Poesia inglese 1892-1935

Poesia inglese 1892-1935 Poesia inglese 1892-1935 Tn Inghilterra i libri di poesia si vendono e si leggono : non dico i classici, — questo va da sè —, ma i giovani c i giovanissimi ; a nominarme uno, Stephen Spender, è a suo modo un best seller. Su un fatto di tal genere, certi esperti di demopsicologia imbastirebbero chi sa che articolessa ; a me, cui preme altro, basterà dire che nel vasto mondo anglosassone quello che altrove sarebbe manipolo diventa esercito di lettori, e che il tono assai elevato della vita delle classi medie permette che ci si dedichi di più ai libri di quanto non si faccia altrove; aggiungi che la percentuale di vecchi e di zitelle e in Inghilterra assai alta, e che il canto del focolare è lassù una istituzione. Sottilizzando,- si potrebbe dire che la mente inglese resta perpetua adolescente, che l'adolescenza è l'età della poesia... ma su questo terreno lascerò che altri s'avventuri. La poesia, dunque, «fiorisce» (per usare un verbo tanto caro alle storie letterarie') nella verde isola di John Bull e in quella verdissima che fino a ieri era la sua « altra isola ». E' appunto il più illustre dei poeti irlandesi viventi, William Butler Yeats, che afferma nell'introduzione all' Oxford Book of Modem Verse, 1892-1935, ora uscito pei tipi della Clarendon Press : « Credo che l'Inghilterra abbia avuto un maggior numero di buoni poeti dal 1900 ad oggi che non in ogni altro periodo della stessa lunghezza a datare dal principio del Seicento. Non vi sono figure predominanti, non un Browning, un Tennyson, uno Swinburne, ma più gente di quanta io non sia riuscita a includere nella mia scelta ha scritto due, tre, o una mezza dozzina di liriche le quali probabilmente resteranno ». Forse il Yeats è troppo generoso, se uno dei maggiori poeti inglesi d'oggi, T. S. Eliot, citando a modello il semplice e luminoso stile di Dante, ha soggiunto che lui stesso « in venti anni ha scritto in quello stile circa una dozzina di versi soddisfacenti, eppure, paragonati ai passi più grigi della Divina Commedia, quei versi son « come paglia ». Ma codesto è un confronto schiacciante; attenendoci a criteri normali, possiamo dare ragione al Yeats. Intanto egli ha ragione per la varietà: il periodo che va dalla fine del secolo scorso ad oggi ha segnato nella poesia inglese un rivolgimento paragonabile a quello che ebbe luogo tra Ir "ine del Cinquecento e il principio del Seicento. Come ai sonettisti sulle orme degl'italiani e dei francesi e ai poeti allegorici e pastorali alla maniera di Spenser successe la dialettica e tortuosa maniera « metafisica » di John Donne, così alle artificialità decadenti degli esteti sulle orine di Baudelaire e di Verlaine, alle ecloghe rusticali e marinare dei Georgian Poets, al simbolismo degli Imagisti, son succedute la poesia cerebrale di T. S. Eliot, deliberatamente' ispiratosi al Donne, e, attraverso alla concezione eliottesca del grande poeta (colui che esprime « la più grande intensità emotiva del tempo suo, basata su ciò che costituisce il pensiero del suo tempo, qualunque esso sia»), la nuova lirica dei giovani che si professano portavoce del comunismo, W. H. Auden, Stephen Spender, Cecil Day Lewis. E come dietro a quella rivoluzione poetica del Seicento sarebbe il disgregarsi della concezione medievale del mondo sotto i colpi della scienza nuova e dell'ingenuo materialismo che ne fu la conseguenza più avvertita, così dietro alla rivoluzione poetica del nostro secolo starebbe lo sfacelo del sistema capitalistico liberale, il disgregarsi delle opinioni tradizionali sotto i colpi della psicanalisi e del relativismo, infine la ricerca di un nuovo equilibrio in una fede universale, d'un •ubi consistenti al di là del caotico flusso a cui era riuscito l'esasperato individualismo romantico. Onde il ritorno alla fede cristiana nell'Eliot, l'ostentare una fede « comunista » (sia pure in un modo che fa sorridere i veri e propri comunisti praticanti) nei giovani. Questo scorcio appare un po' vertiginoso? E allora fermiamoci su uri solo particolare atto a farci misurare in modo conciso ed emblematico la diversità tra la poesia della fine del secolo e 1 odierna. Gli esteti facevano un grande abuso della parola stars, stelle : l'aspirazione a erotdbrsgrtrbLlqdddlssnlcnZIdgvllfcelgmmscvvrtrlatovualcosa di fisso, d'inviolabile, puro, da parte di esseri che simboleggiava S' amavano rappresentarsi come profondamente peccaminosi. Ec co Richard Le Gallienne, in una poesia proprio del 1892, non inclusa tuttavia nella scelta del Yeats perchè, come tante opere che sono specchio fedele del loro tempo, non ha alcun ti tolo per aspirare all'eternità: First drink the stars, then grunt [amid the mire, So shall the mire have something [of the stars, And the high stars be fragrant [of the mire. Qui è insomma quella che il Flaubert aveva chiamato la grande synthèse. La parola-chiave dei poeti inglesi d'oggi sarebbe invece bones, ossa, The an sdcfngtuaqotptmdocQr—spL uish of the skeleton, the terriblc Gehenna of the bone, troviamo in Edith Sitwell ; e in Eliot: No contact poasible to flesh Allayed the fever of the bone; e Cecil Day Lewis parla di boredoms and agonics che work ont the rliythm of bone; e le citazioni potrebbero moltiplicarsi; di poco meno numerose sarebbero quelle in cui appare la parola tvomb, grembo. Che bone sia una parola venuta con la voga pel Donne (nel quale ricorreva a guisa di cristiano memento mori), che womb sia una parola introdotta nel nuovo vocabolario poetico inglese da D. H. Lawrence, non basta a spiegare la predilezione dei moderni. In quel loro insistere sui vocaboli denotanti la forma essenziale dell'uomo, la culla essenziale della vita, par quasi di sentire la loro affannosa ricerca d'una base universale : ciò che più persiste dopo la morte, ciò che meno reca un'impronta di personalità, lo scheletro, la matrice; ciò che ci lega coi secoli più lontani, ossa di antenati e di caposti¬ piti, ciò che ci lega coi secoli futuri, l'inesausto grembo materno. Questo è il messaggio ilei giovani poeti che, per quella loro aspirazione a spersonalizzarsi, a dare espressione alla « ignuda mente dell'Uomo » (non di questo o di quell'uomo), credono di appellarsi a buon diritto comunisti. Se la libidine di contaminare il fango e le stelle, nei decadenti della fine del secolo, rappresentava in forma quasi grottesca l'estremo limite dello sfrenato individualismo romantico, quel raccogliersi dei poeti d'oggi intorno a due simboli indistruttibili del destino umano — come naufraghi da una spaventosa alluvione che toccan di nuovo le nude vertebre della Terra, e si riscaldali di nuovo al fuoco centrale della Vita (una delle più significative poesie delYOxford Book of Modem Verse è appunto Fire di Dorothy Wellesley, nata nel 1889) — sembra quasi preludere all'universalità d'un nuovo classicismo. Che ci sia un uomo, un poeta, che abbia vissuto entrambi questi momenti, pare strano. Eppu¬ re costui esiste, e nessuno meglio di lui avrebbe potuto compilare l'antologia delle liriche scritte tra la fine del secolo ed oggi : William Butler Yeats. « Scrivendo per lo spazio di cinquantanni, ora io appartenni alla scuola di John Synge e di James Slephcns, ora a quella di Sturgc Moore e della più giovane delle poetesse che si firmarono Michael Field ; e per quanto la concentrazione di filosofia e di passione sociale nella scuola di Day Lewis e in MacXeice sia al di là dei miei desideri, avrei appartenuto a quella di Walter James Turner e di Dorothy Wellesley, se l'ingegno m'avesse assistito ». Dai primi componimenti simbolisti e preraffaelliti agli ultimi, la cui aspra virilità risente della maniera « metafisica », il Yeats è un fedele ritratto dell'età sua. E perchè quest'età potesse chiamarsi da lui, gli sarebbe bastata soltanto una dose maggiore di quella « divina virtù » che, posseduta appieno, fa i sommi geni, e posseduta solo in parte, gli squisiti eclettici. Mario Praz Dlfrldp

Luoghi citati: Inghilterra, Oxford