Dietro le feritoie, in attesa di Mario Bassi

Dietro le feritoie, in attesa Zalalacsk ossia il Casello al Km, 432S Dietro le feritoie, in attesa (dal nostro inviato speciale) ADDIS ABEBA' settembre. Già da tempo, quando sorse la tonda e rossa Luna — tonda, ma un po' acciaccata da una gota, per quei due giorni di plenilunio ritnja, vera feritoia da lucile, una fessura larga una diecina di centimetri, alta una trentina, e svasata in dentro, che s'apre nel muro verso settentrione; e s'alternino alla finestra, che s'apre da questo lato della costruzione, ossia no lciannàveslma Legione, Vittorio i!veneto, dei combattenti della n i e e e a , . e e , . i . l i voacsecomvoper quei due giorni di decrescen-\diza dal plenilunio, — ho sistemato ìsoil mio fronte, questo affidato alla ''<mia vigilanza. Ho comandato 'stquattro uomini nella costmzione\snd'annoio, a sinistra, cioè nella cu-U'ICina; che s'alternino a quella fe-\diCgnegecucittemalmente alla linea di questo fron- sote, e donde, ancorché arretrata ri-1tospetto alla linea stessa, si può bat-\ tere col fuoco il terreno antistante, diagonalmente. Ottengo così un certo fiancheggiamento, e il parziale incrocia dei tiri. Non per niente vanto molti anni, non dirò di Scuola di Guerra, ma di scuola della guerra. E ho fatto sollevare, con pietre accumulate e incastrate, il parapetto della finestra, da dar protezione al tiratore in piedi, e riparare insieme la- gente nell'interno. Il locale annesso, della stessa costruzione, il ripostiglio, che ha una sua entrata, a fianco della cucina, e una sua feritoia, nel muro verso occidente, fa parte invece della difesa, appunto, del fronte ovest. E ci pensa il Tenente-colonnello Martinàt. Il Fante della Grande Guerra All'altro angolo del mio fronte, a destra, dove l'altra piccola costruzione della latrina, ivi, in quel bugigattolo inameno, ho collocato tre uomini, che s'alternino alle due feritoie, analoghe a quelle della cucina, e che s'aprono nel muro verso settentrione e in quello verso oriente. In verità, non m'ero mai imaginato che un giorno mi sarei trovato a fare di una latrina, una volgarissima rudimentale latrina, senz' acqua, lorda e fetente, fame elemento capitale di un sistema a difesa; che il mio onore di uomo e di soldato sarebbe un giorno legato alla difesa di una latrina, con l'impegno di resistere fino all'ultimo sangue... Ep mcequloscgalcotrscpaazinc dtee vcotrcmmPoi, altri due uomini ho appo stati da lato di questa costruzion pure così me toccato, proprio co-l"me ve l'asserisco: tant'è vero che\tela vita, qualche sorpresuccia, qnal-\ che briciolo di nuovo e d'Impeli-L saio, li tiene pur in serbo, pe,chibl'ami lungamente con foga, diver-\psa e avventurosa. \ Cina della latrina, riparati da es-ìlesa sul fianco, e con Un po' d'im- improvvisato parapetto, fronte a set- ,otentrione. E più in qua, in que->t.nsto tratto tra le due costruzioni.1 !"della cucina a sinistra, della latri-\"na a destra, dietro lo schermo del-'Pla cannicciata che si stende tra pl'ima e l'altra, ho costruito un aZ-ì'ci1uvl'AbAtrtro parapetto di pietra, un appostamento per tre o quattro uomini a terra, un muricciolo semicircolare, e sostenuto e rinforzato da legname. Le legna, le abbiamo trovate nella cucina; e per le pietre, abbiamo disfatto mezzo il marciapiede, lungo questa fronte posteriore del casello. All'opera ho impiegato le due Camicie Nere che adesso mi sono accanto, in questo] gdsna rfselemento di trincea campale, ck'è mii mio posto di comando: Camicie VNere, di quelle arrivate col Cen-\'"turione Dragoni, cioè della sua\nPrima Compagnia del Duecento-\o^,.„.„ Compagnia del Duecento-V5diciannovesimo Battaglione, .^Wa [Divisione Tevere, e Cneceiifodi-I5Grande guerra. Avrei potuto ignorarlo del tut to; e immediatamente avrei rico nosciuto il Fante della guerra, co¬ rttnlcdme si son messi a lavorare aliaidtrincea e al parapetto, come cercavano le pietre, come le adattavano, come hanno incurvato di iato, prima che io intervenissi, e prolungata il parapetto, esperti, a riporo dei tiri trasversali. E poi hanno allargato i buchi di /cri-!/,toja nella cannicciata, in corri-1 ccsscspondenza del loro posto e del mio, all'altezza dovuta; e qualche altro.sbuco, rompendo le canne per po- nchi centimetri, hanno aperto, per\sspiare nelle varie direzioni, che'.fnon restasse un angolo fuori di, Avista. Mentre lavoravo con loro, e laro mi portavan le pietre e le legna, e io le accumulavo, e loro ogni tanto correggevano il mio lavoro, rivoltavano una pietra per sistemarla più solidamente con le altre, secondo se n'adattasseroìemeglio le strutture disuguali, in- mitCcsinuavano e forzavano una scheg già a chiudere un vano, puntella vano il muricciolo, con un legno o qualc'altra pietra; mentre lavora- nd a a , o a o o o a vo con loro, e dirigevo il lavoro, accettando i loro consigli, ch'eran sempre intelligenti, e le loro sagge correzioni, mi son sorpreso commosso, ma tanto commosso: avevo ritrovato i miei stessi soldati -\di cent'anni fa, l'autentico buon o ìsoWr<'° Italiano della grande guera ''<*< laboriosa e paziente, tenace e o 'strenuo, cosi semplice e grande nel: me\sno valore: saldalo dell'Alpi e del-\ -U'Isoneo e del Carso e del Piave e -\di Vittorio Veneto, il fratello di \ gntrofaTulonColui che dorme il suo sonno rfij'agiglia solfo l'Altare della Patria.\ tenel cuore di Roma Eterna: col suo'dogesto, l'avevo ritrovato, e col suo\pecuore, col suo aspetto un po' scal-{ioncinato, e il suo caraTlere bonaccia- ; notte e sereno, ma scaltro e un po' «' - sornione, indulgente di fuori e in-\ fa-1tomamente fiero, senza tracotanza'.Ui -\ n r ò e a a o e e a e, l e e l n a e e o di ma d'una dirittura istintiva, con- riacensivo e deciso, quell'insieme di acqualità e difetti, d'impulsi e di fi-\mlosofia, di millenaria dignità e di\stscanzonatura puerile, che distili-\noguano la nastra razza. E sapevo,[inall'occasione, come si battevano e\e come morivano. ll'uCi eravamo distesi a terra, die-«imtro il parapetto, la bocca del ino- seschetto alla feritoia. Ripetevo le .acparole del Generale: so— Occhi aperti, ragazzi: occhi'Vlaperti. \alDi là dalla cannicciata, dìsgra-\foziutamente, si allargava una zo-\cana di cespugli d'erbe grasse, altere c spense. Sarei uscito con un paio i d'd'uomini, per strapparle e abbat-ì feterle, e sgombrare così la visuale me il campo di tiro, che ne resta-', devano in troppa parte impediti è\mcoperti. Ma non era lavoro, pur- \ cetroppo, da compiersi in brev'ora,\Ncredetti di rinunziare. — Attenti, tra quei cespugli,, iNmi raccomando. Quante bombe a] mano avetet -l"°" cl !"*'"mo sorprendere. Sie- Cae\te co'":"'fl? , Ide-\ T sW>°>si- gl-L Lt £a'°'e e',"n mc!mo'ate . '^'Gibmo' D' "w"lto m m,nut0' ,Z tem' (F-\po "w"0*C0'T%%. „„„„?lo \ ~ £^„' "f* '''. ZSSL ' — Nulla, signor capitano. \neEra dunque sorta la luna. E sa-^de-ìlend° '" ciel°' da <»focatà che er«> de- impallidiva, e la sua luce trasco- ta- ,orava> e 1(1 s"a faccia s margen-\ ->t.nva- L" campagna si rivelava ora rai.1 !" "'me, con bande chiare, ch-\"""°at?' e «»e,'Me °"'f''e> P1" q-'Profonde e misteriose Si ricono-\Ma pievano villaggi, per diverse lon-\taZ-ì'«»««*«». che, com'ho detto, popo-^ coi mezzi di cui disponevamo. E.msiinap,bei .i •••HI 'V1 corni echeggiami alla Luna 'daNon ne avevano più che due,,'9una per ciascuno; e un'altra, l'a-<davevo ancora io. [cl— Queste, le riserbiamo per!dal'ultimo momento, quando gli seAbissini sbucassero da quelle èr-Fabe. Non le tirate chea ordine mio. deAvete capito? UC— Signorsì. [ca— E anche questa, poi, la po- lictremo raccontare. Tutto sta, che\ mra o eil e o e o] ,,.gano numerosi la regione, dai due lati della strada ferrata, e\vtspecie verso Gli Addàs, e gli aq- f negati di tucùl, e le zeribe. ali\Lalberi, con la loro fronda fosca, i„„i i j.'i orappresentavan figure strane, de¬ ttformi, talora un alcunché di ino- „sfrnoso o di spettrale. \f'doUn corno suonò, da una distali-j cMimprecisabile,avvicendando due\ehte insistenti, rauche lente la-' è mentose: certo un di quegli sfine Vle"U Pastoral] o puerperi degli -\'"digeni, un autentico ricurvo cora\no dt bu{al° 0 di zebu- {? v'vro V' o-\ourammte ancora cent'anni, che rauche lente ra-i gumdeo-V5r~» iTaMToV^tèT-ì^a ^ i-I50' se vivessi tanto più, maga-' t ¬ ri Vetri di Matusalemme e dei pa-\s.otriarchi della Bibbia, non dimen ticherò mai i! suono di quel corno, echeggiante quella notte, alla luna. E quello ne richiamò altri, che risposero. Per le ondulazioni della campagna, di clivo in clivo aidi villaggio in villaggio, suoni di roioi i-!/,, /„„„, cj attaccheranno, i-1 — E noi li aspettiamo. corno, più vicini, più lontani, si chiamavano e rispondevano, si susseguivano e inseguivano. — Chiamano all'adunata — mi sussurrò la Camicia Nera, daccanto a me: — Forse adessr, con tovgcotat'hcalatuqccoo, Al suono dei corni ora si mi-Inlavchc'inrebo.schiava un brusìo, di voci lantno- ne, confuse, e come di folla che r\s'ammatsasse. Poi s'accese un e'.fuoco, da un paggetto, verse Gli di, Addàs, e un altro fuoco brillò più e eoar e oìeie Nere della Tevere, è precisa n- mente: «Molti nemici, molto o- in là. Le voci crescevano. — Signor Capitano, sono molti, molti — mi sussurrò ancora lai vCamicia Nera. \g— E non pensi — gli ribattei —, teche il vostro motto, di voi, Carni- mg a o a- nore »? Venne fuori, irrefrenabile, la soda filosofia del Fante: — Eh, le parole son belle, Si- trrvp me ne frego, Saomontovnlp notte ogumemevuie nuiic L'interrogai; e mi rispose che gnor Capitano; ma quando ci si trova in un casino come questo... — Avresti forse paura ? — Paura ? — protestò: — Io ho fatto la guerra, e sono volontario. Tutti noi della Tevere siamo volontari. — Lo so. — Ci fossero mille Abissini, io 'a di Foggia, della provincia. In tendeva rimanere in Affrica, quando si congederebbe, ottenere un pezzo di terra, nell'Impero, da coionizzare. Mi disse anche il suo nome; ma non lo ricordo. E qua¬ «' Pi" mi piace che sia così. Quel fante della grande guerra, e ogUi volontario della guerra impe- riaìe, in Camicia Nera, che mi fu accanto, steso a terra accanto a me, dietro il parapetto della nostia trinceretta, costruitaci da nol, quella notte vegliata in arme, insieme, quella notte minacciosa e combattuta, che poteva essere l'ultima nostra, senza che vedes- «imo più l'alba; quell'uomo di cui sentii, per ore, il calare dd corpo accosto al mio, il respiro all'uni sono col mio respira, il cuore, la Vlta, così prossimi al mìo cuore e \alla mia vita come non lo furono \forse mai quelli d'un mio fratello \carnule, e i nastri destini unanimi re congiunti; quel -mio fratello i d'armi, più che commilitone, preì ferisco quasi resti per me anoni mo, un Fante, semplicemente, una ', delle Camicie Nere: quasi ignoto \milite vivente. Il suo nome? E' da \ cercarsi tra quelli delle Camicie \Nere arrivate al casello del chila- , iNdr^7fécr/i'dina'iTo«tr« «/èsa"] erEgurospdadoDchsanqsouvidvscomlàilpisp(iimpaptdsdvlumvttgs Casacalenda (Campobasso), classe Idel '99; Saverio Rotella, da Cimi¬ gliano (Catanzaro), classe del '95; 'Generosa De Serio, da Portauova (Foggia), classe del '98; Candeloro Jachi'"> da Notaresco (Ro ' CÌ<tSSe del '97; Mattea Pen°- \ne> da Apricena (Foggia), classe ^del '98. E tutti già combattenti della grande guerra, e tutti volon tari di questa guerra, \ n brusìo della gente che si raccoglieva, di là da un ragi/io che potevamo calcolare oltre i quattrocento o cinquecento me\M dal caseilo> cresceva e dive„. \tava ciamore, E al lume sempre ^ iu cMa pi'.metro quattrocentotrentadue insieme col Centurione Dragoni, e^indi partecipi della nostra difesa:, appunto Dragoni me ne fornirei,- „,be poi l'elenco, dal suo ruolino:'. 'Vice-caposquadra Luigi Corviiielli.' 'da Larino (Potenza), classe del ,'98'' Camicie Nere, Romolo Tadde-.. <da Castel del Forte (Verona), [classe del '96; Roberto Polimeni, !da Locri (Reggio Calabria), clas se dell'87; Pietro Parussolo, da Farra di Surigo (Treviso), classe del '91; Luigi Stellato, da Biccari UCatanzaro), classe del '90; Vice- [caposquadra Antonio Lena, da De- liceto (Foggia), classe del '94; Ca\ micie Nere, Pasquale Poliscila, da srminNE,,..„ ~...„ro e argentino della Lu s'intravvedeva anche il mo\vtmeHto di Ua t f „«»__', ,-„»„ , .' \Lf%*ggi„1"'j£ vaJl "" "?tf."m * fo'Ti omiieastre e di figure brune. Poi ttilo strillo acuto lacerò l'aria: „„„, ., \fel caratteristico delle 'donne affricane, che gli Arabici j cMttmano zagarita, e gli Abissini \ehmem. g°ido incitativo, delle ' i griio di /es(a> grido pK_ gnace: «... un ringhio equino, un canto aspro di gallo... », come lo definiva il Pascoli, in un'ode non dimenticabile, sulla scori ì^ delle "Reazioni di Ferdinando , uno strillo, i„ realtà, ' \s.offiato a Pie"a Sola e articola to con un moto precipitato, una vibrazione velocis'sima della lingua, socchiusi denti e labbra. E come già i corni, ma stavolta tanto più moltiplicati i gridi delt'helleltà si propagavano per la campagna, e quasi a cori, di villaggio in villaggio, di tucùl in tucùl. Atto di fede Trascorrevano nella natie, a quel fosforescente lume della lumi, con quei suoni lugubri dei comi con quei gridi ringhiatiti delle doli Ine, con quel sordo tumultuare del la intravveduta massa ostile, e voci più alte, di tratto in tratta, che strepitavano chissà cosa, che c'indirizzavano chissà quali epiteti ingiurie minacce disfide, trascor revano fremiti, per noi, inconteni bili d'orrore e di terrore, insorge oqtpbmGftLtpLs3vl'aaedi vano fantasmi ^cùbò^'si"propò \gava, i nervi tesi spasmodicamen- , te, offuscati i sensi, sgomenta la mente, un'ansia soffoccante e un tremore di follìa. — E' vero — chiese con voce\ roca l'altro milite, di là dal mio] vicino — che martirizzano feriti e\ prigionieri? Quel pensiero, evldentemente,\ era l'assillo comune, di noi tutti. E sentii che lui parlava con la lingua impacciata, spiccicando le parole un po' come gli ubriachi. — E' vero — m'affrettai a rispondere. — Ma noi non abbiamo' da temere. Noi, vivi, non ci prendono. Nè vivi, né morti. C'è ilDuce, il nostro Duce in persona, che fa buona guardia con noi. — Il Duce? — interrogò quello stupito. — Il Duce? — chiese sorpreso anche l'altro, accanto a me — E non sapete? non ve l'hanno detto? Dovunque, per il monda quante vasto, un italiano scava un solco o mura un mattone, forgia un ferro o getta un seme; e dovunque un italiano matura una idea progressiva, penetra un nuovo segreto della natura, costruisce una macchina più perfezionata, o rivela una verità, o crea un simulacro di bellezza; dovunque, là, presente e propiziatore, presso il contadina e l'operaio, presso il pensatore e l'inventore e l'artista, ispiratore e tutore, auspice all'opera, è Mussolini. E dovunque, più (incora, un italiano è in pericola, impugna l'arma per la Patria imperiale e per il Re e Imperatore, affronta il nemico, insolente e strapotente che quello sia, e combalte, là, présente vigile protettore duce, è il Duce: Lui, in carne e spirita. A quest'ara, la sua lampada è accesa nella sua stanza di lavoro, a Palazzo Venezia; e quella luce risplende nella notte romana; ma Lui è qui, qui con noi, qui dove più il pericolo, dove si fron teggia il nemico, dove si combat te. Qui, con noi. Forse, se alzate gli occhi, vedete la sua figura, il suo profilo, delinearsi sopra noi: iepgaiGmmidssncèìtfGqulmdnntsnepmnimfl^odi tutto, a quelmpensiero di fede, renatomi su dal-\Pi'intimo, cosi porfeiifosameiite re-i v^eZeTsuWoc^hTche"rì'ùncuo, le man{ che cj ncce)1 „„„„ Come aubitttre, '. ' M fro> Pnm" so: ro e irrefutabilmente sicuro, e\amentre profferivo le parole, m'ero cio rincuorato e tranquillizzato. Ve- \fnissero anche mille abissini, ades- come arerà detto la Camicia Nera. E con voce assolutamente TE^r™' 0'dÌ"aÌ am Ca-|_ " I Vai a informare il generale,\ao il tenente colonnello Martinàt,] squello che trovi prima, che si sen- fte intensificarsi la fucileria, dalla Sparte degli Addàs, mitragliatrici,] bombe a mano: che il combatti- mmento insomma ha ripreso, verso Gii Addàs, accanito. | Nuvole oscure, fuggendo davan-1 lfi alla luna, simulavano una fan- ztasttea cauaicata delle Valchirie Mario Bassi