Serata di tregenda nell'improvvisato fortilizio di Mario Bassi

Serata di tregenda nell'improvvisato fortilizio ZALALACA OSSIA IL CASELLO AL KM. 432 Serata di tregenda nell'improvvisato fortilizio Il treno investito da una misteriosa locomotiva giunta in piena velocità senza ma - L'ultimo canto della mitra gliatrice - Finalmente un moschetto tra le mani ! - Trenta uomini partiti dagli Addàs in soccorso: giunti dodici - Tema di scuola militare risolto magistralmente - Un plotone al comando d'un generale, ma plotone d'eccezione-Pronti per la notte (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) ADDIS ABEBA', settembre. La situazione della nostra difesa, al casello del chilometro quattrocentotrentadue, durante quel pur breve tempo ch'io me n'era allontanato per il tentativo di raggiungere gli Addàs, era visibilmente peggiorata. li nemico premeva oramai alle più corte distanze; e minacciava di precipitarsi in massa all'ultimo assalto, e di travolgerci. D'altra parte, altri dei nostri erano stati messi fuori combattimento dal fuoco che tempestava d'ogni intorno; e la -nostra mitragliatrice s' era nuovamente inceppata. La marea dei nemici che monta Riferii'rapidamente al Generale Broglia, sull'esito negativo della mia pattuglia. Egli mi compensò con un benevolo giudizio sul mio operato, stringendomi la mano, e con una frase di elogio, che mi commosse. Aggiunse: — Presumevo che non si sarebbe riusciti a passare. Ora non c'è, casomai, lo dico a lei, che vender cara la pelle. — Sì: morire con decoro. — Ecco: si tratta semplicemente di compire fino all'ultimo il nostro dovere di soldati. E sia quel che Dio vuole. Ma lei è disarmato ? — Signor sì. — Prenda questo moschetto; — e mi porse quello che lui impugnava, e che poi seppi essere quello già del povero Appuntato Vigliotti, colpito, in quel frattempo, per la seconda volta, fulminato da una pallottola esplosiva alla testa, come raccontavo in altra lettera. — Prenda questi caricatori... due tre. Mi raccomando: la massima economia delle munizioni. Sorvegli anche il tiro degli altri: non si deve sciupare un colpo, non uno. Abbiamo le cartucce contate. Coi suoi quattro Carabinieri si apposti... Non potè finire la frase. Un urlo disumano, fatto di cento strepitose voci insieme, si levò improvviso e ripercosse, tra il fragore della fucileria. Eravamo davanti alla facciata del casello, tra il casello stesso e quegli ultimi dite vagoni del treno, che s'erano arrestati li, come già descrivevo. L'urlo echeggiava e si propagava di là dai vagoni. Sapevo; e per un attimo mi si gelò il sangue: era il grido di guerra degli Abissini, con cui si eccitano l'un l'altro nel combattimento, nel momento decisivo, che fanno impeto in massa. Un Carabiniere, che sparava per di sotto al penultimo vagone, appostato dietro le ruote, di qua, m'indicò : — Vengono avanti. Stanno per assaltare i vagoni. Inastai la baionetta. E spostati domi, per cercarmi un mio campo di tiro, scoperto, m'incontrai nel mitragliere, un po' più in là, che s'affannava intorno alla sua arma. — Ma che cos'ha ancora questo tuo accidente di mitragliatrice? E mi provai anch'io, rabbiosa mente, se mi riuscisse di farla funzionare. Chinato giù, sbirciando di tra le ruote dell'ultimo vagone, intravvidi di là, nell'ombra già fo sca della sera, e che di momento in momento più imbruniva, un agitarsi di confuse figure e uno sventolante biancheggiare tra Ver ba, a non più di quindici, dieci metri, oltre i vagoni. Son gli Abissini, porco... Li abbiamo addosso. Il bolide Percepii con una nettezza spaventosa: è finita. Ebbi la visione, la sensazione fisica déll'a corpo a corpo imminente. Pensai: ultimo atto della tragedia: catastrofe, — Morire con decoro —. Afa intestato mi concentrai, se per un miracolo d'intuizione mi fosse dato rimettere in efficenza, sia pure per un momento solo, sia pure per una sola scarica, la mitragliatrice. Ah! potere, a quella minima distanza, tirar giù una bella annaffiata di pallottole su quella canaglia. Checché accadesse, mi patéva che, dopo, sarei anche crepato quasi soddisfatto. In quel punto, mi percosse uno strano, incomprensibile rombo, quasi d'un treno che sopraggiungesse. Poi, sùbito, che non fui a tempo a voltarmi, ad alzare il capo, e un formidabile scoppio, un tuono, come d'un cannone di grosso calibro, che m'avesse sparato daccanto; e tutto uno strepito assordante di ferraglie, e un diroc. care intorno di rottami. E mi trovai sbalzato e involto in una nuvola bollente di fumo, e tra un balenante lingueggiar di fiamme. — E che è 'sto nuovo finimondo? — Pensai : — Che razza di gigan¬ ti Centurione Angelo Dragoni, comandante la 1a Compagnia del 219° Battaglione di Camicie Nere, 219" Legione «Vittorio Veneto », dei Combattenti della grande guerra, Div. « Tevere ». tesca bomba hanno lanciato gli Abissini? O che sul nostro treno fosse qualche cassa d'esplosivo, ch'è saltata per aria? — E poiché avevo l'impressione che l'esplosione fosse avvenuta proprio lì, stupivo di sentirmi vivo, e anche, mi pareva, indenne: intontito, scombussolato, rincitnillito; ma illeso. Brancolai contro il muro del casello. Le fiamme si estinguevano, il fumo diradava. Trasecolai: vedevo, ma sì, davanti al casello, sui binari, una locomotiva ferroviaria: che prima — o non sognavo mica? — u' Allah!! prima, non c'era. Lì: incastrata contro l'ultimo vagone del nostro treno, locomotiva col suo tender dietro: anzi, nel luogo dov'era prima l'ultimo vagone, ch'era stato invece spinto, trasportato avanti, almeno dell'intera sua lunghezza, e a sua volta aveva sospinto i successivi. O donde diàmine sbucata fuori, quella locomotiva? e che continuava a spandere intorno, sibilando e sfriggendo, getti di vapore, fumo, faville. Il Generale Broglia accorreva.— Signor generale, è arrivata questa locomotiva, evidentemente a buona velocità che ha tamponato il nostro treno. — Da, dove, arrivata? — Evidentemente dagli Addàs L'avranno mandata in nostro soccorso, per riportarci indietro. E invece ci ha investito così. Mi pare che abbia mezzo fracassato il no stro treno. Certo, adesso, di quanessuno ci tira più fuori. Per quanto si poteva vedere, inostro treno appariva più che gravemente danneggiato dall'urto tremendo. Un dei vagoni merci, tra l'altro, aveva sfondato dalla testata il successivo vagone viaggiatori, e c'era penetrato dentro, a cannocchiale. — Il macchinista di questa macchina, dov'è? —'■ chiese spazientito il generale. — Lo faccio pas sare per le armi, pezzo di vigliacco. S'è spaventato della fuci leria, non ha più guardato la stra da; -, e invece-che venire a porarci via, ci ha conciati cosi. Mi permisi di obiettare: ■ '— E dato anche che il tutto non sia stato fatto espressamene. Il macchinista, intanto, sulla macchina non si vede; nè l'ho visto scendere. — Lo cerchi, lo trovi; e... ■ — Signor si: lo fucilo. — Afa noi Lo porti da me. Prima voglio interrogarlo, perbacco. « Fuoco. Fuoco » A ogni modo, del macchinista della locomotiva investitrice, nessuna traccia. Nessuno l'aveva veduto, nè .lui nè il fuochista. La macchina fantasma, senza personale di guida. Era proprio da credere fosse stata lanciata sui. binari, aperto tutt'il vapore, appuno perchè venisse a cozzare conro il nostro treno, a sfasciarlo e mmobilizzarlo senza rimedio. E il nemico, in quél tempo ? Gli abissini attaccanti s'erano fermati e taciuti, di bòtto, e quasi avevano sospeso il fuoco. Sparavano, alcuni, di lontano, e sui lati e dietro l casello; ma quelli più vicini, che già ci assaltavano davanti, verso vagoni e! la facciata del casello, s'eran fermati e chetati, a un trato. Certo doveva averli stupiti e sconcertati, loro anche più di noi, quell'impensato accidente, di quela macchina precipitata in quella guisa davanti al casello; e il rombo, e lo scoppio, e il frastuono, e e fiamme, e quella nuvola di fumo e di vapore, che aveva per qualche momento inviluppato e nascosto tutto. E sospettavano forse quale insidia, chissà, ai loro danni, e quale aiuto sopraggiunto prodigiosamente per noi, una macchina infernale per la nostra difesa. Restavano esitanti, interdetti: non osavano avanzare, non indietreggiavano. Poi ripresero a sparacchiare qualche colpo, come per stuzzicarci, tentare se capiterebbe qualche altro fattaccio. Un colpo di fuoco, che mi rintuohò proprio tra le gambe, mi fece sobbalzare. — Accidenti! Sei matto ? — imprecai contro il mitragliere constatando che il colpo era partito dalla sua arma. Ma anche, subito, sobbalzai di gioia: — Funzionar — gli gridai, indicando l'arma. —Spero. — Vieni qui, subito. Girammo, lui trasportando l'arma, dietro la macchina investitrice, dietro il tender. — Qni- Feci postare la mitragliatrice di coda al tender, riparata in parte da questo, così da battere il terreno di là dal treno, trasversalmente, là donde la più ingente massa dei nemici già portava l'assalto. Prendevamo così quasi d'infilata quella loro linea; e i più vicini eran li, a dieci metri, ito' ce la vediamo. Gridai, come se comandassi a un corpo d'armata: — Fuoco. Fuoco.- E anch'io sparai col moschetto. Pam - pam - pam - pam - pam pam - pam... Pam - pam - pam pam - pam - pam - pam • pam pam... (Fotografia del Era una festa. La Breda si divorava il suo caricatore, cartuccia per cartuccia, a precipizio; e sputava fuori fuoco e fuoco, a precipizio. Nell'aria bruna, dall'imbuto in cui si svasa la canna, in cima, vampeggiava istantanea, rosso-livida, in continuazione. E la raffica delle pallottole falciava la distesa prativa davanti, falciava dentro nella schiera abissina. Attimi; e davanti non vedemmo muovere più niente; ma solo qualche appena distinto biancheggiare immobile, tra l'erba: càmici, che non vestivano più che dei morti. — Passa ancora una raffica, se qualcuno facesse il morto per finta. Poi allunga il tiro, là: laggiù qualche cosa, ora, muove ancora. E là: quelle fiammelle di fucilate: dagli una buona innaffiata, dove vedi le fiammelle. — Non ho più caricatori. — Stai: vado a prenderli io. Corsi indietro al casello, dove avevo veduto due zainetti di co-' ricatori, vicino alla porta. Me li caricai; e tornavo; quando il mitragliere venne in qua, portando la sua arma tra le braccia. Mi brontolò: — Di nuovo inceppata. E stavolta, ho paura... — Quella non è urta mitragliatrice: è un macinino da caffè, rotto. Entra nel casello: vedi se trovi un lume: e vedi se ti riesce di ripararla. Inatteso soccorso Afa già poco prima ero stato in ascolto, per certa fucileria che proveniva dalla parte degli Addàs, non lontana; e scoppi, mi pareva, di bombe a mano, relativamente vicini, anche questi. L'eco? Mah!... Eppure avrei giurato che quegli ultimi colpi, che avevo risentito, adesso, da quella banda, avrei giurato fosser del nostro novantuno. In quella, il tenente colonnello Martinàt correva sul lato orientale del casello e del quadrato della nostra difesa: — Cessate il fuoco — gridava — nessuno spari: cessate il fuoco. — Colonnello? ebbene? — Afa non avete sentito? Colpi di novantuno, di là. Sono i nostri, che avanzano. — Eh! — proruppi — volevo ben dire! L'ho sentiti anch'io, colpi di novantuno e bombe a mano. E già, forse, un quarto d'ora fa. E si avvicinavano. — Silenzio — comandò il colonnello. Stemmo in ascolto, sospesi. Poi, come per una tacita intesa, cauti, avanzammo fuori dal nostro quadrato, dall'angolo del casello, verso quei tucùl e quelle due costruzioni distaccate della lampisteria e del ripostiglio, da lato della ferrovia, in direzione degli Addàs: dove io m'era già prima avviato, con la mia pattuglia. A certo punto, per la campagna buja, all'albore pallido delle stelle, che si erano accese nel cielo, qua e là, tra un po' di nuvolaglia vagante; scorgemmo due tre ombre, che si accostavano. — Chi va là? —■ chiamò Martinàt. Nel medesimo istante, una voce, dalle ombre: — Chi va là? — Italia. — Camicie Nere della Tevere. — Tevere: chi sei? — chiese Martinàt. — Centurione Dragoni. Ci corremmo reciprocamenteincontro. E ci stringemmo le ma ni, a tre, con passione. Poi sùbito il colonnello interrogò: — Dragoni, quanti uomini ci porta? — Spero, ancora una dozzina.— Come? — Dagli Addàs sono partito con una trentina. Abbiamo avanzato sempre combattendo, circondati e combattendo continuamente. Questi, son quelli che restano. A quell'albore pallido delle stelle, le indifferenti stelle, non mi tenni dall'abbracciar e l'ex Federale di Arezzo, già Console comandante la Petrarca: — Caro Dragoni. Bravo. Bravo. Da allora, da quel patetico incontro, quella sera di combattimento, nella buia campagna abissina, ci diamo del tu. Eravamo camerati, e siamo fratelli. I dodici di Dragoni .Rientrati che fummo nel quadrato della nostra difesa, al casello, il Centurione Dragoni informava concisamente il Generale Broglia. Dopo che il nostro treno era partito dalla stazione degli Addàs, egli, preoccupato che fossimo attaccati, e della nostra esigua scorta e della scarsità de1 nostri mezzi di difesa, era salito sulla più occidentale delle colline, soprastante alla stazione; e aveva sorvegliato la marcia del treno, col binocolo. — Quando il treno giunse in questi pressi, udii distintamente la fucileria; poi lo vidi arrestarsi di botto, appunto in corrispondenza, qua, del primo casello verso Addis Abebà, a un sei chilometri dagli Addàs. Congetturai, sul momento, che loro si fossero fermati per ricacciare il nemico. Ma quando constatai che la sosta si prolungava, e la fucileria si faceva sempre più intensa, segno dell'accanimento del combattimento e della loro pericolosa situazione, ri. tenni di dovere a ogni costo accorrere in ajuto: dato anche che, intorno agli Addàs, s'era frattan to allentata la pressione del ne mico; e d'altra parte erano stateprese le opportune misure per ronteggiare presumibili minacce— Il presidio non è più stato attaccato? — chiede il Generale— Lo dev'essere stato, dopo la mia partenza, — risponde Dragoni: — Certo, anzi: perchè ho sen ito, ancora poco fa, la fucileriae mitragliatrici, le bombe a mano. Ma io ho calcolato che stavoramai per raggiungere il caselloe a ogni modo ero duramente impegnato contro forze prevalenti, che dietro mi tagliavano la strada— Continui. — Avevo lasciato, dunque, il comando del presidio al Primo Capo-manipolo Mantovani, ufficialvalentissimo, di piena fiduciaraccolta una trentina di uominra le Camicie Nere dei servizquelle che lavoravano alla ferrovia, piantoni, cucinieri, e compre e cinque Guardie di Finanza, chcostituivano la scorta del trenmerci proveniente da Addis Abebà: il treno che s'incrociava coquesto loro, appunto alla staziondegli Addàs, e che 'non è più ripartito. E mi misi in cammino, questa volta. — E ha incontrato molta resistenza? — Per i primi tre o quattro chiometri, soltanto sparse fucilatepoi, ci siamo dovuto aprire il passo a viva forza, con la fucileria, lbombe a mano, la baionetta. Il Generale si volge a me: — Vede, lei? che sperava dpassare con quattro uomini. — Eh, lo so. Il Generale approva l'operatdel Centurione Dragoni, e lo elogia. Conclude: — Una trentina d'uomini, hdetto ? Ahimè, non sono che una dozzina, arrivati qua al casello; galtri... E' stata una lotta allo stremo, che ha sostenuto Dragoni, pevenirci in ajuto. — Ho constatato — aggiungui — d'avere inflitto al nemicrilevanti perdite. — E questa maecftina ? — chiede il Generale, indicando la locomotiva che era arrivata dalla parte degli Addàs, a investire in coda, in tanto malo modo, il nostrtreno. Dragoni non ne sa nulla; e fatto tanto più lo stupisce. Riconosce però la locomotiva, ch'erferma già alla stazione degli Addàs, quando lui muoveva; e gli pare anzi quella stessa del trenmerci proveniente da Addis Abebà, che stava facendo manovra istazione, prima, quando eravampartiti noi, col nostro treno. Questo, così, della macchina investitrice, resta e resterà un mstero. Per la storia, se alla storivalgano i particolari più minut— locomotiva numero 403, — degli Chemins de Fer Franco-Ethiopiens, targata col nome Arussi. Vittime e danni Afa nell'investimento, oltre adanni materiali, al nostro trenche non potrà più facilmentesser rimosso, dobbiamo deplorare un morto, pare, del personale ferroviario indigeno, e qualchferito, purtroppo de' nostri: trattesti il tenente dei CarabiniePapisca, e più gravemente i Carabinieri Vincenzo Di Stefano Luigi Scalone. Il tenente Papsca, che co' suoi Carabinieri cooperava tanto validamente alldifesa, dal loro penultimo vagone del treno, e costituiva anzcon quel suo reparto organicil nerbo essenziale della nostrdifesa, era già stato ferito, prma dell'urto della locomotiva, dun proiettile, di striscio, leggemente. Ora, dall'urto, è statsbattuto contro una parete dvagone; ed è rimasto svenutuna diecina di minuti. Ma appena rinviene, cosi /erito e contuso, e sanguinante e dolorantcom'è, ha già ripreso il suo postdi combattimento, raccoglie rianima i suoi Carabinieri, prodiga nell'azione. Uno dei Carabinieri, non saprei se lo Scaone o il Di Stefano, svenuto anche lui per la percossa dell'uto, non riusciamo a farlo rinvenire. Tre ore giacerà inerte e insensibile, abbandonato, e commorto; e temiamo abbia subitlesioni interne; anche perchè deve avere avuto compressi ■ il torace e il ventre tra materiapesanti, che gli si sono rovesciati addosso, e contro la parete dfondo del vagone, sforzata e iparte sfasciata nell'urto. Fortunatamente, il nemico caduta la notte, ci lascia relativamente tranquilli; e s'accontent AGLI ADDAS : un curioso cimelio: una tenda della Croce Rossa Giapponese, per il servizio sanitario del fu esercito abissino del Negus, abbandonata nella disfatta dell'esercito stesso, e ora adibita per il comando del nostro presidio degli Addàs. (Fotografia del Centurione A Dragoni) Il treno fatto deviare e assalito dal ribelli abissini, al casello del Km. 432, come rimase sfasciato dopo che fu ancora investito In coda dalla locomotiva misteriosa, lanciatagli dietro in corsa. Questa fotografia fu eseguita pochi giorni dopo il fatto, quando giunsero sul posto i nostri Genieri e operaj, per la rimozione del treno e il riattamento della linea. Sparsi al suolo, nell'erba, si vedono gli avanzi del saccheggio abissino del treno, robe e carte dei viaggiatori, i cui bagagli andarono cosi depredati s perduti. di far bersaglio del nostro caseU lo e del treno con qualche fucilata, di tempo in tempo, o qualche più nutrita scarica di fucileria; ma sempre abbastanza di lontano, da un trecento o quattrocento metri. Ne approfitiiamo per sistemare organicamente la nostra di» fesa, secondo gli ordini del generale e le disposizioni del tenente colonnello Martinàt. Bulla mitrar gliatrice non si può più contare? rotto il mollane di recupero, guasta l'unica canna, l'arma defini' tivamente inservibile. Il generale fa radunare i caricatori che avanzano, questi della mitragliatrice; e ne distribuisce le cartucce tra i tiratori: serviranno per i fucili e i moschetti. Calcoliamo che, così, veniamo ad avere ancora tra i quaranta e cinquanta colpi, per fucile o moschetto. Il giorno seguente, quando, sulla sera, arriverà il treno di socm corso, e lasceremo il casello, il colonnello Lérici di Stato Maggiore, mi farà giustamente osservare: — Abbiamo risolto il tema: — improvvisato apprestamento a difesa di un complesso di tre piccole costruzioni in muratura. — B possiamo vantarci, se badiamo, di averlo risolto in modo magistrale, perfetto. Cosi era veramente. Ma bisogna ricordare che, tra quella quarantina d'armati, all'incirca, cui ora sommavamo, col rinforzo del Centurione Dragoni e de* suoi uomini, si annoveravano un generale, un colonnello e un tenente-colonnello di Stato Maggiore, un tenente-colonnello e un capitano del Genio, un già console e ora centurione, e un seniore della Milizia, un capitano — devo pur citare tutti, quindi anche il sottoscritto, per debito di cronaca, — capitano degli Alpini, un tenente dei Carabinieri. Ma non potei trattenermi di scherzare col Generale Broglia, non fosse che per dimostrare che l'apprensione non era tale da toglier, ci il buon umore: — Afi congratulo con Lei, signor Generale, per la bella carriera che ha fatto: da Vice-comandante di Divisione, d'una superba Divisione come la Sabauda, è finito comandante di plotone: quaranta uomini, come toccherebbero a un imberbe di aspirantéllo. — Già — mi rispose sorridendo; — ma un plotone d'eccezione. — Afi' battè cordialmente sulla spalla: — Le affido il comando del fronte nord, con una squadra di formazione, Fanti, Camicie Nere, Guardie di Finanza, e mi pare, anche un pajo di soldati del Genio. Vada al suo posto; e mi raccomando, occhi aperti: occhi ben bene aperti: che di notte, con questo bufo, possiamo trovarceli addosso, in massa, da un momento all'ai, tro. Adesso vengo poi io, a controllare. Mario Bassi

Luoghi citati: Arezzo, Dragoni, Italia, Vittorio Veneto