Oltre Quoram alle spalle del nemico in rotta di Renzo Martinelli

Oltre Quoram alle spalle del nemico in rotta in irono sui campi ni battaglia Oltre Quoram alle spalle del nemico in rotta ò e , i a a , , o a e n . . i , o e o n a i a e a o o d e e . o r e , i n i e e, e o ri r a e a o e n r re di ao, oo se o o rel a, rhe le aola oe. ie è hè oa (Da uno dei nostri inviati) . Quartier Generale, 8 notte. Anche sul fronte di Quoram le corvée aeree hanno dovuto integrare e completare quelle terrestri. Abusando un poco, ma un poco soltanto delle immagini, si potrebbe dire che per tenere dietro alla marcia dei nostri reparti del primo Corpo nazionale e del Corpo eritreo, si son dovute dare ali ai muli. Tutto fa, tutto serve, per fornire più .efficacemente la misura del prodigioso cammino dietro la gagliarda vittoria di passo Mecan. La strada, come dicevo iei'i, corre anche essa in modo da far restare allibiti di ammirazione. Della nascita delle strade la vita civile ci aveva fornito, in verità, un'idea tutt'affatto diversa. Ma anche i miracoli hanno limiti e leggi più forti di loro. In quanto ai muletti, il loro passo è quello che è, complicato dalla necessità, che essi pure hanno, di mangiare lungo il cammino. Così ceco entrare ancora una volta in gioco la aviazione. Ogni giorno il magazzino dell'Intendenza di Macallè manda al campo di Sciafat, farina, zucchero, caffè, scatole di carne, scarpe, lettere di casa, avena; e in meno di quaranta minuti lo spettacolo della biblica manna si rinnova sui campi di Quoram e oltre. Quaranta minuti oggi; ieri, trenta. Domani forse il doppio. Ogni mattina si tratta prima di tutto di ritrovare i fantastici camminatori. I segni di intesa sono due: punti o fumate di legna, se la colonna si trova in località boscosa, o grandi scritte bianche, improvvisate con le lenzuola sulla pagina verde di una prateria o su quella gialla di un campo falciato. Scritte che dicono: « Grazie ». Cosi l'interesse e la gratitudine sono serviti in una volta sola. Un carico d'eccezione Stamani uno dei grossi «Caproni» adibiti a questo servizio ha caricato sessanta chilogrammi più del previsto e non di merce da buttar giù. Ha caricato me. In fondo, il regolamento di guerra non ha subito alcuna seria eccezione. L'osservatore è persona di casa, sti ogni apparecchio. Qui la sola differenza stava in questo: che io ero osservatore per conto mio. Bella mattina. Cielo azzurro, ridente, fermo. L'apparecchio sul quale mi si è fatto un po' di posto, tra i sacchi di farina e avena, è quello battezzato « 6. 2. ». 17» innocente che cadesse or ora dalla luna, potrebbe crederlo un soggetto per tiro a bersaglio. Il velivolo ha infatti tutte le grandi pinne della coda e gran parte del corpo e-delle ali sparse di dischetti verdi, contornati da un cerchietto rosso. Uno è proprio al centro della pancia: qualcuno ha fatto centro. Un altro è a qualche decimetro più in giù: troppo basso. In tutto cinquantasette presunti bersagli. Di che cosa realmente si tratti, ognuno lo sa: che ormai è questa una assai vecchia legittima civetteria degli apparecchi di guerra. Tanti di quei segni, tante pallottole nemiche in arrivo. Dicevo l'altro ieri, che nei soli quattro giorni della battaglia cominciata sui monti di Mecan, quasi tutti gli apparecchi rimasero, come si dice al campo, beccati. Il mìo « 6. 2. » si inorgoglisce di ben cinquantasette di tali segni battesimali. A proposito di chi va dicendo che far la guerra aerea contro gli abissini è cosa assai facile! Si parte alle 9. Due piloti: uno biondo e uno nero. Vestimenta leggerissime. Braccia e gambe nude. Carni bruciate, da spiaggia. Tutta così, la popolazione di Sciafat. Un quadro da vedersi. Credo che mai il cielo di nessuna parte del mondo abbia veduto così da vicino tanta gioventù, tanta salute, tanta felicità. Le eliche sono in moto. Sortita improvvisa: prima capriola tra i sacchi che mi fan da giaciglio. L'apparecchio corre sul prato, in cerca dell'abbrivio, e fa evoluzioni tra gli altri apparecchi, con la disinvoltura di una bicicletta. Mi metto a dispiegare una carta, per riconoscere la rotta. Meno di mezzo minuto. Quando rialzo gli ocelli e guardo verso il finestrino, mi accorgo che la terra non c'è più. Allungo il collo, ed eccola laggiù, ohe se ne va con le case, tende, gente, che non si sa come facciano a rimanervi attaccate. Ma siamo d'accordo sul fatto che, queste sono sensazioni normali di ogni volo. Anche non africano, anche non di guerra, e non vi insisto. Il paese de morti Sciafat, Piana di Calamuia, Passo Dogheà, Scelicot, Piana di Buie. Sulla destra Amba Aradam ha già ricevuto, e continua a ricevere dalla sempre maggiore altezza in cui si sale, la più dura lezione. Le ritolgo tutti gli aggettivi che le furono dati prima e dopo la batte.' glpilul'amteinsuceRdotilàunduchAvvpfesovnogzsmmzngnvcgTdotomtaLdztizpinplagficmbsdvttnPtvuMfpircdgstvmPPrsl e o o , e a è ; o i , . i o a a u . e ù a n a i a : o l , » i o n i è di e si Il n ea ai glia del 16. febbraio. Ormai non è più che un sasso squadrato qualunque, da ridere. Guardo la sfera che registra l'altezza assoluta e relativa. Tremila sul mare, un migliaio sulla terra. Il pilota che non guida, si intrattiene insieme a me, col dito sulla mia carta, per farmi lume a certe ììiee poco chiare. Sette o otto minuti, non di più. Rialzo gli occhi, mi affaccio, guardo giù. In una lunga forra serpentina, scintilla un rivo rotto qua e là da cascatene spumose. — Il Mai Mescicf — grido in un orecchio al radiotelegrafista. — Si. Il Mai Mescic di già! In ventidue minuti giusti. Nelle tre volte che ho fatto il cammino verso Amba Alagi, a ruote, mi ci sono volute due ore e mezzo per arri varvi. Lo so; sono riflessioni forse puerili. Ma sempre utili per ricon fermarmi nella mia idea, che è assolutamente antiaerea. Sempre in volo, per far la guerra e per rifar nire le truppe marciatiti, quando occorra; ma sempre a ruote e magari a piedi, per vedere e apprezzare qualcosa. Il Mai Mescic finisce anche esso assai prima del mio breve ragionamento. Le ulti me parole, me le dico sul cocuzzolo di Amba Alagi. — Visto T — Visio. E anche l'Amba toselliana se ne va. Ora mi son seduto su di uno spigolo, sul seggiolino del pilota che non lavora, e posso dirmi al davanzale del rombante palchetto, che sì affaccia oltre passo Alagi. Lo scenario è veramente di una grandiosità cosmica da far paura. Tre catene di montagne si elevano dinanzi a noi successivamente, e ognuna assume forme sempre più tormentate e colorazioni sempre meno appartenenti alla normale tavolozza della terra vista da giù. Là in fondo, dove il pilota mi indica, correndo col dito dall'orizzonte alla carta geografica, i monti dell'Agumbertà salgono nell'azzurro di tutta una massa di vapori bianchi grigi e rosa. Vorrei in-oprio mettermi a credere, tanto per indennizzare il mio spirito della stranezza di tante cose, che laggiù il mondo non sia stato ancora finito di fare, e fumi ancora. Ma ci sono troppi ordigni intorno a me, e troppo odor di benzina: debbo contentarmi di credere che forse il mondo, nel primo giorno della creazione, verso sera, doveva apparire all'incirca così. Tre catene di monti, tre passi, tre nomi della nostra ultima battaglia; e della vittoria che conti nua. Passo Dubbar, Passo Mecan, Passo Agumbertà. Proprio davanti a Amba Alagi, oltre la valletta verde di Enda Chercos, ce ne è un altro, di passo: quello di Aiba. Ma la battaglia del SI, lo lasciò fuori. C'eravamo giunti già da parecchio tempo. Passo Dubbar, invece, pur non essendo stato direttamente campo di lotta, può considerarsi come legato al quadro tattico degli avvenimenti del giorno SI. I monti e Passo Aiba sono ormai pressoclié vuoti di tende e di uomini. Tutto emigra verso sud, con regolarità matematica. Il paradiso terrestre Ed ecco la valle, i monti e il Passo Mecan: il paese dei morti, Per quanto l'opera dei seppellitori sia stata pronta e larga, lo sgombro dei caduti è ancora assai lontano dal suo compimento. è a a i o a . e n e o o e n o zel zse e ao, a a. o e ù re le ù. nznzaei o lga a a bro esi, ti n, nta è a. iò da r, iuò ael ba di ra e il ti, olo ai Appiattite come sono dal punto di vista da cui le osservo, le posizioni di partenza del combattimento del 31 marzo non rassomigliano in nulla a quelle che furono descritte l'indomani del combattimento stesso da chi vi aveva partecipato. Ma l'infinito, immobile, biancheggiare di sciamma sul verde tenero di una valletta, chiusa tra un ciglio boscoso e un ammasso di nudi macigni, rende possibile la certissima, indubbia identificazione. Morti e morti. E poi morti ancora. A gruppi, a mucchi, a strisele. Penso a certe basse vallette versigliesi, piene di lastre e scheggioiti di marmo, irradiate lontano dalle mine. Ci si eleva, si supera la costa dì Mecan; morti ancora sul terre no, che va facendosi chiuso. Lo copre una vegetazione fitta, qua si nera. Si comprende bene come il negus abbia potuto condurre le sue truppe da Quoram a Mecan, Quasi nascosto. Si comprende anche come e quanto dovettero procedere guardinghi i primi nostri reparti avanzanti nella primissima fase del ripiegamento nemico. Si sa, anzi, di molti improvvisi « tapum » echeggiami sui fianchi della pattuglia d'avanguardia. E perfino di uno, mandato direttamente contro il comandante del Corpo eritreo. Fallitissimo, per fortuna. L'autore era un abissino con una gamba spezzata da un colpo di baionetta. E ancora un balzo. Breve volo alla cieca. Siamo sul famoso crogiolo di vapori grigi e rossi di cui fantasticavo poco fa. Passo Agumbertà è sotto di noi; lo intravedo appena un istante: la durata di un batter di palpebre, in grazia di una raffica di vento, che si fa largo tra la massa fumosa. Quando rispuntiamo nel sole, è davanti a noi lo specchio gialloceleste del lago Ascianghi. Visione stupenda, innocente, amicale. Tutto intorno, le rive sono popolate di bagnanti. Gente nuda, sulle pietre, sull'erba, sulla rena. Gorghi, strìature di natanti nell'acqua. Panni al sole. Paradiso terrestre con tanti, tanti Adami e senza, nemmeno una Eva. Dunque, paradiso vero. Non meno di sei o settemila «omini, tra bianchi e neri, si godono questo triplice lavacro di acqua, di ossigeno, di sole. Giovenche e capre gironzolano pascolando sulle stesse rive, in perfetta amistà con questa folla felice, come se davvero il mondo fosse nato ier\. Mi dò tre colpetti nel petto, per contrizione. Debbo riconoscere che il linguaggio di questo quadro lo si poteva intendere solo dall'alto. La manna dal cielo Pochi minuti ancora, e siamo su Quoram. Pochi tucul, qualche muro e qualche rovina. Tende. Brulichio umano. Armenti. Luccica in una forra un tetto di lamiera. Pare che il re dei re abbia meditato là dentro l'offensiva di Mecan, e che altre non meno profonde meditazioni vi abbia fatto a battaglia avvenuta. Si torna un poco sulla destra. Ecco il bivio, da dove si dipartono le due carovaniere per Dessiè: quella di Mirano, e quella di Gobbo. Ci teniamo su quest'ultima. Boschi, praterie, terra da semi. Altri ihergio-ni bianchi, qua e là. Molte carogne di muli e di cavalli. Siamo sulla rotta dove l'aviazione inseguì e bersagliò il giorno Jt la più grossa colonna nemica in ritirata. Il terreno è tutto buche e deorCgbotoEdateaspUTdvctrudQamtpdindtgvsTmdAGgtsbdfLnrrpfrssètmtnscsdslipgm«sccnciSsstpzaDvsvBg foruncoli neri. Ecco la stretta el colle Amadir. Un macello. Il « 6. 2 » si abbassa, si curva ra sulla destra, ora^sulla sinistra. Cerca. Qualche segno di intellienza passa tra i due uomini di ordo e il pilota. Si riducono i moori. Perdiamo rapidamente quota. E' il momento buono per separarsi ai sacchi. « Sì ? ». « No f ». Tutto a occhiae e a gesti. « Sì ». Via. Lo sportello è già perto. Le mani sono già sulle palle del primo sacco in piedi. Una spinta. Un volo di traverso. Tre voli. Dal foro della «scodella» dove è la mitragliatrice di coda, vedo le tre bombe provvidenziali cadere giusto giusto a pochi meri da un «Grazie» grande come una casa. L'operazione si rinnova due volte, sempre più a sud di Quoram. Poi si è liberi di tornare alla buse. Rimesse le eliche a nord, vediamo le montagne dell'Agumbertà utte ancora soffocate di nubi. Si prepara la quotidiana burrasca del pomeriggio. Più ad oriente, nvece, il cielo è limpido e il sole d'oro. Ci mettiamo su quella rotta. Sguardo insperato in casa degli Atzebò-Galla, un poco sui selvaggi costoni di Gobba, un poco sulla abbaccinante pianura di Tcer-Tecer. Sorvoliamo a bassissima quota minuscoli villaggi quasi deserti. Avventura di due'piloti Ecco Corbetà: la capitale dei Galla - Atsebò. Grandi macchie gialle di foraggi falciati. Poco lontano, la bianca sagoma di un nostro apparecchio. Intatta. Per un brinale incidente, il pilota aveva dovuto cercare un atterraggio di fortuna, e lo aveva trovato lì. L'episodio accadeva una quindicina di giorni fa. E ha un suo curioso aspetto da piccolo romanzo, Segnalato a Sciafat il mancato ritorno del « Caproni », altri apparecchi si levavano in volo per farne ricerca. Esplora qua, esplora là, finalmente lo trovano. Nessun grave danno sembra abbia sofferto. L'assenza degli aviatori è preoccupante. Perduti sulla via, tentano il ritorno a piedi? Vittime di un'imboscata* Così passa tutta una giornata e tutta una notte. Il mattino seguente sorpresa, spiegazione, gioia. Un nuovo velivolo, spedito in crociera sulla regione, per ùltima speranza, vede ad un tratto scender giù per un sentiero tagliato sui fianchi della nuda collina, un lungo corteo di gente in sciamma, in testa al quale sono due europei in tuta. Tutti e due protetti da grandi ombrelli neri e rossi, a simiglianza dì quanto si usa per i « cosci ». Ci vuol poco a riconoscere i due aviatori. Tra terra e cielo si incrociano i segni rassicuranti di felicità intensa, Nessuna paura. I piloti infortunati marciano verso le nostre linee, dove infatti arrivano il giorno dopo. Stanno benissimo. Gli Atzebò-Galla li hanno fatti segno di ogni cura, di ogni ri spetto. Nell'ultimo tratto la scorta è stata ridotta a due «omini; più che sufficienti. Quei due Atzebò che poi vedemmo comparire a Enda Jesus, e che interrogai Due dei quarantacinque, che avevano subito sull'Amba Aradam il supplizio della marchiatura. E il volo continua. I monti favolosi dello Uogèrat. Ancora Buie, ancora Scelicot. A mezzo giorno, Sciafat. Renzo Martinelli I MERCATI DI TUTTI I CENTRI OCCUPATI DALLE NOSTRE TRUPPE hanno ripreso in pieno la loro attività. I nostri ascari, ottimi clienti di merce minuta, vi sono accolti con grande cordialità ed animane le lunghe contrattazioni ehe precedono gli acqni»*U

Persone citate: Adami, Gobba, Gobbo

Luoghi citati: Amba Aradam, Mirano