La battaglia attorno al treno deviato

La battaglia attorno al treno deviato ZALALACA - OSSIA IL CASELLO Al KM. k32 La battaglia attorno al treno deviato // tradimenio del Capostazione — In viaggio senza comunicazioni telefoniche « Le rotaie divette e l'assalto di quattrocento ribelli Trenta moschetti e poche pistole per difenderci— Donne bambini e indigeni in preda al terrore — Come è morto Arturo Mercanti (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) ADDIS ABEBA', settembre. Il Capo-stazione stava discutendo con quel funzionario oreco della ferrovia, Capo-distretto Principale, che viaggiava sul nostro treno, e di cui ho già avuto occasione di far menzione, che si era comportato con energia e coraggio, nella circostanza dell'attacco al treno, pur allora, circa un chilometro prima di arrivare agli Addàs. Si chiamava, ho saputo più tardi, e lui stesso anzi mi scrisse il suo nome su un mio taccuino, Dimitrìu Velissariu. Stavano discutendo concitatamente, lui, il Capo-stazione degli Addàs, ch'era un indigeno, e un altro indigeno, ch'era precisamente il macchinista del nostro treno. Quando senti che il Generale Broglia lo chiamava, il Capo-stazione, direi, e ci ripensai dopo, al lume del senno di poi, ebbe una espressione e un gesto di fastidio, 0 di apprensione; e direi, cercasse evitare l'incontro, e squagliarsela. Ma il Velissariu lo trasse con sè, d'autorità, e quasi a forza, dove il Generale aspettava, con gli altri ufficiali. Commedia o tragedia? Non ho assistito al colloquio; durante questo breve tempo, parlavo con alcune Camicie Nere, informandomi dei particolari degli avvenimenti di quella già agitatissima e combattuta giornata: — lunedì, 6 luglio. Mi riferiva poi il Tenente-colonnello Martinàt: che la discussione tra il Velissariu e il Capo-stazione indigeno consisteva che il Velissariu stesso, nella sua qualità di funzionario superiore, rimproverava all'altro di volere far viaggiare i treni, e partwolaipnente far ripartire il nostro diretto, mentre il telefono non funzionava, evidentemente per essere state le linee telefoniche, sia verso Duchàm, Acachi e Addis Abebà, sia verso Moggio, da una parte e dall'altra, in salita e in discesa, tagliate dai ribelli; e perciò non essendo possibile aver notizia, delle condizioni della linea ferroviaria. E l'altro obiettava' che il fatto non era cosi straordinario, che parecchie volte era già occorso che, pei- una qualunque causa, il telefono non funzionasse; oppure i treni erano stati fatti partire ugualmente, e avevano viaggiato senza inconvenienti. Il Greco insisteva che ciò era contrario ai regolamenti; l'etiopico Capostazione sorrideva, che i regolamenti figurano bene scritti sulla carta; ma ad applicarli alla lettera, nella pratica corrente, c'è come tra il dire e il fare, di mezzo il mare. — Se si dovessero applicare i regolamenti, scrupolosamente, nessun treno non circolerebbe più. — Ma qui non si tratta d'un de' soliti inconvenienti accidentali e senza importanza: si tratta, che 1 telefoni sono stati tagliati a- bella posta, e che la linea è minacciata dai ribelli. — E chi lo afferma? — nbat teva quel degno Capo-stazione — a me non risulta. Accidenti: eravamo stati attaccati, noi del treno; era stata at taccata Gli Addàs... Lui si stringeva nelle spalle ,e quasi pareva per concludere che questo non era afjar suo. Ricordava si l'indimenticabile capo-stazione della commedia francese — di fatto eravamo su ferrovia francese, e con quanto di francese a insidiarci dovunque — che "alle proteste dei viaggiatori risponde con l'arcinota battuta: « Viaggio io forset... ». Sennonché, qualche giorno dopo, troppo tardi, appureremo ch'egli rappresentava ben altra parte in quella nostra non commedia, ma dramma, e che inclinò alla tragedia: appureremo, dopo, quand'egli sarà premurosamente scaippato, sottraendosi con la fuga al meritato castigo, ch'egli era addirittura tra gli organizzatori locali della rivolta, e degli attentati e assalti al treno e alla stazione stessa degli Addàs. E suoi complici, anzi mandanti e istigatori, ce n'erano assai più in alto di lui, io son pronto a giurarlo, in quella stessa amministrazione, alla stessa direzione di quella Compagnie des Chemins de Fer Franco-Etbiopiens. Nè mi consta, purtroppo, che alcuno sia stato finora incriminato e perseguito, come di buon diritto. Lui era fratello, mi è stato riferito, dell'ex-capo delle Dogane Imperiali di Addis Abebà; c tra suoi complici più diretti erano appunto funzionari e agenti delle già Dogane Imperiali, tra gli scherani più ligi al passato regime, per ragioni di lucro, e personalmente ad Hailé Sellassié, come il tiranno sotto il cui impero qualunque furfanteria era lecita e premiata, purché una quota dell'utile pecuniario n'andasse allo stesso Imperatore, alle sue private cassette. Taglieggiare, spogliare, magari accoppare un Tizio, non era niente, sopratutto per un funzionario delle gabelle; a patto che una buona metà di ciò che da Tizio si ricavava, magari dall'averla soppresso, venisse offerta all'Imperatore: il diletto Im peratore negro del consesso di Ginevra, e ladro e assassino, come nessuno mai, in tutto il continente affricano. « In bocca al lupo » Non so dunque, come si sia svolto il colloquio tra il Generale Broglia, e suoi ufficiali, e il Capostazione e il Velissariu. A cert t il diciassett e msetrsegsotacilegdtidtapfuzclezrSdqsrpvDrClatcenrsmspdEsstusdfrtgcArnltvcrvsgde mezzo, se non erro, — fu dato il segnale della partenza, pel nostro treno. Quel Capo-stazione diede il segnale della partenza; e se vogliamo concedergli un paragone solenne, evidentemente sproposiato per un verso, fu come il bacio di Giuda. E fu anche il segnae, per la folla, della gente indigena, e prevalentemente donne, di precipitarsi ai vagoni, per parire. Ebbi l'impressione .inconfondibile di gente impaurita, incalzata dalla paura, che fuggiva all'impazzata un pericolo imminente: fuggiva all'impazzata, perciò senza discernere, pur di fuggire. Gli agenti della ferrovia, ricacciavano indietro quella folla, violentemente, brutalmente: ingiunzioni imperiose, grida irose, ingiurie, « e suon di man con elle ». Soltanto qualche donna, sollevandosi avanti sacchi di loro robe, qualche ragazzo e bambino, che sgusciarono via nel parapiglia, riuscirono a insinuarsi negli scompartimenti di seconda classe e nel vagone di terza, già stipati. Strinsi la mano al Centurione Dragoni, che fu Segretario Federale di Arezzo, sua città natale, e Console della Milizia, comandante la Novantaseiesima Legione « Petrarca »; e che rinunziò al grado, come tanti altri ufficiali superiori e generali della Milizia, pur di venire volontario in quest'Africa Orientale, a questa guerra. Gli strinsi forte la mano, con certa commozione e un po' quasi di rimorso, di lanciarlo in quell'ora, che .si presagiva più grave, a quel posto di tanta responsabilità e rischio. Ebbi impellente la tentazione di scendere dal treno, dirgli: — Resto con lei; mi dia un moschetto; è sempre utile, in questi casi, un moschetto di più; — ma considerai che anche il nostro treno, dopo tutto, muoveva all'ignoto, forse incontro ad altrettanto pericolo; quindi la mia sarebbe stata, verso i miei compagni di viaggio, una diserzione; e poi mi occorreva arrivare al più presto ad Addis Abebà, per ordine della Direzione del giornale; e poi, mi venne anche in mente; portavo quella lettera raccomandata, riscrvatissima, di Sua Eccellenza il Governatore dell'Haràr a Sua Eccellenza il Viceré: se nella lettera fosse stato questione, in preveggenza, degli avvenimenti stessi che ora palesemente s'imbrogliavano e urgevano? o questione d'altre urgenti necessità militari e politiche?... Salutai il Centurione Dragoni: — In bocca al lupo. — In bocca al lupo ■— mi rispose lui — E vivo l'Italia, sempre. Con uno strappane violento, prima, fischiando e sbuffando, il treno partì. vsqtmlssgdtnsbE di nuovo nella fucileria Stavolta non dormhio. Ciò che ignoravo, che non avrei chiuso occhio, non avrei più riposato, per altre almeno trenta ore. Uscito dalla stazione degli Addàs, il treno gira dal piede della più prossima delle colline, sulla destra. E si scoprono per esteso i Laghi Babbo Gaja: nello specchio tremulo si rifletteva il declinar del sole, verso il tramonto, e la più carica tinta del cielo, e quell'alibagliar d'oro dell'occidente. Il lago più accosto alla linea ferroviaria, da destra, oltre la collina, ha più che altro aspetto di palude: l'acqua bassa stagnante muore tra rive pantanose; e l'acquitrimo arriva, in certi punti, tra guazzo e molliccio, fin quasi alla massiccitata della linea ferroviaria. Indi, spazia ondosa una campagna coltivata, campi, e distese di stoppie, e distese erbose; e sono sparsi alberi d'alto fusto, con chiome fronzute; e sono sparsi villaggctti, e più piccoli raggruppamenti di tre o quattro tucùl insieme, di capanni, cintati della loro zeriba spinosa. — Ecco l'interruzione telefonica. Il Seniore Costa, ha dato ravviso. Dai pali infatti, lungo la ferrovia, pendono tagliati i fili: tre, quattro campate, ancora... Non fo a tempo a contare per quante campate, da un palo all'altro, si prolunghi l'interruzione. Dai due lati della linea ferroviaria, improv- viso, scoppia la fucileria: rabbiosa, mordente; e via via s'infittisce. — Ci siamo. Costa ha già estratta la pistola: quella sua magnifica pistola automatica, che anche questa volta mostra la prerogativa di fare cilecca e incepparsi, al momento esatto che più servirebbe vomitasse intero il caricatore. Vediamo sorgere dalla campagna, per le pieghe del terreno ondoso, uscire dai tucùl, ricini e lontani, accorrere, gruppi di Abissini armati. Altri ne vediamo appostati lungo la linea, dietro gli alberi, tra l'erbe alte; qualcuno per- nsbstnpps sino nel fossetto che fiancheggia il riiicvo della massicciata; e altri ancora addirittura, s'avventano verso il treno, come per tentare di saltare sopra. La macchina sbalzata dai binari Il fuoco s'intensifica, diventa tempestante. Le pallottole fischiano c miagolano da tutte le parti, schioccano trapassando il legname dei lagoni e contro l'armature di ferro, sforacchiano stridule le lamiere. Dal treno, i Carabinieri, e ognuno che disponga di un'arma, rispondono al fuoco. Dall'ultimo vagone, entra in azione la mitragliatrice: le sue scariche, intermesse quasi in cadenza, sovrastano l'altro frastuono della sparatoria. Vediamo cadere, parecchi degli assalitori: qualcuno che si risolleva, faticosamente, incespica, ricade, si trascina; qualcuno che non si risolleva più. Parce defunctis. Ma molti ancora sopraggiungono c si raccolgono. Ce n'è un bel numero che arrivano di carriera, e come temessero di far tardi. Troppi. Alcuni sono anche armati di lancia; altri rotea in aria un di quegli sciaboloni, mezzo scimitarre, con cui è fama mozzino il capo dell'avversario di un solo colpo, netto. Grazie tante. Un insopprimibile brivido mi cola giù e rimonta per il filo della schiena. Il treno ha accelerato la corsa: il macchinista ha dato il tutto vapore. Forse, se riuscissimo a pas sare via. in fretta, a cavarcela di qua... Non potranno mica tener dietro al treno in corsa, questi energumeni del demonio. A un tratto, un urto formidabile, come se il tremo fosse andato a sbattere contro un ostacolo incrollabile; un cozzare e un tuono e uno strepito di ferramenta percosse e sforzate, e di legname spaccato, uno sconquasso e un fracasso unici. E siamo fermi. ficdetdmegcictsagtgdtfiicrhrtBdcsMi rialzo intontito, dal fondai del vagone, dove il contraccolpo mi ha proiettato e rovesciato, lungo disteso. Penso un po'; e sento che mi duole la spalla, con cui sono caduto, il braccio, l'anca, il gi¬ nocchio. Forse barcollo; ma lo scheletro, se non m'illudo, sarebbe ancora tutt'intero. Siamo fermi: in mezzo al tempestare della fucileria, che pare moltiplicata. Mi accosto a un finestrino, cui le pallottole hanno sfrantumato il vetro; e sbircio fuori, tra quell'iraddiddio di colpi e di pallottole. La locomotiva, col tender, è sbalzata dai binari; e appena s'intravvede, tra getti di bianco vapore e fumo oscuro, che se ne spandono violentemente, sfriggendo e sibilando, e J'invoIgono come d'un tempestoso nembo, e attraverso a cui rosseggiano fiamme e balenano faville. La locomotiva, deviando, è caduta giù dalla massicciata, diagonalmente, e s'è affondata e incastrata con tutte le ruote nel terreno molle della campagna, inclinando fortemente su questo fianco. Il tender e mi pare anche i primi due vagoni, due merci, sono sbalzati anch'essi dai binari, sospesi quasi in bilico sul bordo della massicciata, con le ruote, da questa parte, nel fossetto. — Siamo fregati — grido al seniore Costa, che s'è tirato su anche lui, dal pavimento del vagone, dove anche lui era stato gettato, e si va stirando braccia e gambe, con l'aria più contrariata del mondo. — Questi porci hanno tagliato la linea. Anche Costa, si sporge da un finestrino, dall'altro lato del treno. Poiché la visuale non gli è impedita, come a me, dalla manchina deviata, scorge la. linea ferroviaria ,avanti, oltre il treno. — E' l'ero — mi risponde: — hanno tolto due ojre campate ili rotaje, non vedo bene. Ecco le rotaie divette, buttate là, nel fosso. Bisognerebbe che il macchinista desse sùbito indietro, con la macchina. Andiamo a dargli l'ordine. il casello della salvezza Lui. dalla sua parte, non ha visto il disastro della locomotiva, ricaduta di qua. — Inutile, caro Costa: venga a vedere, dov'è finita la. locomotiva. Non c'è niente da fare: se non vender cara la pelle. La gragnuola delle pallottole ci avverte che. se continua così, la cosa non andrà molto per le lunghe. E poi, ora, gli Abissini mitouono decisamente all'assalto del treno. I primi sono arrivati già e si spingono a meno d'una cinquantina di metri da noi. Incalzano, dietro, gruppi più numerosi. Sembra portino veramente l'assalto a ondate: qualche minuto i ancora, forse neppure; e li arre- rne addosso. In queste condizioni disarmato com'io sono, meglio una pallottola; e che la sia finita. Per la prima volta, forse, nella mia vita, anche il mio irreducibile otti- o , i i e , o mismo ha ceduto, e la speranza.;Domine, miserere me. peccatoris.,E m'affaccio ingrugnito dal fi-\westrino; e trascuro che mi sento preso direttamente di mira. Ma eridentemente sparano male, que-1sii Abissini, male. Ora, voltandomi indietro, versoii centro e la coda del treno, vedo gente, che si precipita giù dai vagoni, da questo lato di destra, secondo la direttrice di marcia: — che l'attacco dei ribelli proviene prevalentemente e mira sul lato opposto: —■ si precipitano, qualcuno saltando dai finestrini; e fuggono indietro. Ma ciò che più im- ù e, n e r nsi cral u ae a o n e è nr— li oo. a ce. iia a. n ci a noel e nai. sto porta, scopro che la coda, del treno, l'ultimo vagone, o gli ultimi due, si sono arrestati precisamente in coi-rispondenza di un gruppetto di piccole costruzioni in muratura, cioè davanti a un di quei caselli ferroviari, o stazioncine, che avevo già notato, di tratto in tratto, lungo la linea. La gente fugge affannosamente verso il casello, come a un riparo provvidenziale, che si offre, con le sue solide mura di pietra. Anche l'altro compagno di vagone, il Francese, signor Herald, è saltato giù, e corre verso il casello. Un momento, a darsi per persi: un momento, perbacco! — Costa: c'è un casello. Ma presto! presto! La valigia dal cinque milioni Guardando dall'altra parte, verso la testa del treno, scorgo quattro o cinque Abissini, che s'affacciano all'altezza della locomotiva, sgusciano avanti, s'appiattano dalle ruote, cercano inoltrarsi, non sono a più di venticinque metri. — Presto... Ma lasci andare la valigia! Non faccia, bambinate! Costa è indaffarato a tirar fuori il suo valigione, che all'urto del violento arresto, nel deviamento, è rimbalzato, credo dalla reticella portabagagli, a incastrarsi di traverso tra i due sedili; e se lo trasporta. Io esco esasperato sul terrazzino, salto a terra. E sùbito devo buttarmi bocconi nel fossetto: perchè preso tra i due fuochi: gli Abissini, di là; e di qua i nostri, qualcuno che spara dagli ultimi vagoni e dal casello, appunto contro quei ribelli che stanno venendo avanti dalla locomotiva. zmsre- i na er ii- Costa mi rotola addosso, con quel- i la sua maledetta valigia — Senta, Costa: adesso filiamo, quatti quatti, rasenti le ruote, fin sotto il vagone dei Carabinieri. Ma la valigia, la pianta qui, neh! Mi mormora: — Ho dentro cinque milioni. — Eh? Lo guardo negli occhi, convinto sia impazzito. M'è già capitato nella grande guerra, che un'estrema paura, a qualcuno, fa anche di questi scherzi. Ma pare tranquillo: ha gli occhi limpidi, come forse non sono i mici. O che sia impazzito io? che fraintenda, sogni ì A questo punto, noto che da qualche minuto la nostra mitragliatrice, dall'ultimo vagone, s'è taciuta. So ch'è una Breda: certo il mitragliere sta cambiando la canna arroventata. Andammo, ii Seniore Costa e io, in quel po' di riparo del fossetto, stiisciando nel fango, a lato del rilievo della massicciata, per la lunghezza del treno. Intorno a noi. da ogni parte, il rintuojwire della fucileria, e il sibilare dei proietti, fitto fitto. La ghiaia della massicciata, qua e là, schizzava in schegge, al flagello delle pallottole, che schioccavano come colpi di frusta; e lei ruote piene dei l'agoni, sopra noi, sonavano alle percosse delle pallottole, come quando il ferroviere, prima della partenza, ne saggia l'integrità con la mazza di ferro. Poi, a dicci passi dal casello, io non ne posso più; e salto in piedi; e con quattro gambate alla disperata sono contro il muro, tra la facciata de-l casello stesso e il penultimo vagone del treno, il vagone dei Carabinieri. Qua eh' f. per un momento, eir-ìcosci itta ma sgominante, una ; visione d'apocalissi uii'impres-', sione di dies irae, di Valle di Giò-\ '\safat: « ...Solvet saeclum in fa villa - Teste David cum Sybìl la... » E veramente, Quantus tre1 mor est... i « QliantUS tremOLi » Da ogni parte, tuff.'intorno imperversava la fucileria abissi-\na. Dal treno, rimbombavano lei moschettate dei Carabinieri. Tre o qua.ttro di loro, secsi a terra, sparavano dall'angolo del casello, dond'io ero venuto, verso la locomotiva; alla, cui altezza, nascondendosi contro le ruote, il gruppetto dei ribelli, giunti fino là, pare vada aumentando, e facendosi anche più intraprcnden.tr e minaccioso. Ma il fuoco, ancorché così intenso, rabbioso, non era che un degli elementi drammatici del quadro. Lo spettacolo più angoscioso, desolante, opprimente, era dato dalla gente, che s'era riversata dal treno al casello, e quella che vi si buttava, a cercar rifugio: la piccola, folla dei viaggiatori, nella quasi totalità indigeni: uomini donne bambini, alla gran rinfusa. Cominciai a mollare un cazzottane in piena faccia a un negro, che, precipitandosi per entrare nel casello, rovesciava e quasi calpestava una donna, col bambino in collo. Ma quella folla era incalzata e trasfigurata dal terrore. Era un solo carnaio in tumulto e una i ei e, n e anio e, ro, o, a rtca, o i, ue a oel o, ldi lo ul to ti: olnno a. stracoeria sconvolta, che facevamassa alla porta del casello, ur¬ landò strillando singhiozzandoimprecando implorando; e si sospingeva e s'urtava e si pigiava e s'accapigliava, all'impazzata. Qualche cosa di atroce e repugnante — io ho sempre avuto un istintivo disgusto, lo schifo della paura collettiva; — qualche cosa di grottesco e di bestiale: che la dignità umana va degenerata e tutta perduta, quando la paura prende il sopravvento. Così, improvvisamente, per reazione a quella greggia, ritrovai me stesso, e mi raddrizzai, e mi sentii quasi spavaldo. Sulla porta del casello, cercando dominare il tumulto con l'autorità del comando, fermo e fiero, sereno e imperioso, il Generale Broglia dava ordine, successivamente, a quella piccola folla imbestiata. faceva entrare prima, le donne e i bambini. Ricordo una, con cinque figlioli, e in braccio e attaccati alle gonne e stretti atterriti a lei, una meticcia., eh." seppi poi essere certa Signora Porta, moglie di un nostro interprete, all'Asinara; e un'altra, col poppante al seno, che la stessa pallottola aveva ferito lei e il piccino, ma per fortuna leggermente entrambi; e un'altra, una donna bianca, di nazionalità greca, credo, o forse armena, con la figliola, che piangevano a dirotto, portandosi addosso, pur in quel parapiglia, non so quanti, sacchi e sacchetti e inveiti. Rivedo ancora quelle facce stralunate o congestionate, livide o infiammate quelle dei bianchi, cinerigne quelle dei neri, quegli orchi sbarrati, gonfi di lagrime o fatti atolli, quelle boccile torte o spalancate, paonazze. Riodo il grido dei feriti, i gemiti, i rantoli; e il tonfo d'un corpo che cade, e non si rialzeràmai più. Senza canne di ricambio Il Tenente-colonnello Martinàt l- i Tiro mirato: il bersaglio è benae, eui, to to ehe nme ia a, da a'è to la da perfetto ufficiale di StatoMaggiore, aveva già esaminatato posizione, considerata e valu-fata fa situazione, portato ungruppetto d'uomini qua, un altrol'aveva appostato là. Sentivo lale munizionisua voce: Risparmiare visibile. Sparare solo a colpo si curo. E inastate le baionetteTutti pronti a respingere il nemico alla baionetta. Bravi, ragazzi. fi Colonnello Léricì, il Tcncnte-colonnello Cammarata, il Capita-no Cozzolino, aiutavano il GencArate Broglia, in quella urgentis-sima bisogna, di radunare e ri-coverare la gente borghese nel-l'intei-no del casello; ò coopera-vano con, Afarfinàt, in quel suoprimo abbozzo di sistemazione di-fensiva. Il Tenente Papisca diri-geva il fuoco de' suoi Carabinie-ri, dal loro penultimo vagone, imerci coperto. Dall'ultimo vago-ne, proprio dirimpetto alla por-ta del casello, un altro merci co-perto, quello della scorta armatadel treno, la mitragliatrice taceva. Perchè continuava a tacere?Possibile che il mitragliere, in ta le contingenza, impiegasse tanto: tempo per cambiare la canna, se's'era troppo riscaldata? Caccio il capo e mi sporgo nello spor-ifello del vagone, semiaperto. Ve- \ do il caporale, clic, comanda talscorta, e due de' suoi fanti — ne sna- i aveva tre in tutto, — ciie rano coi moschetti, dallo sportel \° f*1™'™ ìato' dm>? P'" imVel lente l'attacco nemico. Il terzo fante, il mitragliere, è disteso dietro la. sua arma, immobile. — Mitragliere, che fate? dormite ? Si volta c mi risponde: — La canna è arroventata. — E cambiatela. Cosa aspettate? Non vedete che li abbiamo addosso ? — Non ci sono canne di ricambio: siamo partiti senza. Se non staccai un mòccolo, di quelli, è proprio perchè io ho l'orrore della bestemmia; ma mi stette qui, sulla lingua, e dovetti a forza ricacciarmela nella strozza. — Non avete le canile di ricambio? Non hai le canne di ri- eambio? E chi è quel cretino che,mando una Breda senza le canne di ricambio? Ma il Regolamento, porco... Negus!... Pisciaci dentro, adesso, a quel tuo schizzetto della malora. Il mitragliere, che non era tenuto a conoscere il mio grado militare, e probabilmente non era abituato a quelle apostrofi dirompenti di noi, Alpini, mi rivol- 10 le spalle, scrollandole, con tilt- ta l'aria di licenziarmi: Im- P^ciati degli affari tuoi, borghe- se. — Il brutto si è che quella mitragliatrice ridotta al silenzio, con gli Abissini a trenta passi, era anche proprio un affare mio, eccome! Arturo Mercanti Il Tenente-colonnello Arturo Mercanti era sceso, con gli altri ufficiali, dal loro vagone, subito dopo il deviamento del treno. E s'era spinto per un breve tratto, da lato del casello, verso il nemico attaccante, sparando pistolettate. Due o tre Carabinieri, mi pare, l'avevano seguito, quei pochi passi. Non ho capito bene quale fosse il suo intento, in quel movimento; ma ho la sensazione che il suo spirito risoluto, bersaglieresco, lo trascinasse, quasi a tentare un contrattacco. Evidentemente si convinse subito che non era il caso, troppo enormemente sproporzionate le nostre forze, in confronto del numero degli assalitori. Forse egli avevacreduto, in un primo momento, diavere di fronte una banda dipredoni; ma dovette riconoscere che, predoni o che altro, si trat-tava d'un trecentocinquanta 0quattrocento armati, che ci cir-condavano, alle minime distanze;mentre noi disponevamo, si e no,d'una trentina di moschetti e diqualche pistola, oltre alla mitra- gliatrice della scorta: quella mi-tragliatrice! Tornò indietro, e montò sul va-gone dei Carabinieri. Chissà perchè? Perchè c'è un destino prescritto, a ciascuno. Ho la scen negli occhi, se li chiudo. Il vagone merci coperto, grigioferro;e il portello centrale tutt.'aperto.Vagone e portello, esattamentedi faccia a me: in quanto io miappoggio con le spalle al „,„rodel casello, sull'angolo, a un di-stacco di due metri, due metri emezzo dal vagone stesso, cioè Jalarghezza dèi marciapiedi, cfte | corre lungo la facciata del cosci-lo, tra questo e i binari. Il fuo-,co nemico, com'ho detto, viene\da tutte le parti, poiché siamo]completamente circondati; quin-. di u riparo del casello, co' suoiImuri di pietra, alle mie spalle, e davanti a quei che mi fronteg-.giovano dal vagone, risulta m'enche relativo, anzi pressoché nullo: e non soltanto per il semicerchio scoperto, di là dal trenodonde anche più s'accanisce l'atI tacco nemico, e più intenso il fuo--lco: ma per largo raggio di q«e--',st'altra stessa parte, per i tirAche arrivano diagonali, dai due-1 lati del casello, c quelli tangen--'.ziali alla facciata, che ne amu«--\no di qua e'di là, e s'incrociano- fra il casello e il treno. Un pan-o'demonio di fucilate, tra avversa-'rie e nostre. - C'è un soldato, mi pare, dc-i Genio, in piedi, sul vagone, conl.tro lo stipide del portello, di qua-', che spara; c'è un Carabiniere, in -, ginocchio, contro l'altro stipite-che spara; e un altro Carabiniea re, in piedi dietro questi, che spa-\ra sopra la sua testa. Sparano ? {diagonalmente, nel settore che s-\allarga doranti a loro, tra il pro seguimento del treno, verso la, locomotiva deviata, e l'angolo del casello, contro cui m'addosso io: i loro colpi mi rasentano, cioè rasenta.no quest'angolo del caseU lo: quasi sento la vampata e la tonante esplosione sul capo e i» faccia. Mercanti, lui, è dritto in piedi, al. centro del portello, tra il soldato del Genio, da questa parte, e i due Carabinieri, dall'altro fianco. Campeggia, con eretta l'alta membruta persona, nell'inquadratura del portello, come nella cornice oscura di un quadro; e il maschio volto è composto e grave, come d'uomo che ha coscienza, intera d'nn'ora. solenne. I baffoni grigi spiccano sul colorito abbronzato della, pelle; gli occhi, color dì chiaro acciajo, mostrano un'espressione acuta di sdegno a di fierezza. Spara ancora con la pistola. Poi, dal suo gesto dispettoso, capisco che ha finito il caricatore, ohe non ha altri colpi. Si ritrae; e subito si riaffaccia, con un moschetto in mano, che si deve ,e?ser.e tatto dare da. uno dei mi¬ \ Viari, nel vagone. Mira, studiosamente; e spara. Ricarica, mira, e spara. Sta ricaricando; e vedo che ha. un sussulto subitaneo e violento, come colpito in mezzo allo stomaco da un tremendo pugno. Un attimo, che si tiene dritto; c il moschetto gli scivola dalle mani; e. lui gira su se stesso, accasciandosi, c piomba già, sul pavimento del vagone. Era stato colpito sotto la mammella sinistra, sotto i nastrila delle decorazioni, e quella d'argento al valore, e i distintivi delle due promozioni per merito di guerra, e l'emblema d'oro dell'aquila, di pilota militare: esattamente al cuore. Mormorò, mentre cadeva: — Aiutatemi... Dio. Cosi è morto il Grand'Uffidale Arturo Mercanti, Tenente-colonnello dei Bersaglieri. MARIO BASSI lì. TRENO FATTO DEVIARE E ASSALTATO DAI RIBELLI ABISSINI, presso Zalalaca, davanti al casello del Km. 432. Al fondo, a sinistra, tra gli alberi, si vedono le costruzioni del casello. La freccia indica II vagone — quello oscuro, un merci coperto, — su cui cadde ucciso il Tenente-colonnello Arturo Mercanti, li vagone che si vede dopo i due merci quello bianco, è il vagone su cui viaggiava il nostro inviato. La fotografia fu eseguita pochi giorni dopo il fatto, quando giunsero sul posto I nostri Genieri, per il riattamento della linea, e fu sistemata la situazione militare nel paese intorno. fessa ■ E CAMICIE NERE DELLA 1.a COMPAGNIA DEL 219.0 BATTAGLIONE — 219.a Leione, «Vittorio Veneto, — compagnia comandata dal Centurione Angelo Dragoni, di presidi" agli Addàs, sulla linea di fuoco, la combatuta giornata del 6 LugMo. Possibile che il mitragliere, in ta-\allarga doranti a loro, tra il pro- UN'ALTRA FOTOGRAFIA del treno fuor del binari e della locomotiva semirovesciata.

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