NEBBIA eterna

NEBBIA eterna NEBBIA eterna Avevo sempre sostenuto dì conoscere molto bene l'ingegner Emilio Balsari e lo dicevo, ogni volta che mi capitava l'occasione, con una vanitosa sicumera. Oramai da un anno lo vedevo quasi tutti i giorni e ragionavo con lui di vicende commerciali importanti ; il suo tono, i suoi giudizi, soprattutto il suo punto di vista davanti alle cose sapevo benissimo quali fossero. Adagiato in questa matematica sicurezza, non aspettavo più sorpreso: intuivo ogni svolgimento del suo pensiero, facilmente prsvedcvo tutte le sue risposte. Era alto, corpulento, con la faccia impassibile quale un incancrenito giocatore, e gli occhi aveva vividi ma diffidenti, i gesti bruschi o sbadati, la voce sempre tesa su un accento di caparbietà ; riservato al punto da parere qualche volta viscidamente misterioso : per questo, al primo incontro, poteva anche suscitare antipatia. Ma poi si capiva che l'uomo era diverso, si indovinava presto quello che in lui era difesa istintiva e così i rapporti trovavano una via cordiale, sebbene egli restasse sempre un po' troppo rigido, autoritario, con una vena di burocrate testardo e di puntiglioso lavoratore. Stava _ lunghe ore seduto alla sua scrivania, sgombra di carte, liscia come un bigliardo; i segni del suo potere erano i campanelli, i telefoni che usava con un piglio irritante. Avevo cominciato a conoscerlo così, in quell'ambiente. Forse, in tutto l'anno, non era uscita dalla sua bocca una parola inutile, con me od in mia presenza mai aveva fatto una divagazione; e questo non soltanto perchè il suo animo fosse alieno dagli argomenti futili, ma anche perchè aveva il tempo avaro e misurato. Jl'era parso, nella sua travagliata onnipotenza, tipo molto semplice, da scoprire e da definire in un batter d'occhio, al pari di quei congegni che tanto seducono al vederli, e poi smontati rivelano un meccanismo d'una chiarezza sorprendente. Se mi diceva, a proposito di certe disposizioni che dovevo far eseguire, « lei mi capisce, vero? », gli rispondevo di sì, intimamente sicuro, con una punta di malcelata ironia. La sua vita, a molti, appariva piena e sanguigna, invidiabile e ricca ; a me risultava limitata, monotona, misera di succhi interiori. Era un uomo senza vizi, che non si era mai divertito, che non aveva mai fatto una cosa per il gusto di farla; forse non aveva mai visto i giardini pubblici, non aveva mai goduto una passeggiata in campagna, non era mai stato in una strada senz'altro interesse che la curiosità. E non lo invidiavo. Il suo animo il cervello, il cuore, i nervi, gli occhi mi sembravano aperti sol tanto su uno spicchio di vita, una cosa da nulla, e povera di cevo la strada che stava percor rendo per arrivare all'omega Tanto chiuso mi pareva, che giunsi anche a commiserarlo, tra la meraviglia dei parecchi che mi ascoltavano: ma quei tali, chi più chi meno, erano come l'ingegner Balsari, rapiti dalla vita alla, vita, costretti ad un giogo ed a rotaie invisibili: così, e non possono fare diversamente. Quando poi fui invitato a casa sua, e lo vidi tra le pareti lussuose, alla tavola bene imbandita, di fianco alla mogHe, ogni cosa mi si riconfermò nel!.-! mente. Che fosse stato, un giorno, innamorato e felice, mi sembrò cosa assurda e un bi glietto d'amore, forse, non lo aveva mai scritto. Aveva sempre quel suo sguardo distratto ed insieme preoccupato, rivolgeva poche parole a chi lo interrogava, non partecipava alle nostre partite di carte. Pareva non vedesse nulla, nè la moglie, nè i quadri, ne i mobili, nè gli amici, estraneo agli altri come a se stesso. Una volta, nel mezzo d'un brindisi fatto da un invitato, da cui egli si sentiva elogiato per certe ardite imprese commerciali, si chinò verso di me per chiedermi se di una scabrosa lettera scritta nel pomeriggio, avessi fatto duplice copia. Quando compresi che anche all'adulazione era insensibile, mi dissi ohe di lui conoscevo tutto. Era come cento e mille altri uomini: un Jioveraccio, con l'automobile ala porta, ÈL * # Una sera mi fa chiamare, mi domanda se per il domani, domenica, sono libero, mi invita in campagna a vedere i suoi poderi. Rispondo di sì, che va bene, asciutto però, come asciutte erano state le sue parole. Quell'invito mi parve un ordine quando disse: <i Allora si trovi a casa mia alle nove ». Andai, e, per la prima volta, al buon giorno aggiunse il mio nome. Poi égli si mise al volante, ci dirigemmo verso Brescia, verso quella campagna che doveva scoprire così dolce e casalinga. Guardavo l'ingegnere che guidava, lungo l'autostrada prima, per certe stradette comunali dopo, e meravigliavo nello scorgere sul suo volto un'espressione nuova, quasi tutti i muscoli si plasmassero su un diverso scheletro ; era silenzioso ancora, ma sentivo i suoi pensieri leggeri ed oziosi, in maniera sino ad allora insospettata. Si giunse così al paese ed alla casa. Una grande casa, come un tempo usavano avere i signori in campagna, ed i giardini, i saloni, le volte ba Toccamente affrescate, i camini alti « profondi, la dicevano vecchia di due secoli.,Era una casa cordiale, con mobili antichi, al tempo stesso austeri e semplici e pensai che non dovevano piace re al Balsari. Invece,, appena fummo nel primo salone, mi disse: c Guardi ed ammiri. Sa, io amo molto questa casa ». , L'autunno cedeva già ai primi freddi invernali, e per questo si accese il fuoco; una donna recò molta legna e noi restammo seduti a lungo davanti al camino. Egli si era messo vicino alla moglie, un braccio ap¬fpbspgsDgCpmpnpssddttccz(nldblcgddcss poggiato alla spalliera della seggiola di lei, in atteggiamento atfettuoso più che amoroso, dolcissimo. Arrivò ii fattore, e meravigliai nel sentire come gli parlava Balsari: la voce s'era fatta di colpo cordiale, lui sempre altezzoso diveniva ora affabile; parlarono di campi, di tasse, di bestiame, di riparazioni; persino divagarono, e fu l'ingegnere a dare il via col chiedere se il curato stava meglio, se al Dopolavoro avevano costruito il gioco delle bocce, so al signor Chiodi il bimbo era nato. Mi pareva d'assistere ad un tradimento, e dovevo subirlo senza possibilità alcuna di reagire. Venne l'ora della colazione che fu piacevolissima, ed alla fine Baisari mi fece sapere, con gioia insieme vanitosa e puerile, che verdura e frutta erano del suo podere. Tutto ciò, alla fin dei conti, non mi persuadeva, argomentavo che poteva essere un artificiosa euforia, un abbandono pro¬ vocato da chissà quali misterioso contrarietà. Bicordo ohe immaginai Balsari sull'orlo della rovina, e tutto quello che faceva essere ridicola difesa per sfuggire ad ossessionanti preoccupazioni. Poi trascorremmo buona parte del pomeriggio visitando i giardini, i campi, le stalle, e d ogni cosa egli parlava con amorosa compiacenza, con distacco sereno, insieme arguto e maligno, come trovi sovente negli spi riti saggi. Le terre erano vaste ed egli le illustrava a me, senza vanità; le stalle ordinate, ed egli si vantava d'aver fatto mettere sulla porta l'immagine di San Fermo, particolare protettore del bestiame; la scrofa era grassa, tanto da non potersi muovere, piena di latte, attorniata dai nuovi nati, ed egli rideva a quello spettacolo, divertito. Camminava elogiando la pace, del paesaggio, rievocava l'immagine di altre stagioni, la primavera e 'estate; diceva di quei monti ora così plumbei e lontani, che bisognava vedere in cene albe di j marzo per crederli a due passi, tanto divenivano tersi. Persino fece, rivolgendosi alla moglie, non so quali allusioni a lontane ed intime loro vicende, belle penso, clic la moglie sorrideva. Tacevo. Con dispetto dovevo ricominciare da capo tutti i miei pensieri, ma più che la delusione per l'antica sicumera con cui 'avevo giudicato, mi stordiva quell'impensata e celata esistenza che non avevo saputo indovinare. Nella mente mi rivolgevo domande buffe e retoriche, quasi sotto i panni scuri ed autoritari in cui sempre l'avevo conosciuto, avessi di colpo, ed in maniera da restarne offeso, scoperto un'altra persona. *** Ci fermammo anche per il pranzo e, dopo, rimpiansi di dover lasciare la casa ed il gran fuoco del camino. La notte era senza stelle, ai lati dell'autostrada pareva clic due burroni neri ci fiancheggiassero, tornavamo verso la città silenziosi e dolcemente stanchi. .Monotono era il viaggio. Ad un tratto l'ingegner Balsari si svoltò verso di me. dicendo : « A che, pensa? ». Non volevo dirglielo, temevo lunghe discussioni e già sapevo tutta la sua ragione. Allora risposi, pescando nella memoria un ricordo improvviso: « Penso ad una frase di Shakespeare, quando nel Macbeth dice che la vita è un racconto detto da un idiota, zeppo di furia e di frastuono, elio non significa nulla ». Balsari alzò lo spalle non so se incredulo o serbato, poi distratto disse: n Guardi, ci sono già i primi banchi di nebbia ». Entrammo così, con imnrovviso sgomento, in una nube sfilacciata, vaporosa e lattea, che pareva piena di fantasmi. Enrico Emaniteli! M

Persone citate: Allora, Balsari, Chiodi, Emilio Balsari, Shakespeare

Luoghi citati: Brescia, San Fermo