La gondola

La gondola La gondola Il mondo è pieno di gente che, a sentirla, non ha paura di nulla. E c'è invece al mondo una cosa che fa paura a tutti, pur non essendo crudele con nessuno. Questa dolce cosa è Venezia. Le dichiarazioni che ella ha ricevuto dai suoi cantori sono sempre state arci funeste; le carte d'augurio alla sua gloria, vignette di Piombi e di chiari di luna, andarono sempre listate a lutto ; i motivi delle sue rimembranze furono sempre intonati a mezza voce sulla mandòla del becchino : i Dicci, le segrete, la maschera, lo stilo... o che persino la gondola non fu veduta correre la notte, furtiva come un bravo pugnalatore, portando un manto nero e un lume rosso? Per l'acque tenebrose, lungo ì palagi taciturni, un esterefatto poeta l'ha vista così. Ma non crediate che gli altri l'abbiano considerata con occhi più ridenti. La crestomazia della gondola è il rosario d'un miserere. Chi scoprì nella sua curvatura il «cupo, lungo riflesso della luna sul mare»; chi, nel suo ferro, la falce della Morte; chi, nel suo parato nero e argento, gli stessi colori della bautta dei carnefice. Con le immagini che Guido Marta raccoglie nel suo bel libro edito in Venezia dallo Zanetti, e con altre che circala gondola, la memoria mi richiama, si formerebbe un rosario di teschietti simile a quello dei penitenti castigliani. Il paragone col catafalco è immancabile. Ada Negri manda oggi, innanzi al « cofano mortuario >, lo stesso grido di spavento gettato al suo cospetto, cento anni fa, dalla cantante Malibran. Neppure sembra esistere differenza tra la più benigna gondola da amori e quella lugubre della carestia salutata dal Fusinato nelle celebri strofe dolenti: «Forse è un feretro, e forse un talamo », scriveva di lei, con penna tremante, lo stesso Molmenti serenissimo. Giorgio Sand, atterrita sopratutto da un gondoliere zoppo, vide in essa la barca di Caronte, la figura del rimorso e della penitenza: e si segnò tre volte (aspettava, dalla riva, il dottor Pagello?) vedendola passare sotto il Ponte dei Sospiri. Anche Gualtiero Tumiati pensa ai feretri: anzi addirittura ai «feretri pronti a ricevere le salme di un'epidemia ». « Spola diabolica della laguna », la chiama, intanto, un inglese; e un tedesco la vede avviata, non già al Canalazzo solatìo, ma allo Stige. Allo stesso Shelley essa era parsa una farfalla, si, ma una farfalla avente per crisalide un avello. E adesso Anselmo Bucci, pur riconoscendole una poetica gentilezza, fa di questa poesia una disperazione. La gondola, mi pare egli dica, è il Leopardi delle barche. La quale è una calunnia, dissimulata in un madrigale. Lo stesso Marta non manca di provarlo nel suo forbito volume, il quale per fortuna non ci reca soltanto il florilegio dei pessimisti. No: la gondola non e spettrale nè tombale. E di Leopardi non ha nè la tragedia nè la semplicità. Essa è una complicazione armoniosa che si risolve in grazia e^ in gioia di vita, come tutto ciò eh è veneziano. Nè ad Ettore Bogno, cui pure riconosco tanto merito di vernacola ispirazione, ancora so perdonare d averne fatto il simbolo dell'accidia. Leggete qui nelle pagine del Marta, le strofette della « Fiaca ». Oh, come si può pensare alla fiacca, par landò della gondola? Forse perchè, come il levriero di razza, essa non fa sentire nè il passo nè l'ansimo della sua rapidità? Guardatela bene, mentre sgu scia pqi ponti e fila alla sua sorte, questa che a prima vista potè sembrarvi l'indolente, la fantasiosa, l'immemore ! Non un moto superfluo, e non un istante perduto. Fiacca, la gondola? Ripensate le regate del Canaletto; o quelle stesse a cui avrete assistito, in un'avvampata sera di settembre, dal Lido a Ca' Rezzonico. Ripensate le regate, i « freschi », il voi pegasien ch'essa faceva risentire al De Pontoux; e la fuga di Bianca Capello; e la corsa presa da Riccardo Wagner, in una gondola noleggiata in tutta furia dopo aver scritto l'ultima nota del Tristano, per placare in un impeto dinamico lo scoppio del cuore esultante. I feretri non vanno così in fretta, benché si dica che in fretta vadano i morti : e allora, signori poeti, bisogna cambiare il paragone. Prossima all'immagine della bara, estremità che la tocca, è l'immagine della cuna : e questa ultima è però quella che alla gondola più conviene. Gli amanti lo sanno: essi che andando per acqua, in quanto si sentano rinati alla vita, vogliono essere cullati. La gondola vuole ricordarci che Venezia, Anadomiene d'Italia, è sorta dai flutti : e infatti la sua forma ripete quella delle conche battesimali nelle basiliche anziane. Di poco modificata, essa potrebbe stare in un battistero bizantino. E insomma anche la gondola, come tante cose di Venezia, è immagine di cosa che comincia, o che ricomincia: immagine di novi tà, niente affatto macabra e fo sca. Osservate, dunque, il suo ferro di prua. Ha la forma di udladfsssmufEpaUacpGtdiColfbtdvrplqbQmlrdsedfmca«nvcopcpsAdsrnppatg a a n n a e a l l , n o r o . a l a è a a o e e i o e e e o di un punto interrogativo. Viene dunque innanzi a noi, la gondola, con lo sguardo dell attesa, della curiosità; e cioè dell'infanzia. Non importa ch'essa vesta di nero. Essa è bambina. La sua anima ha colore di rosa. Ho sempre dubitato di tutte le etimologie dei grammatici : ma se una mi par certa, è quella che fa derivare gundula da cunula. E infatti come ci accoglie ! Un po' stretti, è vero: ma sciolti, altalenati, in sollievo, in libertà. Una bara non ci terrebbe certo allo stesso modo. La « barca xe casa » : dice infatti il popolano, più assennato del poeta. Per il Goldoni, la gondola era un «leto stravacà ». Proprio un letto da bimbi, insomma. Oppure, da innamorati : che fa lo stesso. Conchiglia di battesimo, ecco : o talamo d'imeneo. Non si parli di cataletto. Non si pensi a funerali. La più festosa trale barcarole del mondo nasce, intonata da un amante, in una gondola : « Ti xe bela, ti xc zovenc ti xe fresca come un fior — vien per luti le so lagrcme • ridi adesso, e fa l'amor ». La più giuliva tra le canzoni dell'idillio esula da una gondola: quella che porta Antonio Lamberti in compagnia di Marina Querini-Benzon ; e il buon Simone Mayr, nel vederli lì sulla riva ha un'ispirazione di paradiso : « La biondina in gondoleta — L'altra sera gò mena Dal piacer la povarcta — La s'è in boto indormenzà. Strano effetto, si dirà, quell'amore addormentante! Ma c'è pure una felicità narcotica. E non si dimentichi che la « cunula » ci culla ; che il suo epitalamio è anche una ninna-nanna. Quel « cauto, felino, felpato, tentennar danzante» (i cinque lucidi vocaboli sono di Gino Rocca) ch'essa fa nel sole del canale, o nell'ombra dei ponti, sotto la pioggia d'oro delle trifore accese e delle lanterne pensili, è per far gioioso e giocoso il nostro andare sull'acqua in due. Alternativamente, intanto mandano le onde contro la chiglia scivolante rumor di schiaffo, rumor di bacio : come nelle scene arlecchinesche d'amore. E il piacere è sì pieno, sì smemorato, sì puerile, che il Duca d Ferrara l'offre come la voluttà più rara a Enrico II traendplo a un'incognita corsa in gondola tra l'una e l'altra parata ceri moniale: di che il Re francese tutto s'allieta, gridando d'alle grezza « come un putto » ! Complicata è la gondola; e forse, a primo aspetto, paradossale e inquietante. Ma le sue misure sono perfette; ed esatta è la sua ragion d'essere, nel clima della laguna e nella gamma di Venezia. Qui appunto si spiega il suo color nero, che non è però colore di lutto : tant'è vero che le barche funerarie, nell'antica Repubblica, non erano parate che di rosso. La scurità della gondola è il complemento necessario alle infinite tonalità dei canali per cui essa transita, spola tessitrice e unificatrice. Calcolata come un gioiello, essa era data in dono a dei Re (rice-; Vendola in regalo, Carlo II di Inghilterra, come già Enrico di Francia, ebbe un grido di giubilo!) e citata nei manuali della Divina proportionc. La cantarono in cento, dal Baffo a Selvatico ; la dipinsero in mille, dal Bellini al Canaletto, da Giacomo Favretto a Italico Brass. La sua forma è una musica : e non per nulla il ferro somiglia a un manico di liuto. Non c'è parte sua che non s'accordi, limitata e precisa: felze, forcole, fanali, viti, lamine, uncini dorati, specchi dei finestrini. La fantasia non si frastorna che negli ornati : nell'arme del felze, nei fregi del porta-fanale, nelle criniere dei cavalli o nelle creste dei mostri marini reggenti i cordoni dei bracciali. Questa decorazione, così libera che il Gautier le riconosceva « quclque chose de cavalier », intende redimere, ravvivare quella tonalità cupa che risponde, come dicevo, a una semplice necessità d'ordine pittorico. Nera si volle la gondola nell'iride lagunare, come nero fa il pittore nipponico il ramo di mandorlo nell'arcobaleno primaverile del Fusijama. Questa gondola solo in apparenza funeraria non potrebbe, appunto, esistere che nella variopinta r Venezia : dove infatti il gondo'làr è tradizione millenaria e arte sopraffina. Ne ridemmo, lutti, quando ne apparvero sul Lago Maggiore; e più ne ridemmo quando, nel Fantasma galante, René Clair ce ne mostrò qualcuna vagante, qua; si sonnambula, nel laghetto di un miliardario americano. Veneziana, e soltanto veneziana, è la gondola. Essa non potrebbe partire che da uno squero odoroso di bitume brentano e di resina dalmatica ; nè potrebbe approdare che ai piedi d'uno scaIone, dove l'attendessero sei coppie allineate di candellieri d'argento. La fascia del gondoliere e il grido della voga sono ancora quelli degli anni del Carpaccio. Non badate quindi se la gondola, cuna di felicità, abbia vagamente un aspetto di bara. Il rematore, unico al mondo, è in piedi. Anche Venezia, parendo assopita, è in piedi. Nè la morte, nè la fioca, possono entrare in quest'immagine verticale, che dell'una come dell'altra indica l'eternità. Marco Ramparti Zgsczcg