IL PRIMO ATTACCO AL TRENO di Mario Bassi

IL PRIMO ATTACCO AL TRENO Zalalaca - ossia il Casello al Km. 432 IL PRIMO ATTACCO AL TRENO (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) Addis Abeba, agosto. Il nostro treno riparte da Moggio, per Addis Abebà, circa le quìndici e tre quarti: lunedì, fi luglio, al patrocinio di Sant'Isaia Profeta. A Moggio, eh'è un notevole centro abitato, con qualche costruzione in muratura, oltre alla stazione ed edifici annessi e tettoje, e con numerosi aggregati di tucùl, e una chiesa copta, che domina dall'alto d'un poggio, a forse un chilometro dalla stazione; abbia' 4 mo trovato il Comando della 219.a r n a e Legione di Camicie nere, che fa parte, come noto, della Divisione Tevere: la Legione dei combattenti della grande guerra, intitolata orgogliosamente da Vittorio Veneto, e comandata dal console Enzo Galbìati, La Legione è ripartita lungo la linea ferroviaria, a presidio, come anche abbiamo constatato, salendo, a cominciare dall'Hauàsc; via Moggio è presidiata da un altro reparto, sempre di Camicie nere della Tevere, il 201.0 battaglione, della 220.a Legione: il battaglione composto esclusivamente di mutilati della grande guerra, comandato dal seniore on. Alessandro Gorini, egli stesso mutilato di guerra e deputato al Parlamento. Colei che brinda invisibile A Moggio, nella sosta del treno, mentre ci affrettavamo a mandar giù quattro bocconi strozzati, al ristorante della stazione, per la nostalgia di quel pasto mancato sul mezzogiorno; e sedevamo a ta vola, il gen. Broglia, il colonnello Lérici, il tenente colonnello Martinàt, il lenente colonnello Cammaiala, il capitano Cozzolino, e io; sopraggiunse il tenente colonnello Mercanti. — Lei, come mai? Era arrivato all'Hauàsc, ier sera, tardi, col treno speciale che trasporta i suoi carterplllars, e segue il nostro a tre ore di distacco. E stamane, dall'Hauà-sc, ha pensato di lasciare il suo treno e prendere il nostro diretto, per arrivare tre ore prima ad Addis Abebà. — Cosi ho tempo di preparare, ad Addis Abebà, per lo scarico dei cartepillars, la sistemazione del personale, e il resto. Quando il mio treno arriverà, tutto sarà già pronto. — E il leopardo? — chiedo: il suo giovine leopardo, cui egli è affezionato, avendolo allevato lui, da cucciolo, e che si porta con sè, per farne omaggio al Viceré. — Sta bene: soltanto, il viaggio in ferrovia, e probabilmente più il trovarsi chiuso tu Quella i/abbia, che non c'è abituato, lo rendono nervoso e bizzarro. Al punto che, iersera, non ha voluto mangiare. Il leopardo non ha valuto mangiare. Considederò più tardi, quando le sorti saranno compiute: che sia vero che le bestie hanno intùiti misteriosi nell'incosciente, penetrazioni inconcepibili, un che d'imponderabile e straordinario, che sfugge a' nostri sensi? Cani gatti cavalli polli, sentono e denunziano l'imminenza del terremoto; i più degli animali paiono avvertire l'approssimarsi della morte, in un luogo, a una persona... « ... State contente, umane genti, al quia... ». — Invece che questa birra calda e torbida, lei non berrebbe un bicchier di vino ? L'amico Mercanti, avendo notato alcune bottiglie di vin francese, allineate su un piano della credenza, ne ordina una al proprietario del ristorante, un greco sudicio indolente e ciabattone. E mi offre un bicchiere di Médoc meglio che discreto. — Alla nostra salute. Tra i nostri bicchieri, che s'accostano nel brindisi cameratesco, l'Invisibile Visitatrice s'è insinua ta, a toccarne uno, con il suo ca lice d'oblio. Ma nessuno ha percepito il tintinno del diafano cristallo. — Alla nostra salute. L'inopinato risveglio Ora, nel vagone, saluto i miei compagni di scompartimento, iln i a , a a i ,enjore Costa, il signor Herald, coi a riprendo a faggio. e _*\ o(„_„„ . a ~ £ signora francese? - — E rimasta a Moggio. — Già: il marito doveva fer marsi, per il suo servizio della ferrovia; e si capisce, dopo sei mesi di distacco, i due colombi... — Non rimandare a domani quel che puoi fare oggi. Noi, di comune accordo, abbiamo deciso che ci schiacceremo un pisolino, cullati dal moto del treno. Io, sempre pedante, cito il mònito della scuola salernitana: — Post prandium stabis... Lo chiami pranzo, quella broda di fagioli muffi dell'oste greco — mi ribatte ridendo il signor Herald, eh'è un giovanotto gaio e simpatico. — Precisamente: il dabben oste ellenico, lardellato e bisunto meglio della sua cucina, ci ha propinato la broda sacra degli Spartani; che doveva essere appunto, rpsEuvlavCfictsana dir delle cronache, un intingolo] Ldi tal fatta, — Signori, si dorme. Ci sveglieremo verso Addis Abebà, in tempo per prepararci all'arrivo. I miei compagni, nei rispettivi settori dello scompartimento, l'uno avanti, l'altro dietro il mio, non so; certo che io, appena disteso sul divano — un giornale-.sotto gli, mstivali, memore dell educazione dtadepcmemore che m'ha istillata l'Amministrazione delle Ferrovie Italiane dello Stato — certo che io m'addormento, d'un sonno abbandonato e placido. E a un dato punto — quanto tempo era passato? — sognavo che intorno a me si sparassero delle fucilate — « ... Sogna il guerrier le schiere... » — e mi pareva proprio sentirle: una fucileria accosta e fitta. Mi voltai sul divano, per cambiare posizione; che evidentemente i manicaretti del greco m'erano di difficile digestione. Ma nell'atto ebbi la sensazione categorica ch'ero ben sveglio; ma che le fucilate tuttavia continuavano; e sentii bene le pallottole che schioccavano, colpendo il vagone. E vidi il seniore Costa, ritto davanti a un finestrino, che si affannava con una sua pistola automatica, la quale, naturalmente, era rimasta inceppata. Saltai su. — Ma che diàmine succede? — Il treno è attaccato. Guardi, guardi lì, gli abissini che sparano. In quel momento,, dalla coda del treno, echeggiarono le scariche tempestanti della mitragliatrice. Ecco la mitragliatrice della nostra scorta. Giù, dagli. Rimbombavano le moschettate dal vagone dei carabinieri, quei venti col tenente Papisca, che scortavano i dieci detenuti politici, capi e notabili abissini. Esplodevano, da questo e da quel vagone, qua secchi, là cupi, colpi di pistola e di rivoltella. Degli abissini aggressori, se ne vedevano alcune diecine, coi loro càmici bianchi, appiattati a terra, lungo la linea ferroviaria, a una ventina di metri, che facevano contro ai noi un fuoco di fila. Di là, sulla sinistra della ferrovia, s'innalzava e incombeva un'altura tondeggian te, che veniva a decadere, colle falde, appunto sopra la linea fer- vvrnpdfimmssnmsscvpvBzvnEtotSscsnppRcmguifinlnlspcg roviaria. E altri abissini, a gruppi numerosi, si vedevano correre, sparacchiando, giù per il pendio. E altri ancora — vedi, vedi — uscivano armati dai tucùl d'un villaggio, sito verso il sommo della collina; e correvano anche loro verso il nostro treno. — E' un brutto scherzo, caro Costa. Me la dormivo cosi pacifico! — Voila, nous y sommes — dichiarò semplicemente, senz'affatto scomporsi, il signor Herald. « ... Vedi giudicio uman... » Mi sovvenni allora della mia pistola, dimenticata, partendo in aereo da Mogadiscio, quattro giorni avanti. E invidiai al signor De La Palese uno stilato epifonema mettermi dr„.,nl,r di questo tenore: — La sorpresa capita, evidentemente, quando uno meno se lo aspetta. Tutto il mio armamento, per la difesa contro quelle bande di energumeni, consisteva in un temperino da lapis. Per quel che facevo, potevo anche, se volevo, ri E il fuoco ancora s'intensificava. Le pallottole bersagliavano il vagone, trapassando le sottili pa reti di legno — ma perchè le fan no così sottili e così di legno, le pareti dei vagoni? — e piantando dei fori netti nei cristalli dei finestrini, o mandandoli in frantumi. Recitai in cuor mio un'Avemmaria: unica cosa utile che potessi fare. È anche pensavo. Quando sono salito su questo treno, ieri mattina, a Dire Daua, erano più di otto mesi che non prendevo la ferrovia: se si eccettui la giterella su quella specie di vecchio tranvai provinciale del tronco da Mogadiscio al villaggio Duca degli Abruzzi, e il percorso sui carrelli della Décauvile, dallo stesso villaggio a Buio Burti. Otto mesi, in sostanza, senza un autentico viaggio in ferrovia: che è caso piuttosto diverso nella vita di un inviato speciale. E sette mesi che risolcavo in automezzo, automobile o autocarro o autofurgone, le sconquassate e tormentate piste dal Chenia alla Somalia; e quando non soccorressero gli aerei militari, e la concessione di usufruirne, quelle piste soprattutto della Somalia, tra nembi asfissianti di polverone e per laghi di fango, nell'inamabile perversa ossessionante boscaglia. Rivedere, ritrovare il treno, un confortevole vagone, disporre le mie robe sulla reticella dei bagagli, lasciarmi andare sui cuscini, un libro tra le mani, per quando il paesaggio, nell'inquadratura del finestrino, divenga risaputo e monotono, mi parve aver superato palesemente il periodo bellico, ritorno alla vita civile e tranquilla, alla comodità e al benessere, e assicurazione di pace, e piacere sopraffino. «... Vedi giudicio uman come spesso erra... ». Il treno si fermò di botto, nella gragnuola della fucileria. Mario Bassi p