Rialto

Rialto Rialto Un volume di oltre quattrocento pagine grandi, tutto dedicato alle vicende di un singolo quartiere, e non principale, di una singola.città, pare impresa maravigliosa. Ma la città è Venezia, e il luogo e il libro si chiamano Rialto, l'isola, il ponte, il mercato (Zanichelli, Bologna). Autori del libro sono Roberto Cessi e Annibale Alberti. #*# San Marco fu sempre — come è adesso — la eamara da ricever, il « salotto buono » di Venezia, per la mondanità, l'arte, la politica e il pettegolezzo; ma a Rialto rifluiva il suo sangue vivo. Centro topografico e centro popolare, era il suo mezza l'ammezzato degli uffici e degli affari ; come a Genova si dice lo scanno. Venezia fu e rimase un'aristocrazia plutocratica e talassocratica di navigatori e mercanti. Primeggiava chi possedeva più navi, dunque più traffici. Così, Rialto rimase il fulcro della ricchezza e della potenza. Ivi le merci e gli affari; ivi, dunque, la nobiltà; le grandi famiglie vi avevano tutte ìl loro scranno. Con quanta prudenza, con quale senno, la repubblica tutelava quel primato e la fama di libero emporio universale del commercio fra stati c popoli, fra oriente e occidente, da cui trasse opulenza e grandezza ! Si legge in questo libro, come rispettasse i diritti dei privati, non solo e non tanto veneziani, quanto e soprattutto forestieri. Nel mondo di allora, tanto farragginoso e complicato per balzelli, leggi, divieti, ordinanze e barriere, Venezia rappresentava un'oasi di equità, libertà e liberalità. Il Senato si guardava dal disturbare la minima consuetudine, dal ledere il più lieve diritto, anche per cause gravi e legittime; sapevano quegli uomini di affari che l'infima rotella di quell'organismo economico tanto delicato e fruttuoso poteva inceppare tutto l'ingranaggio, specialmente riguardo ai mercanti esteri. Le ordinanze della repubblica, per questo riguardo sono tutte illuminate è riassunte nel loro spirito informatore da quel mirabile Mercante di Venezia, dove Shakespeare vanta Rialto, e l'impossibilità morale, per il doge, di menomare o ferire un contratto fra privati. Guai a screditare il mercato di Venezia, intaccando il prestigio che lo rendeva unico e florido su ogni altro, di rispetto alla libertà, le galità e giustizia per tutti, an che contro l'arbitrio dello stesso monarca. **# Anche per questo, il ponte di Rivo Alto rimase per secoli in legno. Si aveva paura, dalla prudentissima Signoria, della spesa e della violazione di diritti acquisiti, per espropri e altro; e di fatto, questi furono ridotti al minimo ; e soprattutto, si aveva paura di disturbare il regime delle acque. E' commovente ed edificante il vedere come quei buoni signori si preoccupassero di non sprecare un soldo dell'erario, in opere di dubbia solidità, e di non arrecare danno alle acque, linfa vitale della città, interrando il Canal Grande con le palafitte del ponte. Questi due gravi autori non degnano di accennare al florilegio di motti e aneddoti, sbocciati per questo annoso problema dall'arguzia del popolo veneziano. Io, veneziana, so che essi vivono ancora sulla bocca del popolo, non tutti castigati, perchè Venezia indulse sempre alla malizia della parola, luttavia alcuni sono bellissimo indice della cordiale democrazia che temperava nel costume la severità aristocratica del regime E' bello sapere che Sua Eccellenza Pasquale Cigogna, eccellentissimo proc.utature di San Marco (suprema carica, che preludeva di solito alla candida tura dogale) un giorno di pioggia e neve scendeva a piedi gì' sdrucciolevoli gradini del vecchio ponte in legno, presso casa sua. E una svelta donnetta del popolo, nello scenderli vicino a lui, scivolò,» inciampò, inzac cherò neliet pozzanghere le mulette nuove e l'orlo della veste e di sotto il fiorito zendado fiorirono assai pittoresche invettive alle loro signorie del governo, che, in malorsega, parla parla, e mai non facevano il fa moso ponte di pietra, cosi ne cessario ai poveri diavoli di poveri che usano le gambe e non la gondola. « Si farà, si farà », intervenne il nobile gran magistrato. « Lo farò io, appeim sarò doge, va bene?» consolò bonariamente. Ma l'infuriata brontolava forte che, si, proprio, avrebbero aspettato a realizzare il ponte di pietra quel giorno che si realizzassero certi altri fenomeni patologici totalmente insueti. Sua Eccellenza non amava die si dubitasse della sua parola, e meno ancora, forse, della sua elezione a doge. « Femo pato. jia mia, che vìi quel zomo sarè contenta de brusarve le gambe ». Cosi; ancora oggi, prospiciente il Rialto, sul pubblico palazzo dei Camerlenghi, due capitelli istoriati su due pilastri raffigurano quella memorabile conversazio- lsltgdltcssssgsu ne. Perchè Pasquale Cigogna fu doge, e fece il ponte di pietra, sul capitello si vede la donnettfra le fiamme e il resto. Proprio le fiamme facilitaronl'opera. Non è la prima, né lsola volta, da Nerone in poi, chl'incendio fu urbanista risanatore. Deciso il ponte di pietra aposto di quello vecchio bruciatosi chiamano a concorso, pescelli inviti, i buoni architetti detempo. I buoni — ma, come asolito nei concorsi e sempre e fin d'allora e da prima — non magli ottimi. Cosi come oggi svede, il ponte piace. Quel pittoresco, un po' barocco e caratteristico, può a rigore consolarmche al suo posto non sorga invece la pura radiosa mole — forse un po' classicamente fredda — disegnata da Andrea Palladio. Ma non potrò mai consolarmi che esso sostituisca il ponte, disegnato nientemeno che dMichelangelo. Accidenti ai concorsi ! come pretendere che Palladio o Michelangelo si mettanin fila, sull'attenti, nella gara coOscuri, Zorzi e Lorino, o co u e a o a e l , r l l n i i i — a o n n i bravi Dal Ponte e Scamozzi? Si può chiedere, a che serva il gran passare del tempo se. dopo secoli, ancora ci troviamo nei meandri, confusi e diffusi, dell'attualità cronistica, e non di fronte alla chiara, ordinala, riassuntiva storia. Veramente, i dotti autori di Rialto avrebbero reso a noi lettori migliore servizio se non si fossero abbandonati al diletto di perdersi, e perdere noi con loro, nel sottobosco ceduo di tutte le notizie e notiziolc, leggi, editti, decreti e regolamenti. Bisognava prendersi la responsabilità, la fatica, il lavoro c il tempo di tagliare e portare, liberando le belle ordinate prospettive della foresta dall'ingombro di troppi rami e fronde basse intricate. La storia, e persino la cronistoria minuta e aneddotica, ha tuttavia da essere sempre giardinaggio architettonico di ahi fusti, non collezionismo di botanica, che ogni stelo classificano e disseccano indifferentemente nell'erbario. Tra i molti documenti memorabili, raccolti con meritorio studio dagli autori, mi piace segnalare il decreto, con il quale sgnndbsdc si deliberava circa il ponte, pagina alta e solenne, pur restando semplice, tale da dare idea della naturale maestà del senato veneto. « liano sempre studiato et invigilato li maggiori nostri ad ordinar e comodar questa cita tic bellissimi templi, fabbriche private et piazze amplissime, per modo che de tino redutto verde et inculto, solimi a con fligio et securità de forestieri expulsi dalle loro patrie dalle perseculioni cicli! comuni inimici, è accresciuta, ornata et costruita in la più bella et illustre città, chebora sia al mondo, ove concorrono da ogni parte gente allcctc et invitate da la bellezza et commodità della elicla cita, ne si ha potuto per lo tanto operar che non gli siano restate molte parte brute et occupate, che denigrano il splendor della dieta cita... Perhò, a fine che non gli manchi alcun commodo et ornamento, si che la sia illustre sopra tutte le altre città... A questo line, con questo animo intraprendeva grandi cose il prudente senato. Margherita G. Sarfatti

Persone citate: Andrea Palladio, Annibale Alberti, Dal Ponte, Lorino, Nerone, Palladio, Sarfatti, Shakespeare, Zanichelli, Zorzi