FUCILERIA E INSIDIE ABISSINE e le Camicie Nere al contrattacco di Mario Bassi

FUCILERIA E INSIDIE ABISSINE e le Camicie Nere al contrattacco Zalalaca ossìa il casello al km. 432 FUCILERIA E INSIDIE ABISSINE e le Camicie Nere al contrattacco (dal nostro inviato speciale) ADDIS ABEBA', agosto. Di botto, il treno s'è fermato, nella gragnuola della fucileria: cosi di botto, ch'io, ch'era alzato in piedi, piombo a risedere sul mio divano, coinè se uno vii ci avesse buttato con un violento urtane, all'impensata. E il Seniore Costa e il Signor Herald, anch'essi in piedi, sbattono l'uri contro l'altro, e si rovesciano contro lo stipite d'un finestrino. Le fucilate, di fuori, tempestano; e la nostra mitragliatrice sgranocchia caricatori. Guardo l'orologio: sono le sedici e cinquantacinque. Esco sul terrazzino del vagone, e salto a terra. Ancorché totalmente disarmato — o mio temperino da lapis, custodito in una tasca, — io son pur sempre dell'avviso che m'istillava il grande Cesare Billia, indimenticabile Fante: — Il nemico bisogna guardarlo in faccia. — E Antonio Cantore, il grande Generale degli Alpini, seguitava, in pretta cadenza genovese: — Il nemico, lo si va a prendere col frustino —. Il Guajo è, che io non ho nemmeno un frustino. Guardando al nemico II guajo è, che, càspita, 'sti nati di cane pare ce l'abbiano personalmente con me. M'hanno visto bello, sul terrazzino del vagone; mi vedono in piedi presso il treno, che sto osservando quel che succede; e mi fanno fischiare quattro 0 cinque pallottole, rase alle orecchie. Mi getto a terra, come un sacco, dietro una trinceretta naturale, tra la massicciata della linea ferroviaria e un rilievo acuto del piede della collina, che qua viene a morire. E considero la situazione. Di faccia, la collina sale con un pendìo erboso, onduleggiante, e rotto qua e là; e sparsa, la masnada degli Abissini, che ci attaccano. Un gruppetto di quattro s'apposta qui davanti a me, a meno di venti passi. Accidenti, non avere un moschetto! E che fessi, loro! che non si spingono avanti. Verso la sommità della collina, a duecento, duecentocinquanta metri, in linea d'aria, i tucul d'un vìllaggctto; e un intenso movimen- to d'armati. Perchè la mitraglia-trice, dall'ultimo vagone del tre-no, invece che sventagliare i smico pi per il pendìo, dove la gente è rada, non pianta qualche raffica lassù, in quel gruppo abbastanzafitto di càmici bianchi? Ci sondonne, è vero, mischiate; e si Ve- dono i ragazzini, che corrono e si rifugiano nei tucùl. Sempre «enMr,mentali, noialtri Italiani. Le don-ne lanciano il loro grido trillante, i'helleltà, per incitare i combattenti. La mitragliatrice, con una disciplina rigorosa, disperde i suoi colpi sugli sparatori di prima linea e quei gruppetti al pendio; ma evita, studiosamente di alzare il tiro, dove è il gruppo numeroso, di gente armata, e i tucul, e le donne e i bambini. Mi volto indietro, verso il treno. La mitragliatrice avvampa, sporgendo con la canna dallo sportello spalancato dell'ultimo vagone di coda, un vagone-merci coperto. Dal penultimo vagone, un altro merci coperto, parte il fuoco di moscìietleria dei Carabinieri. E questa è tutta la difesa del treno. Dal loro vagone, metà salone e metà di prima classe, sono scesi, vedo, il Generale Broglia, il Colonnello Lérici, il Tenente-colonnello Martinàt, il Tenente-colonnello Mercanti, il Tenente-colonnello Cammarata, il Capitano Cozzolino. Fanno gruppo, imprudenti, presi di mira dalla fucileria degli Abissini. Dal successivo vagone, di prima e seconda classe, venendo verso la testa del treno, il vagone dov'ero io, è sceso Costa, che è riltscito finalmente a far funzionare la sua pistola automatica ; e tratto tratto spara qualche colpo contro qualcuno degli assalitori più vicino. — Risparmi i colpi. Costa: le saranno più utili, forse, più tardi.Il Generate Broglia e il Colonnello Martinàt gridano qualche cosa, che non capisco, verso gli ultimi vagoni, ai Carabinieri e ai mitraglieri. Poi il Generale va verso il vagone dei Carabinieri; e il Co¬ lonnello Martinàt viene in qua, correndo, verso la testa del treno, seguito dal colonnello Mercanti e dal Capitano Cozzolino. — Colonnello —, chiamo, rivolto a Martinàt. — Perchè il treno s'è fermatoT — mi chiede lui. — Non so. — Quanto dista precisamente Gli Addasi — Non so. I binari ostruiti Già: perchè il treno s'è fermato? Corriamo verso la Zoeomotiua. Io incespico, e cado sulle ginocchia. Mercanti, pronto, premuroso, mi risolleva: — Sei ferito t D'impulso, per la prima volta, da tanti e tanti anni che ci conosciamo, m'ha dato del tu. — No, niente, coloìinello. Ho inciampato in questa sporgenza della traversina. Ma si chini,.tei; non stia cosi dritto, alto. E venga qui, nel fossetto e contro questo sbalzo del terreno, che siamo un po' coperti. Macché. Dal vagano avanti al min, di terza classe, giungono strilli e pianti e invocazioni: voci di donne e di bambini, di indigeni. Mi affaccio un momento, tirandomi su, all'altezza d'un finestrino. Intravvedo dentro una confusione di gente, in prevalenza indigeni o mulatti, premuti gli uni addosso agli altri, sgomenti atterriti convulsi, che agitano le braccia e le mani, o se ne riparano il capo, come stessero per ricevere una mazzata, lividi in volto, con occhi sbarrati; o accovacciati, rintanati, raggomitolati, nel fondo del vagone. E donne che piangono, coi bimbi in collo o in grembo; e ragazzini che singhiozzano; e altri esterefatti, la bocca spalancata, che non capiscono il diavolo che succede. E un affastellamento di bagagli, sacchi valigie involti, alla rinfusa. Dal vagone scende, cioè si lascia scivolare gìit, tremando come un fuscello al vento, un agente della ferrovia, un negro deforme, poco più che un nano, della persona, e fs\c°» "» tettane spropositato, cnor\me' e. la faccia autenticamente \^nm,esca; e sembra che per ran de:}° nrottesc.o, cosi mostruoso co j "l c' »" «bb,a»° cacc,"fo '^"^'^11" <™ *"» «»' \Ao™ f. >l.colletto '0KS0> e «"ei be" k?tielto in C"P0' come "» ^one £^^'SnatTd'aro PtaomSl ,; ^oj»o«^«JP^^-1 "0>L*«~.-» l i ma con la risiera. rosso gallonato d'oro. Piagnucola non so che, il disgraziato, mezzo in francese e mezzo in abissino. E corre anche lui, con noi, dimenandosi come invasato su quelle sue gambette rachitiche e sghembe, verso la locomotiva: ch'è dopo altri due vagoni, altri due merci coperti e chiusi; da cui, di tra l'In- ferriate dei finestrini, in alto, partono colpi di rivoltella e qualche colpo di moschetto. Devon essere i nostri impiegati della Posta, e i due Carabinieri e le Guardie di Finanza, di servizio sul treno. Quella canaglia! Hanno accumulato sui binari, per una diecina 0 quindicina di metri, pietre, grossi sassi, breccia della massicciata, in mucchio, e di traverso qualche mezzo tronco d'albero: quanto assai più che sufficente per sbalzare la macchina fuor dai binari. Fortunatamente, il macchinista se n'è accorto in tempo; e ha bloccato 1 freni, e dato il controvapore. Così, il brusco arresto. L'anteriore della locomotiva, con lo spazzavia, è arrivato, fermando, quasi sopra i pietroni. Camic'e Nere della « Tevere » Un altro agente della ferrovia, un Europeo, che sembra autorevole sugli altri, ancorché vestito come un semplice manovale al lavoro, e più che discretamente sudicio, di carbone di grassume di scorie fuligginose, fucile alla mano, ha imposto al macchinista e al fuochista, indigeni, di scendere dalla locomotiva. E li ha messi all'opera, e infilatosi il fucile ad armacollo, s'industria, lui con loro, a rimuovere rapidamente l'ostacolo, sotto il fuoco degli Abissini, che verso questo punto, contro e davanti alla locomotiva, più s'accaniscono. Il fuochista grida straziato; e si rifugia dietro la locomotiva. E' ferito, pare; non stiamo a con.ìtatare quanto, come. Ma ci accorgiamo che anche il macchinista è scappato. L'agente autorevole continua a tirar via, i sassi, a far scivolare i tronchi, imperterrito sott'il fuoco. Ha un fegataccio, quest'individuo. Lo ritroverò più tardi, e sempre in atto di coraggio e di giovarci, noncurante di sè e del pericolo. Accer- tsseupicdddmcs mplsaupugsdsrerò, con mia molta sorpresa, ch'è un Greco: non agente, funziona-i rio: Capo-distretto principale di auesta Ferrovia Franco-Etiopica Il Colonnello Martinàt, e Mercanti, e il Capitano Cozzolino, e mi pare anche Costa, e io, ci mettiamo per aiutare il Greco, per liberare presto la via. davaìiti alla macchina. In questo momento, al-ìtre salve di fucileria echimio cdalla collina, sulla nostra sinistra,] davanti e sopra di noi; poi scoppi cupi di oorobe a mano, e fuoco di |U^mitragliatrici, l Pro*rio- Vn W di CamiciejaWerej „„ p;oro(le aiVincirca, è sbu- t coro fuori là dove il fianco della \ collina, davanti a noi, davanti al — / nostri — Indirà il Colonnello Martinàt, levandosi: — sono le nostre Camicie Nere. verso di noi, per il pendio della collina, investendo all'improvviso i nostri assalitori sul fianco, contrassaltandoli e incalzandoli con le bombe a mano e alla baionetta; le mitragliatrici, dietro, li precorrono coi tiri, e li appoggiano. Ci entusiasmiamo: — Evviva le Camicie Nere. — Evviva la Tevere, — grida Martinàt. E rivolto a Mercanti e a me, soddisfatto e orgoglioso, e Sorridente dentro la sua rada barbetta bionda, co' suoi occhi cernii, di ciclo, che sfavillano: — Sono i nostri, della mia Tevere. Vedete che slancio! che bravi! vNon avremmo avuto tempo di, dire amen; e gli Abissini, a scap-ipar cóme lepri; e sono già scom-\parsi. Ancora qualche fucilata, dall'alto, da quei tucùl. Poi, ma^guarda, sono tutti scomparsi. \E che? Su uno dei tucùl è spun-1tato, immantinenti, e sventola km ceiirio bianco. E una donna si fa\sulla soglia, con un bambino in collo... Ah. mascalzoni! L'hannoUgià capita come siamo noi: che [siamo — il buon Italiano —. ^Le Camicie Nere non curano/ lassù; e si precipitano a saltelloni, llina il pendio della collina, verso]li treno, verso noi. gridando, agi- \tondo i moschetti. C'è iparso, per il pendio, qualche morto abissino. La donna s'è ricoperto il volto e il suo poppante, con il suo sciam ma di color violetto e scarlatto; e rientra nel tucùl. Ma perchè non ! dilla /helleltà.' Mario Bassi. i