Quel che Parigi attende da Brusselle di Concetto Pettinato
Quel che Parigi attende da Brusselle Quel che Parigi attende da Brusselle Scetticismo sul convegno - Si vorrebbe utilizzarel'occasione per affrontare l'argomento europeo Parigi, 1 notte. L'attenzione di questi ambienti appare dispersa tra i molti problemi dell'ora. L'imminenza della riunione del Comitato di Londra e della Conferenza di Brusselle sollecita gli osservatori diplomatici in direzioni che scarsi rapporti hanno fra loro. Sulla sorte del non intervento l'incertezza è completa. Si ha da qualche giorno l'impressione che il nervosismo ufficiale di Parigi si sia alquanto attenuato. I comunicati dell'agenzia « Havas » sulla situazione nelle Baleari hanno fatto sfumare la montatura che negli scorsi giorni pareva dovesse condurre difilato a uno sbarco a Minorca. In pari tempo, la gazzarra sul numero dei volontari italiani in Spagna è calata di tono. Il Comitato Plymouth si trova, è vero, in cospetto di una serie di minacce di riprendere la propria libertà di azione. Ma la libertà d'azione per far che? E' quello che nessuno saprebbe dire. Interventismo in ribasso Al punto in cui stanno le cose, l'ipotesi di nuovi interventi diretti in Spagna si fa di giorno in giorno più problematica. I valenziani stanno per trasportarsi a Barcellona: è la confessione che la resistenza si limiterà, prima o poi, alla Catalogna e che non si nutrono speranze nella possibilità di stroncare le inevitabili offensive di Franco sul fronte orientale. Un Paese che volesse sul serio aiutare i rossi a risalire la china su cui sdrucciolano da un anno avrebbe ormai il suo da fare. Se nel novembre scorso un'assistenza limitata poteva ancora bastare, oggi sarebbe necessario impegnarvi degli eserciti. D'altra parte, l'installazione di Negrin e della Ghepeù nella capitale della Catalogna inquieta i catalani, i quali si domandano quando e come riusciranno a sbarazzarsi degli incomodi ospiti che arrivano in casa loro con l'intenzione di prendervi il bastone del comando. Se la discordia dovesse riaccendersi intorno alle Generalità, la prosecuzione della partita sarebbe per i repubblicani ancora più difficile. In queste condizioni, è abbastanza naturale che l'incertezza tenda a paralizzare la volontà di agire degli stessi interventisti più sfegatati. Si p parlato in questi giorni nei conciliaboli dell'estrema dell' opportunità o meno di provocare un rimpasto che porti al Quai d'Orsay Herriot. La Russia ha in Herriot la più grande fiducia. Ma è poi dimostrato che l'attuale-Presidente della Camera, investito che fosse delle responsabilità della politica estera del suo Paese, si getterebbe a capofitto nell' avventura spagnuola ? I pericoli corsi in questi giorni al Marocco dovrebbero aver indotto Parigi ad apprezzare i vantaggi della neutralità e i meriti della prudenza. Errori che si ripetono Lo stesso richiamo dell'ambasciatore Cerruti, che l'opinione francese ha accolto con rammarico non foss'altro che per le simpatie personali acquistatesi in questi ambienti dall'eminente diplomatico italiano in due anni di paziente presenza, ma di cui tranne pochi sfoghi di dispetto inconsulto non ha potuto rifiutarsi a riconoscere la legittimità, dovrebbe aver contribuito a convincere le sfere dirigenti che la politica del peggio non ha mai servito gli interessi di un grande Paese. « Asteniamoci dal fornire allo straniero verghe per fustigarci », ammonisce Pierre Dominique nel suo giornale, osservando che la Francia ha avuto torto di fare intervenire la passione di parte nel governo dei suoi affari di cancelleria. Non è la prima volta che il Quai d'Orsay commette errori dì questo genere. Lo stesso fece quando accreditò un diplomatico presso Wrangel poco prima che questi cadesse, quando seguitò a riconoscere Maklakoff come ambasciatore russo sebbene lo zarismo fosse morto da un pezzo, quando negò il riconoscimento ai Sovieti che l'Inghilterra e l'Italia avevano già riconosciuto, quando continuò a riconoscere il governo di Valenza mentre l'Inghilterra e l'Italia avevano già riconosciuto quello di Salamanca. Taluni giornali si dolgono che richiamando Cerruti l'Italia rimetta sul tappeto con insistenza il problema del riconoscimento della conquista etiopica dimenticando che quando si trattò di riconoscere l'occupazione della Tunisia, Roma fece attendere Parigi quindici anni. Il paragone non regge. Fra il 1885 e il 1900 il ritmo delle vicende internazionali non era quello di oggi. Un anno di attesa nel 1937 vale bene tre lustri del secolo decimonono. Gli avvenimenti si succedono con passo troppo veloce perchè i rapporti fra due grandi Potenze possano lasciarsi paralizzare indefinitamente senza grave danno per tutti. Del resto la situazione della Tunisia, paese di capitolazioni, dove l'Italia occupava in forza di trattati regolari una situazione privilegiata ed era rappresentata da una grossa colonia, non ha nulla che permetta di assimilarla alla situazione dell'Etiopia dove l'Italia non ha leso con la yropria occupazione nessun inte¬ resse francese legalmente costituito. Sia come si voglia, a giudizio di vari osservatori, non è impossibile che la decapitazione dell'Ambasciata italiana di Parigi, in corrispondenza della decapitazione dell'Ambasciata francese di Roma, giovi, in ultima analisi, a chiarificare lo stato dei rapporti fra i due Paesi, sottolineando l'urgenza di una sistemazione che lo stato di cose perdurante ormai da un anno — i due richiami hanno avuto luogo, l'uno il 31 ottobre 1936 e l'altro il 31 ottobre successivo — tendeva a rinviare alle calende greche. Nelle malattie croniche una buona febbre può essere salutare. Anche questo fatto, in ogni modo, sembra destinato piuttosto a sedare l'effervescenza delle sfere francesi, che non a inasprirle. La conferenza di Brusselle In quanto alla Conferenza di Brusselle, alla cui volta Delbos partirà domattina, le prospettive non si presentano meno refrigeranti. L'aspetto interessante della Conferenza consisteva per la Francia nell'intervento degli Stati Uniti. Ma, dal giorno del discorso di Roosevelt, è passata dell'acqua fra Brest e Long Island. La Casa Bianca, che pareva li 11 per prendere i fulmini di Giove, ha potuto rendersi conto che il Senato e il Paese non sono troppo disposti a seguirla in un intervento contro Tokio, neppure sotto la forma di sanzioni. Ora, scartate le sanzioni, che può fare di utile la Conferenza di Brusselle? Le sfere francesi non se ne attendono gran che: ed ecco perchè l'ufficioso Petit Poristen nel prospettare le magre pretese che si offrono allo sguardo continua col dire che il meglio che la conferenza potrà fare sarà di fornire a Delbos a Eden a Potenkine ed a Aldrovandi l'occasione per riprendere fra loro le discussioni di Londra. In cauda venenum. La La conferenza di Brusselle si deve occupare del Giappone e non della Spagna. Dei più calmi umori francesi ci compiacciamo, ma essi non debbono servire ad attirare l'Italia fra due pareti per tentare di strangolarla ad uso dei famosi mttefres du serali, in assenza della Germania e del Portogallo. Per gli affari di Spagna esiste il Comitato di Londra. E' chiaro del resto che il conte Aldovrandi, specialista delle questioni orientali, non avrebbe, neppure volendolo, i poteri richiesti per la discussione in cui appunto si teneva a impegnare il conte Ciano. Concetto Pettinato
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