La Torre Magna di Corrado Alvaro

La Torre Magna La Torre Magna A Nimes in Provenza ci trovammo davanti a uno dei pochi misteri dell'architettura pubblica romana, ed è la Turns Magna, la Tour Magne. E' una torre alta 30 metri, su un bastione romano anch'esso, di tre piani rientranti; non era vuota, si poteva salire alla sommità per una scala esterna. Perciò non era una tomba. La dicono un trofeo della conquista romana in Provenza. Tra le diverse ipotesi che si son fatte su questo argomento, vorrei affacciarne una anch'io non meno arbitraria di tutte le altre: che la Torre Magna fosse, sul colle più alto di Nimes, per la gran piana della Provenza, una torre di segnalazione a distanza sulla via di Spagna. Vidi già sulla costa meridionale dell'Anatolia i posti di segnalazione da Levante a Ponente : una serie di colline a uguali distanze, erette con materiale di riporto e rimaste poi dai giorni di Pompeo. Ora hanno figure di dune naturali. Quassù i Romani accendevano i loro fuochi e comunicavano in un linguaggio telegrafico le notizie che negli autori latini corrono tanto veloci sino alla Capitale. Penso la Torre Magna servisse allo stesso scopo. Le tracce dei Romani mi fanno pensare più volentieri al comodo e all'utilità che all'ornamento. La decorazione dovette essere per loro un modo di atteggiarsi più che un fatto religioso come fu pei Greci ; una eredità prima etrusca e poi orientale e greca ; e un pezzo romano è decorativo perchè ha una struttura quasi fatale come se avesse carpito una legge di geometria e di statica esatta. La loro era una religione dell'uomo, di quello che va e che corre, dell'uomo in cammino. Traversando l'Alvemia, un prete francese ci chiese posto in vettura. Sedette nel fondo, e come eravamo nel paese d'acque donde la Dora corre verso la Dogna, si mise a parlare dei Romani : essi avevano conosciuto anche queste acque, e le terme che si trovano in questa valle furono già loro. Il fatto del lavacro religioso diviene presso di loro utile e comodo per poi tornare religioso col Cristianesimo. E' un perpetuo parallelo con l'Oriente: questo corre subito all'alto, all'invisibile; Roma ne fa un modo di stare al mondo. Il prete francese lungo la Dora era venuto dalle Lande a" curarsi, e come era sotto l'uniforme della Chiesa romana, era pur sotto la cura romana dell'acqua. Oh, diceva, non biso gna pensare che gli stabilimenti d'oggi siano più belli di quei d'un tempo. Non ricordo a questo punto la descrizione che tirò fuori l'abate; certo i marmi i bronzi i mosaici brillavano nel suo discorso come in una de scrizione antica, e ancorato al latino del suo breviario, quell'acqua gli parlava latino. Poiché il lato veramente amabile dei Romani e che ha un valore universale, è quanto di essi si rivolge all'uomo. Forse da questo punto la vita sociale prende nome di civiltà, cioè il suo atteggiarsi in una forma comune a tutti. Arriva anche per noi una stagione di bellezza suprema : Firenze, Siena, l'epoca ateniese, l'esaltazione del mondo giovane, l'ebrezza della intelligenza che consegna l'individuo all'infinito. Non si può leggere senza ricordare i miti orfici la vita del Beato Colombini che a Siena, rinunziando agli affari, si contornò di seguaci nell'esaltazione di fronte al mistero ; si legavano funi al collo e si facevano trascinare in ludibrio per le piazze: l'anima tocca qui il suo apice, l'ebrezza confina con la morte. Ma i Romani. Ultimamente s'è letto qualche scritto sugli Etruschi. Pare siano giù di moda gli Etruschi. Ma gli Etruschi hanno in pugno i due capi ai quali la civiltà romana e quella rinascimentale si possono appellare come a un tema posto alle origini della vita italiana. Si possono ricordare davanti al Camposanto di Pisa, come davanti al Ponte sul Gard, il più bel ponte del mondo non soltanto antico. La vita italiana si svolse _ poi da questi due capi. Il mistero ripullulò da quel fondo nella grande arte italiana, e più di una donna di Michelangelo si vplge a guardarci con occhi di una donna di Tarquinia etrusca. E poi dagli Etruschi i Romani impararono a tagliar pietre, a gittare strade; e non capisco perchè si parli degli Etruschi come di stranieri quando ancora tutta la valle del Po serba nel suo linguaggio il suono e il colore di quella misteriosa lingua. Le arti buone all'uomo fecero la grandezza ancora attuale di Roma, tanto che Romano fuori d'Italia e a chi li conobbe come in Provenza, suona cittadino, qualcosa di più che nazionale. La differenza che corre tra Roma ed Etruria è la stessa che tra urbano e provincialetra guerriero e mercante : due aspetti paralleli, due modi dconquistare il mondo e di reggerlo. In ambedue i casi, è la creazione degli affari, della vita, dell'azione. La Provenza lo ricorda bene. A Roma cotesta creazione del mondo quotidiadnUrvcsaCfivuacsg no diventa gigantesca, ha un sospetto di Babilonia e di Egitto ; il trionfo è. fragoroso ; tutto dovè esser grande nella città dove i piedi delle statue segnano ancora l'orma di due metri. Un animo timido può sbigottire a Roma dove è presente dovunque l'impressione di panico che dà la folla. La folla, il personaggio del dialogo di Roma, atterrisce ancora a guardare il Colosseo. La rovina vi diviene fenomeno della natura; mentre in Grecia è l'impressione dovunque del Dio fuggito. Arti umane, ragionevoli, iniziazione alla vita, e la vita è sempre dura: questa è la crudità romana corno molti chiamano il suo realismo. Attraverso la Provenza è il senso dell'uomo come se vi avesse abitato sempre senza preistoria. Le valli dominate dai Totem, poiché bisogna immaginarla la Gallia selvaggia, densa, grandiosa come apparve a Cesare e come appare ancor oggi l'Alvernia, sono più in alto verso i massicci e i picchi. Quaggiù si apre la piana felice. Ecco la vite, l'ulivo, il cipresso, si direbbe Toscana; ma l'orizzonte è più vasto, e si direbbe Lombardia o Veneto; c'è la roccia aspra dei Baux, e sembra Liguria. Pare di riconoscervi aspetti del nostro paese, ma riportati su una struttura geolo¬ gica più vasta. A Aix le fontane scandiscono il ritmo delle fontane di Roma sino all'età Barocca ; palazzetti parlano di una vita privata, cittadina, densa di borghesia. Più sopra, nel centro della Francia, è tutt'altro: un palazzo, come quello di Jacques Cocur, due o tre palazzi, parlano d'una vita popolare raggruppata modestamente sotto le ali d'un signore, e tutti sotto la protezione d'una chiesa. Nelle città della Provenza è passata una vita più complessa, una classe intera di piccoli signori che vi ha lasciato un aspctto comunale come a Genova o a Firenze; insomma, quanto nella vita è « privato » : la privacy degl'Inglesi. Arles, Nimes, Orange. si trovano a pochi chilometri l'una dall'altra e dappertutto ricorre il tema dell'occupazione romana : il teatro, la palestra, il foro, le terme, il tempio presso le fonti d'acqua, la porla pei veicoli e i pedoni bene spartita, il j ponte, l'aquedotto. Ancora oggi |la corsa dei tori e il cinema serale si svolgono nell'arena dei vecchi anfiteatri; i manifesti e le ghirlande di carta colorata animano le vecchie arcate: un banco con sopra scritto « Birra » occupa curiosamente un posto sulla gradinala vertiginosa. Ecco dunque formato un centro, creata una vita urbana, e non è da dire che la decorazione avesse un carattere provinciale e coloniale. La romanità vi acquista un timbro locale, certo; ed è qualcosa di minuto ed elegante, di gremito, che si ritroverà poi nella rinascita dell'architettura francese neoclassica, dal Settecento fino all'Impero. Chi ha veduto la Provenza si spiega poi di dove venga questa architettura neoclassica francese che non è romanizzante nè grecizzante, ma viene dal romano di Provenza. E poi tutto questo ci dice che l'Italia fu sempre la stessa: strade piazze c acquedotti furono sempre il suo tema, come di un paese bisognoso di mettere ordine in una natura difficile e assetata. La sua bellezza è la pratica, l'uso, il suo motivo l'uomo. Il suo Cristianesimo, più tardi, fu quanto di più individuale, stretto alla coscienza, si sia mai visto tra le religioni. Xon ebbe mai guerre di religioni nè guerre d'ideologia, nepipure quasi con le Crociate. Un [muro romano è bello proprio jcomc la casa dell'uomo è bella a chi l'abita, e quattro pietre 'squadrale che rimangono l'una sull'altra bastano a fare paesaggio ; non è l'astratto e il divino ideila colonna greca: si potrebbe chiamare intimità umana. Corrado Alvaro

Persone citate: Gallia, Gard, Greci, Jacques Cocur, Magne, Pare, Ponente, Torre Magna