gruppetti, verso il nostro casello; e aprirono il fuoco di fucileria. Il Generale Broglia ha fatto il giro dell'intera nostra difesa, sui quattro fronti. E ha impartito ordine perentorio, che nessuno spari, se non quando il nemico sia giunto alle brevi distanze, almeno sotto i duecento metri. Sparare soltanto a colpo sicuro: non sprecare un colpo. Tra i duecento e i cento metri, anzi, sparino soltanto tiratori scelti, che siano certi di non fallire il bersaglic: tiro all'uomo; e a ciascuna fucilata deve corrispondere un morto, da parte del nemico. Noi tenerci ben riparati; mirare con calma; non esporci; ma pronti eventualmente a saltare su, e respingere l'attacco, se portato fino a contutto d'uomocontrattaccando, con massima decisione e veemcìiza, all' arma bianca. — Ragazzi — ha detto il Generale: — qui ciascuno valga per dicci; e ciascuno deve mettere a terra almeno dieci nemici. Poi è accorso a quell'angolo della nostra difesa, del fronte est col\!r°nte sud, verso dove gli Abissi¬