Come si distribuiscono ai nostri soldati le tonnellate di posta che arrivano in A.O. di Renzo Martinelli

Come si distribuiscono ai nostri soldati le tonnellate di posta che arrivano in A.O. Miracoli di organizzazione e di buona volontà Come si distribuiscono ai nostri soldati le tonnellate di posta che arrivano in A.O. (DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) ASMARA, gennaio. Parte una cartolina, una lettera, un pacchetto, dal lontano paese di Dovevolete (che è sempre, per chi aspetta il pacchetto la lettera la cartolina, il più gran paese del mondo) e, per monti e per mari, per treni, piroscafi, aeroplani, autocarri, dorsi di mulo, tasche piene anche di cartuccie o di caricatori, arriva in prima linea — e magari al di là della prima linea, nel ridottino avanzatissimo, alla scolta tutta sola dietro il riparo d'una roccia — puntualissimamente. E' la posta militare in funzione. Un meccanismo che dal punto di vista ufficiale non ha nulla a che vedere con l'arte guerresca, che non appartiene né al ramo strategico o tattico nè a quello logistico, e che pure ha, nella guerra — e, perchè not, può averne pure sull'esito stesso della guerra — «no sua importanza di prim'ordine, urgente e delicata quanto poche altre. Lettere da casa Jl soldato in genere, e quello italiano in modo tutto suo, può anche fare a meno, per qualche giorno, se è necessario, della pagnotta e del rancio; ma della lettera da casa no. Prima di partire ha promesso che scriverà sempre, cioè tutte le volte che ci sarà modo di far partire una lettera, e la mamma, la moglie, l'innamorata, gli giurarono che avrebbero fatto altrettanto. Lui, infatti, ha scritto, ha trovato modo di scrivere, sempre; anche quando l'ora poteva parere la meno propizia a mettere inchiostro su carta. Perchè, dunque, da casa, o di dove sa lui, noti hanno fatto altrettanto 1 E. il cuore gli si fa piccino piccino, gli vengono in testa le idee più ne re, e, col morale, incomincia ad aggrondarsi un poco anche il fisico. Fra cento soldati che hanno ricevuto posta con l'ultimo arrivo, quello che è rimasto a mani vuote si riconosce a colpo. Ha voglia di ridere per far finta di nulla. Di queste finzioni ne riesce solo una su mille. Per questo, sieno dunque lodati tutti coloro che, trovandosi presi nell'ingranaggio, necessariamente pesante, della posta miti tare diretta in Africa, fanno tutto quello che uomini possono fa re (e qualche volta di più) per che la lettera, la cartolina, il pacchetto, il vaglia, trovino libere e sollecite le vie del loro destino, e sieno dovunque considerati e trattati come le cose vive che sono. Corrispondenza, pacchi, vaglia ne partono e ne arrivano, com'è inutile dire, un po' da tutte le città e da tìitti i paesi e i borghi d'Italia. Ma quella è strada vecchia. Quello è un meccanismo attrezzato ormai da tempo immemorabile a queste accorte fati che. Il pericolo era tutto qui, o poteva esser qui, dove ogni cosa dovette essere necessariamente improvvisata sullo stesso ritmo della mobilitazione impostaci, quando meno ce lo aspettavamo, dal provocatorio atteggiamento di Addis Abeba. E qui, perciò, è il merito più grande. Alcune cifre Qualche cifra* Eccola. Maggio 1935 (il mese, cioè, da cui data il funzionamento della posta militare): corrispondenza in arrivo 21)10 chilogrammi; in partenza, 2720. Novembre 1935: posta in arrivo SJi.91Jt chilogrammi; in partenza 76.255. Vaglia emessi in maggio P92, per un importo complessivo di lire 171.344,10; novembre 104 mila 448 per lire 32.188.909,50. In maggio il personale addetto alla posta militare era di dieci persone; ora è di novantadue. Il servizio di trasporto della posta dall'Italia alla Colonia è normalmente effettuato da quattro aeroplani per settimana, due viu Brindisi e due via Tripoli, nonché da sette o otto vapori che nei sette giorni lasciano il porto di Massaua. Per la posta spedita dalla Colonia in Italia, oltre tutti i piroscafi, militari e mercantili, che da Massima fanno rotta per la madre Patria, vi sono pure quattro partenze di aerei suddivise per le due solite rotte Tripoli e Brindisi. Se si considerino in una volta sola le cifre surriporttitc e il cosi fitto numero delle partenze e degli arrivi peiaria e per mare, resterà difficilissimo rendersi conto quali possano essere le ore che l'ufficio riposa. Infatti, non riposa mai. E se vo¬ lete scambiare una parola amichevole col direttore — piccolo, ombroso, di poche parole, mai definitivamente contento del proprio lavoro perchè non sa quello che può accadere domani — sarà bene andiate a battere alla sua porta, con molta discrezione, verso le due di notte. Certi indirizzi... Piano, però; e se ai secondo colpetto nessuno vi risponderà è meglio non insistere. Vuol dire che il direttore è lì, tutto solo, con gli occhi e il cuore sopra una cartolina o sopra una busta, aspettando di essere toccato dalla rivelazione di un indirizzo incompleto, o mal scritto. Ci .verno molte mamme in Italia, e spose, e figli, per i quali chi è alla guerra è lì, gomito a gomito con tutti gli altri, in un luogo solo, in un solo paese, nel paese dove si guerreggia, e quando si tratta di scrivere « al soldato ecc. ecc. », non si sta tanto a badare alle minuziose istruzioni date dal figlio, dal babbo, dall'inìiamorato lontano. — Ne avvengono molti disguidi per questa causa t — chiedevo al direttore, ima di queste sere, dopo che, appunto, lo avevo trovato tutto serio, sopra una cartolina diretta a un certo Anastasio Beccocci, o Beccassi, soldato d'un incomprensibile reggimento d'artiglieria. — Non moltissimi, ma sempre troppi. E' una pena. Bisognerebbe farlo sapere a tutte le famiglie in Italia. E non solo a quelle di campagnaPoi il colloquio continuò, prendendo l'andatura di una piccola intervista, diretta a porre in evidenza alcune parti tra le più sottili del complicato, eppure, ormai tanto agile, meccanismo. La posta non arriva all'Asmara, come si potrebbe immaginare, a valanga. Se così fosse, risulterebbe materialmente impossibile effettuare la suddivisione per unità e specialità prima che la valan ga successiva venisse, per terra o per aria, ad abbattersi sugli uomini impegnati in tale lavoro Quella suddivisione si effettua perciò, in Italia. All'Asmara si tratta di distribuire corrisponden za, vaglia, pacchi, secondo i disio camenti delle varie unità. E qui comincia, si può dire, il bello. In cerca del destinatario Che la posta arrivasse già divi sa in pacchi, ognuno destinato a una stessa unità o specialità era certo utilissima cosa. Ma non tale da ridurre il compito dell'ufficio di Asinara al puro gesto meccanico di rimettere i pacchi stessi ai messaggeri che fanno la spola tra la capitale e il fronte. La vastità della regione sulla quale sono dislocate le forze operanti — da Om Ager al ciglione dell'altopiano strapiombante sul deserto dànca lo — e i continui movimenti di re parti, finivano per ridurre note volmente la pratica utilità di quel la prima operazione. Bisognava escogitare un mezzo tanto sempli ce quanto sicuro perchè la posta, non appena giunta all'Asmara potesse subito essere incanalata per la strada buona, per la strada giusta, per la strada più breve e più sollecita, al suo destinata rio, evitando il perditempo (che poteva diventare addirittura perdilettera o per divaglia) di raggiungere il traguardo definitivo attraverso giri viziosi di due o tre tappe, e di altrettante correzioni. Non solo, ma anche occorreva che questo inconveniente ve nisse eliminato senza che un tempo uguale se ne andasse perduto nella ricerca della strada buona fatta sui registri dell'ufficio centrale, dove i mutamenti di destinazione d'un reparto potevano,sempre essere segniti e annotati. Ci voleva qualcosa di molto rapido, e perciò di molto visibile. Bisognava scoprire un metodo che per così dire, saltasse subito agli occhi dei soldati addetti allo smistamento. Qui il sacco, lì lo scaffale. Ogni buca, un ufficio di posta in servigio presso un certo gruppo operante. Tutto doveva -ssere ridotto alla minima misura di tempo e di gesto. Con la lettera in mano, il militare avrebbe subito dovuto trovare la casella infallibile, anche se il reparto cui quel destinatario apparteneva si fosse nel frattempo trasferito su di un altro settore. Pensa, pensa, la piccola grande scoperta fu fatta. Nacque il cosiddetto « semaforo »; chiamato in questo modo per via dei molti colori e delle infinite segnalazioni da alfabeto marittimo di cui fa pittoresca pompa in mezzo alla grande baracca dove lo smistamento avviene. Ogni ufficio postale mobile, cioè distaccato presso le truppe operanti, ha li un suo contrassegno particolare — rosso, bianco, verde, arancione; bandierina, quadrato, cerchio, rettangolo, stella — e ognuno di tali segni ha la sua precisa corrispondenza in una delle buchette del casellario, insieme alla indicazione della unità o specialità presenti in Colonia. In tal modo, il procedimento risulta elementarissimo quanto, come si voleva, infallibile. Ogni volta che un reparto si sposta, l'ufficio che ne viene ad assumere il servizio postale ne dà immediata comunicazione alla direzione d'Asmara; la quale, due minuti dopo, avrà già provveduto a sostituire sulla casella X o Y o Z la vecchia insegna cromatica con l'insegna nuova. In tal modo, il militare addetto all'incasellamento non avrà alcuna modificazione da fare al suo solito gesto — mettere, cioè, la corrispondenza nella buchetta do v'è scritto il nome di quel certo reparto — e il militare che più tardi arriverà dal fronte per ritirare la solita posta non avrà che da cercare, come sempre, sul qua dro delle varie caselle, U consueto segno a colori. Meglio di no, ma questo, soldato potrebb'essere a?tche analfabeta, e tutto funzionerebbe benissimo lo stesso. — Quanto ci mettete a smaltire tutto un aeroplano di posta? — chiedo. Il direttore mi guardò fisso per qualche istante con le sopracciglia a accento circonflesso. (Che domande erano mai quellet) Poi si limitò a dirmi che, naturalmente, non si andava a letto fino a quando anche l'ultima cartolina illustrata non avesse ripreso il volo verso il suo ultimo destino. Tutto doveva smaltirsi nello stesso giorno dell'arrivo. Naturalmente. Me lo avevano detto. E' un brav'uomo, ma in fatto di servizio non ammette nè scherzi, nè domande troppo innocenti. Renzo Martinelli.

Persone citate: Anastasio Beccocci