I seimila morti di Pompei

I seimila morti di Pompei I seimila morti di Pompei POMPEI, febbraio. Eppure, con difficoltà si riesce, sulle prime, a ricordare che questa città pugnalata alle spalle in piena giovinezza dall'eruzione fu seminata di morti. Si oscilla tra due estremi ugualmente esagerati: si immagina che le vittime sieno state pochissime, o sulla scorta dei ricordi del romanzo fantastico di Lytton e della catastrofe di Messina si conclude che possano aver raggiunto una cifra impressionante. Si può ora calcolare con qualche probabilità, che i morti, in Pompei, furono circa seimila. Altri fuggiaschi saranno stati raggiunti dai gas o dal maremoto lontano dalle mura. Per qualche secolo gli scavatori, che nei più antichi tempi erano soltanto ladri che foravano sotterraneamente la città come talpe, o frugatori avidi di tesori, non si preoccupavano dei poveri scheletri incuneati nelle macerie. I morti non contavano, erano scavalcati in fretta: avevano perduto quasi ogni umanità, erano reticene che il bel sole primaverile finiva d'imbiancare e di sgretolare. Più tardi la curiosità romantica; quel bisogno d'evocazione letteraria che appartiene al principio dell'Ottocento, risvegliò un interessamento per quelle povere ombre. Con emozione si studiava la loro posa, si seguivano i frettolosi passi che le avevano condotte, in extremis, contro una porta, su per una scala; gli avari carichi di suppellettili e di gioielli, le donne seminude malgrado la pioggia di fango di quell'ultima giornata di agosto. (I fatti si ripetono nel secoli: qualcosa di simile io vidi, a Salonicco, durante l'incendio del 1916). Gli uomini e !e cose Ma, duemila anni, sono una portentosa distanza, che rende incommovibìli. Si pensò, più per curiosità che per pietà, di .trarre il calco delle vittime conservate nel e e i i o e beroti,ocemdefictàqusasoVseroe . todeemsoc7uBsofepqludriluvsenplatifiMè l'gVacutetprtacfango divenuto compatto. Spunto' pche potrebbe formare il nucleo | Ucentrale d'una novella macabra.]aNon un semplice scavatore, non i rlili, archeologo sapiente, ma un j „poeta tragico, un esteta decaddi-L-tesi interessano a questa «co- sperta e l'applicano durante gli Uscavi. CE' appunto a un famoso esteta,1 pai Gailtier, che l'impronta di uu gflorido seno calcata nelle ceneri pdella Villa di Diomede offerse il liprincipio di un immaginoso rae- tconto dal titolo: Arria Marcella. D(Questi romantici francesi ave- tvano qualche vaga tendenza alla'gnecrofilìa, e al sadismo!). gMolto semplicemente la tecnica"necessaria al ricupero così emozionante delle vittime dell'eruzione fu suggerita dall'esperienza. Furono fotte le prime prove con gli oggetti di legno, i tronchi d'albero, le ruote dei carri, le ante delle botteghe, i paraventi deli cdldtttrìcUnìi. Dove, picchiando duran-^lte lo scavo, si sentiva il rumor,popaco di una cavità, si faceva lollaforo: dentro si colava il gesso li- squefatto. Consolidatosi il gesso, gsi rompeva la massa di terra j d(quella che il Cellini avrebbe]pchiamato la «camicia»), si tràe-ìcva la forma della «cosa» che ili dtempo, il calore avevano distrai-Into. Riuscito l'esperimento si pro-\gvò col corpo degli uomini: da'cquella modellazione casuale noni quscirono soltanto i corpi: furono, mricreati veramente i gesti sorpre-'.dsi dalla morte: gli spaventi, gliìnimpudori, le 7iialedizioni, le rosse- dgnazioni dell'ultimo minuto. Men-\ptre qualcuno aveva consegnato al. rgraffito le parole d'amore o le'timprovvisazioni poetiche delitti ssua vita, quali leggemmo ieri; gli] naltri avevano impresso nella mo-i ità, nello spessore di cenere e di llapillo, il dramma dei gesti estre-\ qmi. Nè gli uni nò gli altri avrei-[a ero potuto immaginare che paole, gesti sarebbero letti, scruta, duemila anni dopo, dal curiosi cchi dei viaggiatori in cerca di mozioni. La scienza giadatoria el morire con arte non ha falsicato la spontaneità della morte. il " Si salvi chi pi :ò „ C'è una morale, o una moralià, in tutti i destini; anche in uello di Pompei. Sotto il suo roa si nasconde la morte: come otto quello, incarnato, dell'etisia. Va dal corallo al petalo: dev'eser invisibile, da lontano come il ossore delle fornaci; è barbarico imperiale; appartiene al ballct- , . , . . (o della danzatrice e all'intreccio della corona trionfale. Tutti gli mblemi, i simboli, le immagini ono di fecondità e di letizia; an rtidslsfVsradmmgcg7ie gli scheletri modellati sopra'; n vaso d'argento del tesoro di\ Boscoreale, danzano! Pompei i oltanto immaginabile rosea: e\ elice. Ma, a un certo momento della eregrinazione, se scorgi uno di uegli scheletri ricomposti sul sciudtreuogo dove furono trovati, o una \ bdi quelle forme ancora e cos, ter-\tibilmente vive, racchiusa nella cuce d acquano di una bacheca di fetro degna del Museo TussiiudA nenti la compassione umana ''he\dnessuna colorata imbalsamazione \ tuò attenuare o cancellare. Vedi a fedeltà dell'« ostiario », il porinaio inchiodato al suo umile ufficio sulla soglia della Villa dei Misteri mentre l'immensa casa si turbinosamente vuotata; vedi\ 'animalità atterrita del cane legato alla catena nella Casa di Vesonio Primo, e di quello legato alla mangiatoia dei cavalli nella casa dei Poppei. In questa, che è una delle più sontuose case recenemente scoperte, il dramma è utto degli umili. Il «si salvi chi può» dei padroni è palesemente ivelato dalla scuderìa spalancaa. Sui cani e sui cavalli quei ric¬ coni vitaioli hanno preso la fuga per hl via di stallia o della Porta Urbulana. Una dozzina di servi aon rimasti segregati nella parte rustica della casa. E per aver me„0 paura, come avveniva in giter-a durante i bombardamenti, si ol, stretti vicini uno all'altro inomo a una lanterna accesa. E COsì furon ritrovati. Tranne due più coraggiosi che, armati di vallga e di zappa, per sfondare il co-\gperchio del rovente sepolcro, sa'irono per una piccola scala sulla errazza e vi trovarono la morte, DJ queste fughe, precipitose e tardive, sono altri segni. Un gruppo di atterriti pompeiani, dtntttmdcptapqlcdsedigravi di monete, andò ciecamente] z" sbattere contro la casa d'un sa- cordate d'Augusto che, per vanto della sua carica, egli aveva ornaa di laureata corona. E, scappando dalla casa di Giulio Polibio, un tale abbandonava l'asino che fu trovato scheletrito. V morto non è mai isolato com- ^lietamente dalla realtà: ha genipre qualche punto di riferimento a quelle che furono la sua vita, la sua attività professionale o artigiunti, il suo carattere. Come la donna che pur inseguita dalla paura non dimenticò di prender con se i gioielli e perfino lo specdiletto d'argento. La sua vanità na superalo duemila anni, galle gghindo sopra lo strato denso di cenere e di lapillo. E si potrebbe] quasi dire che niente è più im-\ mortale di uno specchio. Ma il dramma di un'altra giovane dotina, come ci appare nel calco che di lei è conservato al Museo, è più commovente. Questa ignota, rinchiusa oggi entro mia. grande teca dì vetro come una preziosissima cosa senz'anima, è condannata per l'eternità a mostrarsi impudica. E soltanto la sua bellezza, la sua giovinezza fanno di quello che sarebbe un « pezzo anatomico » un'opera d'arte. Vor- s (/(trite unii u t-.ta. uau uu.ic vili deHtìno ?e ha tolto insteme la. remino darle un nome, uno dei tanti che il pettegolismp pompeiano ha diffuso ai quattro canti della città. Perche essa avrà assistito ai ludi nell'anfiteatro e alle pantomime nel teatro: la passeggiata delle eleganti l'avrà pur fatta davanti alle botteghe della Via dell'Abbondanza, e si sarà sentita chiamare da qualche adoratore: '< anima dulcis » o « dulcis amor ». Di tutta la suppellettile della, sua casa, come della documentazione della sua vita, nemmeno un frammento. Ma, così giovane e bella, avrà avuto soltanto cura di sè e della veste: cioè della vita e di una certa elegante pudicizia. Due cose che il sa. sciandole soltanto la belle. Un attimo di spavento Era fuggita in gran fretta: il calco non porta nè anelli né colione nè braccialetti, e nemmeno un paio di sandali ai piedi: pei' difendere la grazia del viso contro la gragnuola dei lapilli e per riparare un po' il respiro dalle esalazioni mefitiche si è coricata bocConi. Visibile ancora il delicato oreC(:hio e a frettoloso vitree- rccU1cTcctamtpcgcciò dei capelli. Ha appoggiata la fronte s,a bmFCÌO piei,a,0> e ha n(llzata u veste Slllle apaìle per difendorl coprendo dalla Dintola .ft ìa sua nHdm> rivelan. gè'.'"omeTÌallamani, i simboli, rjli done le forme giovanili in un attimo di spavento che dura eterno. Paragonabile all'immagine, tagliata e isolata, di un drammatico film documentario. Ciò che stupisce principalmente, in tanti «atti di morte» è la mancanza di religiosità. Nessuno di quegli uomini e donne si è raccomandato agli Dei, è staro sorpreso in un gesto di fede, accanto a un larario, abbracciato a un alture o nel rifugio di un tempio. Ma gli Dei. gli antichi Dei del paganesimo e della romanità, e quelli nuovissimi importati dall'Egitto e dall'Asia erano poco creduli. Già i pompeiani li trattavano a tu per tu con una specie di ironia scettica e volterriana, senza piedistallo. La dea protettrice di Pompei era Venere. Invano le avevano dedicati templi, tempietti, statue; invano se ne era dipinta o scolpita l'immagine sulle soglie, ai quadrivii, negli atrii, nei triclinii. Tutte quelle designazioni religio- emblemi della bellezza non avevano potere di fronte alla morte; non piegavano il destino. Nella notte cupa e funerea, la mancanza di una fede aveva scatenato la disperazione. La voce del Cristia- nesimo, spuntata come una luce sul mondo cinquantanni prima dell'eruzione, non aveva (incora raggiunto Pompei. O forse era sottile e invisibile come l'acqua di una sorgente: serpeggiava, seminascosta, nei riti di qualche povera famiglia di schiavi o di gladiatori votati alla morte. E soltanto colui che, ricordini do l'Antico Testamento, Lcgdpmcztddcd7maldgclddmCdeamdzccnspcVdUlmzcppsègntdgscrisse I su una parete il nome delle città maledette « ftodomu e Gomorm » è morto in pace. Raffaele Calzini. pc UNA GIOVANE POMPEIANA SOFFOCATA E SEPOLTA DALLA CENERE

Persone citate: Arria Marcella, Cellini, Giulio Polibio, Raffaele Calzini