Dal Marino all'Arcadia di Francesco Bernardelli

Dal Marino all'Arcadia Dal Marino all'Arcadia Insomma, se si vuol dire in breve quel che mancò al marinismo, al Seicento letterario, è presto fatto : mancò il genio poetico, la fantasia creatrice, l'ulte le ricerche di studiosi e critici, per quanto sottili, non riescono ad aggiungere gran che a questa semplice e radicale constatazione. Che tra quei letterali e gentiluomini scarsa fosse la vita morale, o fiacca e_ dispersa, è pacifico; che l'artificio cortigiano., la fatuità boriosa cercassero vacue sonorità, effetti ingegnosi, gran spettacoli <li rime, di canzoni, di poemi, è altrettanto vero; ma se le fiamme cocenti che non il ghiaccio ma un altro foco spegne, se i risi che son pianti, se i fragorosi sospiri, se il Sudale, o fuochi, a preparar metalli, sono rimasti nella storia letteraria sciagurati esempi di quello che non si deve fare, ciò è dovuto unicamente a una cosa da nulla : quei finti poeti non erano poeti veri. Lapalissiano. E pure, nell'irritazione che ci prende di fronte a tanta bravura volta al mal fare poetico, la recisa sentenza vien giù spontanea, come una scrollata di spalle. Il Leopardi, con l'istintiva, profonda finezza di letterato che gli faceva toccare nell'intimo le cose dello stile e della fantasia, scrisse che anche il Marino, anche i seguaci del Marino, anche i più barbari poetastri del Seicento, imitarono la natura, ma che la imitarono senza naturalezza; e li paragonò a Ovidio che pure imitò, senza naturalezza, la natura, « lasciando vedere molto agevolmente e chiaramente com'egli facea con le parole quella cosa difficile e non ordinaria nò propria di es se, ch'è il dipingere, manifestali do l'arte e la diligenza e il proposito, che scoperto, fa tanto guasto ». Ciò per intemperanza e per non saper fare il mollo con poco. Saper fare molto con poco è esattamente avere il genio della poesia. E Leopardi accennava anche all'innocenza, all'ingenuità di quei sommi poeti antichi che gli effetti della sensibilità, e le altre cose naturali, imitavano senza pose, e senza atteggiamenti. A questo punto siamo indotti a ritornare sui nostri passi, e — riposta la sentenziosa e comoda definizione del marinismo come assenza di genio — a ri prendere l'argomento morale e umano, che è poi sempre, pelvi e nascoste e misteriose, stret tissimamente legato ad ogni argomento estetico. Ai marinisti e secentisti non fecero solo elifetto ingenuità e innocenza ; fece difetto l'umiltà. L'umiltà — posizione morale tutta interna alla fantasia — consente, favorisce l'autonomia, la libertà della ispirazione. E' un lasciar primeggiare il fantasma lirico, il bisogno espressivo, il dono di Dio della poesia, su ogni altro bisogno, o interesse, su ogni circostanza mondana, psicologica, pratica, sulle facoltà stesse dell'intelligenza e del talento. I marinisti erano gente che a tutto servivano fuorché alla divina grazia del poetare; servivano la società dei loro tempi, la moda della sensibilità, servivano se stessi, non servivano la poesia. Io, il loro io, prima di tutto e prima di tutti; il loro io di artefici, e cioè di « abili », di letterati miracolosamente abili e bravi. Quel gusto folle dell'arte per l'arte, quella smania di sorprendere, di scuotere, di sbalordire, la ricerca dell'inedito, di sensa- tfespzioni peregrine non ancoraespresse o non ancora inventate da altri, l'indifferenza morale e la superbia della forma : tutta questa dispersione spirituale è frutto di fatuità e d'orgoglio. « Le voci semplici e vive dei sentimenti fondamentali dell'animo umano più non bastarono... » scrive Carlo Calcaterra. Non bastano mai, quando il sentimento — fatto della poesia — è sottomesso all'individuo senziente — fatto psicologico e occasionale, strumento e via —; non bastano quando ci si credepiù grandi, più bravi e più ini- portanti di quello che amor' della dentro, ossia quando si pecca contro l'umiltà. Tutto il quadro della lirica del Seicento e dell'Arcadia è ora raccolto in un bellissimo volume dei Classici Rizzoli, diretti da Ugo Ojetti : / Lirici del Seicento e dell' Arcadia, a cura di Carlo Calcaterra. Bellissimo volume perchè raccoglie una quantità di testi che sarebbe difficile avere altrimenti, perchè li dispone in un ordine, con una prospettiva che li illumina da ogni lato, onde se ne posson trarre facili, spontanei raffronti e insegnamenti ; perchè presentato dal Calcaterra con prefazione, note e indicazioni che non -»i potrebbero, desiderare più chiarificatrici. Una prima reazione al secentismo fu già in atto nel Seicento slesso col Chiabrera, ronsardeggiantc e classicheggiante, con il Guidicon il Fihcaia, .ma questi « pindarici », questi severi rimalori dalle gote gonfie non fecero, in sostanza, che sostituire l'ima all'altra rettorica, la rettorica della magniloquenza eroica a quella dello svolazzo concettoso e civettuolo. Vi fu anche, nel Seicento, un poeta di razza, e mancato, il Campanella; dal fare duro, aspro, rozzo, tutto fuoco e arditezza, balenante di intuizioni splendide, cosmiche e fantastiche; ma, soverchiata la poe- ica serenità dal procelloso proetismo, la sua opera, ineguale e informe, rimase solitaria, e enza addentellati. E bisogna proprio venire al Settecento per rovare una mutazione della sensibilità e della pratica dcl'arte poetica. Alle generazioni lei Marino, degli Achillini, dei Mclosio, dei Redi, dei Guidi, dei 1'ilieaia, dei Lemenc, succedono le generazioni dei Rolli, dei Mctastasio, dei Frugoni e Savioli e Vittorclli. La vena melica che pur trovavasi serpeggiante nel marinismo, sfocia n Arcadia. L'Arcadia — scrive il Calcai erra — non fu che un ridar valore alle voci intime del sentimento sul dominio dei sensi...». Il dominio dei sensi aveva sospinto l'arte del verso « al polverizzamento delle immagini e al mero suono », ora questo affinamento di una piccola ideaità del cuore riconduce tra le facili rime quella «affettività spirata e fluidità vocale » che ha nel Metastasio la sua più compiuta, armoniosa, suadente espressione, e nella canzonetta a Nice — La libertà — il suo capolavoro. La grazia — malizia e gioco —, la lieve, fuggevole, manierata felicità di qualche momento lirico settecentesco (quella grazia, quella felicità, che dovevano divenire, poi, raffinatissima, patetica nostalgia del romantico Vcrlaine), sono riconoscibili nel moto di un verso, nell'apertura di una strofe: cosette da nulla, ma che bastano a schiudere le porte al presentimento della poesia. Che so? del Rolli il famosissimo : La neve e alla montagna, —.L'inverno s'avvicina; — Bellissima Neriua, — Che mai sarà di me?', o del Vittorclli: Guarda che bianca luna! — Guarda che notte azzurra! — Un'aura non susurra, — Non tremola uno stài... Cosette: ma denunciano — trovatine del sentimento — un brivido leggero non solo del cuore, ma dell'immaginazione. E qualcosa v'è pur sempre da spigolare in questi campicclli ; come gli endecasillabi del Rolli che il Calcaterra giustamente rileva, « vive deliziose miniature femminili del periodo londinese » ; come certe sobrie e mitologiche delicatezze del bolognese" Savioli, ove senti alcunché di pariniano, con quella gravità effusa sulle più futili cose, con il gusto della preziosa raffinatezza del viver mondano, con quel farsi precettore di eleganze e galanterie : Poiché a carriera insolita — Tu movi i passi incerti, — Io guida volontaria — Mi t'offro: odimi e avverti; ed è vero che ciò che qui è serio e non mentito diventa incantevole ironia nel Parini, ma certi raffronti, se pur minori e da usarsi con discrezione, tuttavia servono a illuminare, e a far comprendere più addentro. V'è da raccogliere e cogliere; all'eco della molle par lata umbra del Rolli e del Me lastasio — come disse il Car ducei — segue l'abbondanza fa cilona del Frugoni, l'agilità «in genua e franca» della Ricama trice del Crudeli, l'arguzia del Vittorclli, che fiorì — è ancora il Carducci a dirlo — «nell'ili lima generazione rappiccinita e infiacchita, ma sollazzevole e buona e spiritosa, della repubblica di Venezia ». E pure, se ben si guarda, si deve riconoscere che in concili sionc con l'Arcadia non si fece che passare dall'esibizionismo marinistico del mirabile e del dllvnddppfbislacco, all' esibizione del par goleggiante e del sentimentale. Se la reazione dell'Arcadia al Seicento diede gracili e pallidi fiori, se « si perdette nel sentimentalismo, vale a dire nel manierismo del sentimento», lo si deve, ancora e sempre, alla « povertà di inlima sostanza poetica, come se l'anima fosse estenuata ». Se i secentisti peccarono per eccesso d'orgoglio, questi altri peccarono forse per eccesso di umiltà, o meglio per affettazione di umiltà di fronte al sentimento, non già concreto e vivo, sostanza del crore e della poesia, ma ente astratto, convenzionale, feticcio adorato in se stesso per moda e capriccio, e nel quale si compiacevano e sfinivano quelle mondane velleità. Perchè sentimento e vigilanza dell'arte, esperienza e fantasia, devozione alla poesia e animosa virtù conquistatrice di ritmi e di miti, si fondessero in opera nuova e feconda, bisognò attendere che l'ala del genio romantico scendesse rombando sulla ferma, statuaria bellezza del classicismo. Allora, nella rinnovala coscienza dell'uomo, istinto demoniaco e contemplazione confluiranno in atto d'amore, allora avremo, stupenda unità spirituale, matrici della moderna poesia, le opere di Foscolo, di Leopardi, di Goethe; allora sui pensieri e nei canti brillerà lo splendore di quella naturalezza, schietta e profonda, dedotta dalla più arcana realtà del mondo, che il Leopardi anche diceva divina sprezzatura, e che è, nella perfezione stilistica, il fruscio del dio ignoto. Francesco Bernardelli

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