IL "GRAN DELIRIO,,

IL "GRAN DELIRIO,, IL "GRAN DELIRIO,, C'è una data, nella storia intima di Leopardi, che m'è apparsa sempre culminante; una data-chiave, se così si può dire, che è, a un tempo, biografica e poetica, come avviene particolarmente a Leopardi ; la cui poesia ha, nonostante l'altezza del canto, radici così vive e folte nella biografia. Questa data, che poeticamente coincide con II pensiero dominante, o meglio • s'inizia con questo, e si chiude con l'epigrafico canto A se stesso, è biograficamente legata al suo innamoramento della Fanny Targioni-Tozzetti. Primavera '31 : Leopardi s'innamora come non gli è mai accaduto, nè per Geltrude Cassi, il primo amore, nè colla Malvezzi a Bologna, nè con la Fattorini, il fantasma poetico di « Silvia» e d« Xerina », a Recanati. Si sa che Giacomo s'innamorava facilmente, o meglio, come pare che avvenga ai poetin lui prendeva fuoco la fantasia, ardeva il pensiero ; e il cuore alimentava la fiamma. Ma tra questi amori, ancora giovanili, e quello di cui ora si discorre, c'è una grande differenza, direi in estensione e profondità. Quelli sono amori d idillica tenerezza, dove c'è qualcosa di belliniano, un'aura elegiaca, una tristezza che si purifica col canto, e del canto gode; questo fu un amore disperato, il più intenso e tormentoso, e si concluse coll'« inganno estremo » del canto A se stesso; un amore che, dopo averlo fatto « ululare», gli poteva consentire soltanto la dolente e orgogliosa rivalsa di Aspasia. Ma basta paragonare certe parole del suo canto amoroso di prima e di poi, che sono come la punta più acuta, il più alto potenziale del suo sentimento, per veder subito la differenza; lì è Nerina, chiamata, con quasi fanciullesco abbandono, « dolcezza mia », « mio dolce amor », « eterno sospiro mio » ; qui l'amore è, sì, caro e dolcissimo, ma anche « possente » e « terribile » : dominator di mia profonda mento. Fu davvero il « gran delirio », come è detto nel Canto. Quando Leopardi si prese, scusateci il termine, questa cotta, aveva trentacinque anni. Tutti sanno che si trovava a Firenze (era la terza volta che ci tornava) ; questa volta, per invito del Colletta con quella lettera, discretissima in apparenza ma assai impacciante in sostanza ; e Leopardi se ne dovette accorgere e sentirne l'intima umiliazione. Ma insomma si trattava d'uscir da Recanati dove, sebbene fosse tornato amareggiato da Roma, non gli era assolutamente più possibile vivere. Accettò quindi il modesto assegno mensile che amici fiorentini, per mezzo del Colletta, gli avrebbero passato per un anno, misterioso assegno offerto da persone che doveva no restare ignote, in modo che Leopardi non sapesse chi dava e fosse libero di restituire o no E accettò anche perchè gli veniva dato così il mezzo di lavorare, curando una nuova edizione dei Canti, e perchè sperava di ritrarre « danari e un gran nome » dagli scritti filologici che il De Sinner, poco dopo il suo arrivo a Firenze, gli aveva oromesso di far pubblicare in Germania. Ma è noto che poi non vennero nè danari nè altro ; e lo stato d'animo di Giacomo è quello consegnato nella famosa lettera Agli amici suoi di Toscaita di cui basterà ricordare la frase : « sono un tronco che sente e pena ». Ma in Firenze, dov'era arrivato verso la metà di maggio, ebbe la sfortuna (o la fortuna?; per la sua poesia, sì) di conoscere la bella Fanny Ronchivecchi, maritata Targioni-Tozzetti. Su costei i biografi di Leopardi si sono molto sbizzarriti ; e ancora qualcuno si domanda : fece proprio la civetta con Giacomo, gli fece intravedere qualcosa di, più del « niveo collo », fu con lui veramente « dotta allevatrice » ; oppure non fu niente di tutto questo, e Leopardi si prese una cotta solitaria? Dapprima i biografi hanno creduto piuttosto alla prima ipotesi, accogliendo più o meno come un veritico documento l'Aspasia. Ma più tardi, e specialmente dopo la scoperta di alcune lettere della Fanny al Ranieri, nelle quali costei ci appare, come scrive il Moroncini, « una donna di mediocre levatura intellettuale, ma di molto buon senso pratico e assai scaltra nei suoi rapporti con gli uomini » e poi « buona madre di famiglia e assai affezionata alle sue figliuole » ; e comunque lontanissima, sembra, dal pensiero di sedurre un uomo che, per quanto poeta non le poteva ispirare alcuna simpatia fisica, ma solo un generico senso di pietà, è prevalsa la seconda ipotesi, sulla quale ormai pare che si sia tutti d'accordo. Qualcuno, un po' per gusto di sottigliezza, ha notato che la Fanny, pur non essendo innamorata apertamente del Ranieri, bel giovine, elegante, e un po' fatuo, tuttavia era con lui abbastanza tenera, da non poter confessare proprio a lui d aver civettato con Giacomo. C'era di mezzo, si è detto, il suo orgo¬ qsceRcclssugl«mqepUPstcrzdldpcgfrcgLlnfAfdt glio di donna bella di fronte a uno del quale ella avrebbe volentieri accettata la corte, e col quale avrebbe fatto un nuovo strappo alla fedeltà coniugale, come pare facesse già con altri; e se si conoscessero le lettere del Ranieri a lei, si vedrebbe più chiaramente se costui la stuzzicava per il gusto di fare il geloso, o magari per farla arrossire e stizzire, accusandola forse un po' per burla, ma anche un po' sul serio, d'aver « lusingato » Leopardi. Ed è vero che lei gli risponde testualmente: « Voi più d'ogni altro sapete se mai diedi la menoma lusinga a quel povero uomo del Leopardi, e se il mio carattere è tale da prendersi gioco di un infelice e emutaot d'un brav'uomo come lui ». Ma era completamente sincera ? Non è lecito pensare che queste parole, proprio perchè così recise, potrebbero nascondere una sia pur piccola colpa, della quale ella Sente in segreto vergogna ; e perciò cerca di dichiararsene immune col bell'amico napoletano? Supposizioni, certo; fors*anche un po' capziose, ma non del tutto illegittime, data appunto la ambiguità del suo « carattere » oltre al fatto d'esser donna. Del resto, queste son minuzie ; e il fatto importante è che Leopardi si innamorò di lei e, cosa più importante, che quest'amore diede, per dirla all'antica, estro e fuoco al canto. E fu l'ultimo fuoco. Di questo dramma intimo del Leopardi, 77 pensiero dominante è, per così dire, il primo atto. Il canto è infatti un inno alla potenza dell'amore, sensi e anima; e non certo l'inno panico d'un poeta barbaro e primitivo, ma l'improvviso slancio d'un cuore d'uomo che, risuscitato in sè il perduto potere dell'illusione, scambia questa subito colla realtà, la sente anzi a un tratto come la sola realtà vera ed eterna, la più alta di tutte: l'unico «affetto» sopra tutti gli altri sentimenti, che gli paiono non altro che « voglie ». E a questo punto non c è che da invitare il lettore a rileggere il canto : di cui non tenterò, salmisia, un commento estetico. G. Titta Rosa

Persone citate: Leopardi, Malvezzi, Moroncini

Luoghi citati: Bologna, Firenze, Germania, Recanati, Roma