CARTA BIANCA

CARTA BIANCACARTA BIANCA Jules Renard diceva di non credere all'ispirazione. Credeva nvece alle facoltà creative in dipendenza della volontà. Un fenomeno meccanico. « Io, a quell'ora, sempre la stessa, mi seggo alla mia scrivania, e aspetto, con la penna in mano, che qualcosa da dire mi sbocci dal cervello. Aspetto anche una ora, due se occorre, perchè so che alla fine la mia macchina mentale si metterà in movimento. Se per mettermi al lavoro avessi dovuto attendere l'ispirazione, credo che non avrei ancora scritta una riga». Questo dispregio per l'ispirazione lo può capire soltanto chi esercita il duro mestiere dello scrivere : un impegno concreto e preciso. Se una mucca, per darci il suo latte, dicesse che ha bisogno del l'ispirazione, ci farebbe certo ridere. E' lo stesso. Scrivere è dar sostanza di vita, è comunicare quel che in noi v'è di eccellente, è donazione totale di se stes si. E' anche un fatto fisico, del la nostra carne. Quando si scrive si è in uno stato di versa mento dalla cima dei capelli alla punta dei piedi. Che cosa può valere dunque l'ispirazione, che si suppone sia un agente esteriore, in un fenomeno che è esclusivamente personale?... E che cos'è questa ispirazione? Un eccitante della fantasia, a quel che sembra. Oppure, per risali re alle origini, quello stato di fervore derivante dalla supposta coincidenza di un'immagine col nostro stato mentale. Co munque un soccorso dall'esterno. E uno scrittore che attenda soccorsi è un povero scrittore, e forse non lo è affatto. Scrittore stenle quello che invoca il bel panorama, il cielo terso, la vista di un mare ridente o delle candide cime nevose, che ha bi sogno di circondarsi di oggetti ni preziosi e rari, che cova suoi pensieri sotto una luce da acquario, che invoca infine lo sguardo della donna amata. Mi seria. Alibi dell'impotenza. Esse o esse di una squallida speran za di fare. Tutti abbiamo veduto bellissime camere con grandi finestre aperte su uno spettaco lo incantevole, e attrezzate — mobili, stoffe, oggetti d'arte, libri rari — per produrre il ca polavoro, e nelle quali non è na ta una sola parola che valesse la pena d'essere detta. Sceno grafia per dilettanti. Una tavola., magari di legno grezzo, un calamaio, una penna che scorra, e dei fogli di carta bianca. Il respiro è calmo, l'oc chio fermo, qualche ruga, nel mezzo della fronte, s'indurisce E si aspetta. D'altronde Goethe non ha forse detto che il genio è pazienza? **# Sono qua. D'innanzi a me ecco i fogli di carta bianca schiarati dalla luce raccolta del la lampada. Il loro candore è caldo, vivente; come una carne immacolata. Il loro richiamo è dolce e persuasivo. Il paper ap peal. Nulla è più casto di questa carta bianca; ma una castità amorosa che invita i pensieri a tradursi in parole, in parole scritte su di lei. Una pudica tre-' pidazione è su questo foglio, su^ questa nudità palpitante. Cosi' pura da ogni contaminazione; non so che ritegno dà allo scrittore. Le prime parole son già balzate avanti, vogliono essere tradotte in caratteri per aver requie, per consolidarsi e consistere, eppure si attende, si tituba, si rimanda ancora di un momento l'atto che violerà questa bianca pagina. Nessuna materia è più sensibile della carta. Al primo segno nero tracciato dalla penna la sua fisionomia si anima, mille occhi si aprono in lei pieni di interrogazioni, la distanza fra lei e la nostra mente fra la sua concretezza e la fluida astrazione dei nostri pensieri si annulla, noi e lei si diventa un tutto organico, concorde, unico. Essa ci viene incontro, si offre, gode di ricevere l'impronta delle nostre idee, si popola di noi, ci dà infiniti suggerimenti quando le parole affluiscono essa si fa morbida e scorrevole, un velluto sotto il morso scattile della penna. Oramai essa è; tutta soggiogata, è felice di esser lo. Il suo candore trasp7ire ap pena a traverso il nero formicolio della scrittura; è come il ricordo di altri tempi, della sua antica e riposata ingenuità. Ma così piena di caratteri ora essa è divenuta una cosa veramente nostra, s'è integrala con il legame del sangue. La pagina scritta e lo scrittore hanno una vita comune ed uni'ca. E nulla più della carta teme le offese. Una macchia, uno sgorbio, fanno del bel foglio bianco una cosa turpe. Nessuna contaminazione appare più manifesta, nessun oltraggio più immondo;. Una grande pietà si fa strada nel cuore per quel candore maculato, e quasi sempre si preterisce diJÉruggere il foglio, piuttosto wie lasciarlo vivere così deturpato. Perchè la carta ha una sua nobiltà che non sopporta menomazioni, un suo destino che non tollera deviazioni. Nata per un fine preciso, a quello tende unicamente, e ad esso si avvia per volontà rispettosa dello scrittore che se ne serve. La storia della carta è antica lMsstm"ccvcdsbtdaqaMaa quanto la cultura del mondo, e ad essa è collegato ogni sapere. Le ricerche appassionate degli tudiosi non sono riuscite à fisare in modo esatto l'epoca e il uogo del suo primo apparire. Ma sembra che i cinesi siano tati i primi a fabbricarla. Queti cinesi sono stati i primi in utto; anche a fare i cinesi. Nel'anno 95 dell'Era Cristiana un mandarino del palazzo imperiae fece fabbricare della carta con stracci di seta. Ma fu, secondo il Montfaucon, verso la fine del nono secolo che si trovò l'arte di fare una carta bianca impiegando stracci di lino, di canapa, di cotone, e fu queto l'ultimo colpo e il più terribile per la carta egiziana in tut-o l'Oriente. Tale ritrovato condusse poi nel dodicesimo secolo alla utile invenzione di fare con quelle materie la carta quale si adopera ancora ai nostri giorni. Ma sembra che anche l'uso di adoperare il cotone a far carta abbia avuto origine in Cina, e di là sia stato recato in Occidente. Infine, a dire del Duhalde, oltre agli avanzi di cotone e di seta, i cinesi adoperarono per far la carta la seconda corte:cia del bambù, la corteccia del gelso, la paglia di frumento e di riso, e infine il lino. Dalla Cina l'arte della fabbricazione della carta passò in Arabia, di dove fu recata in Europa, e p.re-cisamente in Spagna nel 1260, secondo la testimonianza delSarmiento; e dalla Spagna nelrimanente dell'Europa, e specialmente in Italia, a Treviso a Padova a Fabriano, nella marca di Ancona, ritenuta da alcuni la cartiera più antica d'Europa. Ma tutta questa bella sapienza non entra per nulla nel nostro amore per la carta. Sia nata, come vogliono certuni, sotto il regno di Han Hoi-ti della dinastia degli Han, nel 105 avanti Cristo, per merito di un impiegato imperiale chiamato Tsailun. sia essa di cotone, di canape, di lino, fabbricata con la corteccia del bambù, del gelso, con paglia di frumento o di riso, con la malva, come nel Madagascar, con le foglie di palma, con i bozzoli del baco da seta, con i nidi di vespe, il suo pregio ai nostri occhi non cambia. E forse ai nidi di vespe si deve l'impiego della cellulosa. Il Reaumur osservò che i vespaierano della consistenza d'una sorta di carta bigia, e siccome le vespe li fanno di legno imputridito, col mezzo delle mandibole e con l'aiuto dei piedi, cosi egli ne dedusse che facendo macera- re i legni imputriditi, dopo che fossero stati lavati ed imbian cati, se ne sarebbe potuta otte nere una pasta utile per fabbri care la carta. E nemmeno i problema della cellulosa, cher-, rrm In nror ri i« T f 1 111 tinti oggi ha preso in Italia tanta importanza per quel che si riferisce alla bilancia commerciale, nfluisce sui nostri sentimenti per la carta. Il nostro amore si nutre d'una specie di sensualità per la sua materia così ricca e sensibile. Se la tocchi essa vibra e canta, come se dalla sua compagine non so che anima si sciogliesse; se la premi cede e si modella a tuo piacimento : si piega, s'accartoccia, prende le impronte del tuo furore se la guarcisci ; avvampa repentinamente se la lingua d'una fiamma la lambisce, volteggia nel vento leggera come un'ala, si fa disfatta e miseranda se annega n poca acqua, tornando alle sue origini della macerazione. Ma questa carta bianca -:he ho davanti, così candida e splendente sotto la luce della lampada,'e che attende di legarsi a me nell'indelebile segno delle idee, questa è quella che più amo, che più d'ogni altra cosa è cosa mia. così come io divengo cosa sua in un connubbio che s'affida al volgere delle me- ditazioni e dei sogni, Luigi Chiarelli

Persone citate: Duhalde, Goethe, Jules Renard, Luigi Chiarelli