Nome la città fantasma di Leo Rea

Nome la città fantasma Uomini e nebbie del Mai* di JBgjtìmiìj Nome la città fantasma Da ventimila a mille abitanti in trentanni Testate, per sei mesi aspettare l'inverno Un modo di vivere: per sei mesi aspettare I piccoli drammi della cronaca quotidiana (Dal nostro inviato speciale) NOME, agosto. Kalgan, Timbuctù, Nome sono fra le città più care ai cartografi i quali, una volta tanto, non hanno da scervellarsi, da tirare gli occhi e fare giochetti da minia turisti o da prestidigitatori per infilare, fra segni di ferrovia di fiumi di Provincie di confini il nome di una località. E quando capita loro un'occasione come Timbuctù, Nome, Kalgan... paff! ii sbattono giù questi nomi su tutte le carte, comprese quelle degli atlantini tascabili, in un carattere così grande e leggibile come quello adoperato (per restare in questo continente) per Cleveland, Seattle o St. Louis città che toccano o superano il milione di abitanti e il quarto di milione di automobili. A giudicare dal modo come la rappresentano gli alluminatoli della geografia, Nome dovrebbe essere una metropoli o pocomeno, invece non è neanche più una città, o, almeno, è ridotta al rango di città fantasma — una delle tante città costruite da uomini pazzi di fretta e pieni di denaro facile, abbandonata dagli stessi «omini e rosicchiata dal tempo. Subito dopo il Novecento — quando si scoprì nuovo oro, in filoni nell'interno della penisola di Seward, di alluvione nei fiumi che sboccano qua attorno e fra le stesse sabbie della spiaggia — oltre venticinquemila abitanti si erano raccolti quassù. Oggi la città non conta nemmeno un migliaio di anime a mettere nel conto anime bianche gialle rosse e di colore mezzemezzo. I giacimenti non rendono più quello che rendevano una volta; neanche il nuovo prezzo dell'oro, fissato da Roosevelt a trentacinque dollari per oncia, è riuscito a dar ossigeno a Nome: altrove eran stati trovati filoni di più alta resa e gli americani, si sa, non sono molto sentimentali in fatto di Penati Lari e simili latinismi: vanno dove c'è da guadagnare e dove c'è da guadagnare di più, pronti a muoversi ancora alla prima occasione o illusione di trovare ricchezza più facile e più rapida. Prima dell'incendio... Oggigiorno in tutta Nome e dintorni della già fiorentissima industria estrattiva non restano che due draghe ed una di esse è smantellata; l'altra lavora di scavo staccio ed amalgama quattro ó cinque giorni della settimana e riesce a mettere insieme quel tanto che basta per pagare — poco — ì sei indigeni colà impiegati e a mantenere in stato di sbornia permanente il loro principale. Per quanto le statistiche affermino che la popolazione all'epoca del grande incendio, millenovecentotrentaquattro, era ormai ridotta a un ventesimo in confronto al periodo aureo, gli abitanti della città insistono nel dire che se Nome è andata in malora, la colila è del fuoco e soltanto del fuoco. — Dovevate vedere la città prima dell'incendio — vi sentite invariabilmente dire a bordo, con una voce che ha toni di implorazione, da un cittadino ansioso di giustificare l'evidente decadimento della ex-capitale dell'oro e di ridare pressione agli evaporanti entusiasmi dei quattro o cinque forestieri. Ma anche se avete lo spirito più caritatevole di questa terra, riuscirete difficilmente a dare al volto un'espressione tale da persuadere questo difensore della perdutissima causa di Nome che le sue parole vi hanno convinto. Nome non lui un porto: le navi si ancorano al largo e uomini e robe vengono penosamente traghettati fino a terra: qualche barca di limitatissimo tonnellaggio — se è comandata da un capitano più temerario che coraggioso, se non c'è nè vento nò nebbia, se i ghiacci sono ben rotti, se il timone risponde subito e se non ci sono donne incinte a bordo — può rischiare di raggiungere il breve molo e sperare di riuscire, dopo un ragionevole numero di tentativi, a legarsi. Queste condizioni, per così dire favorevoli, hanno accompagnato il mio arrivo: a cime ormeggiate, sono andato a dire addio al capitano e a congratularlo per la manovra. E quello, capito il latino, si è giustificato dicendomi che, prima dell'incendio, non era così... Poi, quando vi siete infilato in uno dei dieci tassì locali, e stufi degli sballottamenti, suggerite al guidatore che il combinato effetto del fondo stradale e delle stanche molle consiglierebbe una ri duzionc di velocità, quello vi assi- cura che prima dell'incendio del ■'trentaquattro... E l'albergatore mostrandovi la camera piuttosto scalcinata e senz'acqua, si scusa ricordandovi il solito disastro. Dopo due ore di vita a Nome cominciate a chiedervi perchè mai quell'accidente non abbia fatto giustizia di tutti i tassì, dell'albergo all'Onda d'Argento, del fotografo che non ha film della misura che fa per voi (naturalmente prima del fuoco ne aveva...) del venditutto che non ha più un nastro (tutti bruciati...) per sostituire quello troppo anemico della vostra macchina da scrivere. Ma dopo quattro giorni di simili esperienze vi arrendete e cominciate a fare -economia di pellicole, pestate un po' più forte sui tasti, intasate nella pipa un, tabaccacelo di gusto straniero e fate come fanno tutti gli altri: aspettate con impazienza e pregustate il piacere di quel grande momento della vostra vita in cui, rimontando su uno dei dieci tassì, potrete sputare nell'orecchio dell'autista l'ordine di portarvi al piroscafo. Nome vive fra le pieghe e le piaghe di una ricchezza recente ma ormai completamente svanita. II bettoliere, che vitaccia Fra i rimasti e la gente nuovavenuta ci sono senza dubbio persone rispettabilissime, ma c'è, anche, una grande abbondanza di schiuma della peggior specie. Le bettole, o, per dirla alla maniera del luogo, i «saloni» sono numerosi e quasi sempre pieni: ma i proprietari si lagnano degli affari. Una volta, dicono, in due o tre anni di lavoro, uno metteva insieme una di quelle fortune che gli consentivano di vendere bottega e di andare a far vita pacifica e rispettata sulle più costose spiaggie di America e di Europa. Ammettono che il lavoro era duro: bisognava avere pugni solidi, coscienza resistente ad ogni solletico: era necessario pagare un occhio della, testa il «gorilla» che era come chi dicesse un poliziotto privato le cui specifiche attribuzioni consistevano nello scaraventare fuori dallo stabilimento gli ubriachi quando non avevano più soldi, di far pagare gli avventori bulli, di far sparire le traccie di una battaglia, e molte volte far sparire le traccie di queste baruffe era sinonimo di funerale clandestino. Ma almeno guadagnavano: rispondevano mandando all'inferno chi chiedeva credito per un giorno, vendevano liquori fatti la sera prima nel retrobottega. Oggi c'è da ringraziare Dio ad avere clienti che chiedono credito fino alla fine del mese e pagano dopo un semestre e bisogna anche dar loro liquori decenti: del gorilla non c'è più bisogno un po' perchè non ci sono più gli uomini di una volta capaci di prendere due tremende quotidiane sbornie e che bisognava espellere perchè lasciassero ubriacare in pace i nuovi venuti, ed un po' perchè la polizia non ammette più che si facciano giustizie così personali e così sommarie. Minori guadagni e maggiori pesi: una volta uno teneva delle ragazze cui dava soltanto il dieci per c cento su quello che facevano bere o pagare ai clienti e incassava il prezzo della pensione che esse potevano largamente pagare con gli «irrotti extraservizio; ora deve mantenere tre o quattro di queste canterine, ciascuna con tre pasti quotidiani e ampio letto, dare loro il quindici per cento sulle vendite e... al diavolo quei missionari che hanno fatto passare delle leggi contro il lavoro extra. Testa e croce Non c'è più neanche la risorsa del gioco: ai bei tempi cento dollari erano il prezzo minimo per un mazzo di carte discretamente preparato (nel prezzo non erano comprese le prestazioni del gorilla che metteva a posto chi avesse avuto il cattivo gusto di accorgersi e di denunciare l'imbroglio). Oggi cosa capita? Tocca assistere al piccolo gioco di pila e croce per vedere quale dei due clienti accresce di mezzo dollaro il proprio debitoChe piùt Soltanto tre giorni fa un betteliere ha dovuto andare a testimoniare dal magistrato su un fatterello successo al suo banco: un vicesceriffo aveva scoperto che il quarto di dollaro buttato in aria da un avventore che non perdeva mai aveva due teste, una sul recto e una sul verso. E il giornale del luogo, The Nome Nugget ha stampato la notizia come se le monete con due teste o due aquile fossero una cosa nuova quassù ed ha screditato il buon nome di un onesto commerciante che non riesce a spiegarsi o a farsi spiegare dove sia andata a finire quella che luchiama la morale di questi giorniUna volta con dieci sporchi dollari si metteva in silenzio un omi¬ cidio — oggi non c'è più, dice lui, etica negli affari: quei porcaccioni hanno stampato la notizia della faccenduola nonostante che egli abbia pagato, anticipati, i ventiquattro dollari dell'abbonamento. Impreca e mostra ai clienti la ricevuta del pagamento e punta il dito sulle venti righe della cronachetta: tutti i clienti gli danno sotto, eccitano la sua rabbia, lo fanno diventare rosso, pestare i pungili, e continuano a. dargli ragione finché lo stato di irosdtà ha raggiunto un'esasperazione tale cho consente loro di fargli saltare due o tre cicchetti. Ventiquattro dollari, quasi cinquecento lire, sono davvero molti per le quattro paginette del « Nugget ». Del resto quelli di Nome pare si compiacciano di vivere nella comunità più dispendiosa degli Stati Uniti e dipendenze, e vi raccontano di non aver mai Visio un «nickel» e di informarvi che il quarto di dollaro ha- un potere di acquisto pressrtpoco eguale a quello che, altrove, ha il prezzo da cinque cents. I fuochi artificiali sotto il sole Hanno una linea tramviaria pomposamente chiamata ferrovia: d'estate percorre tutti i cento chilometri che separano questa città da Shelton correndo su un binario che ìm uno scartamento di setiantachique centimetri eccettochè nelle curve dove la distanza fra i regoli dipender dalla quantità e dalla pressione esercitata dalla neve: prezzo sessantacinque dollari andata e ritorno. Si lamentano che hanno pochi viaggiatori e non si arrendono alle argomentazioni che la tariffa imposta ai fortunati cercatori del novecento non può essere sostenuta dagli esquimesi che vengono giù per barattare avorio di tricheco, nè dai turisti che si accontentano di andar fuori quel tanto che basta per farsi mutue fotografie su sfondo artico o quasi. Cosa fanno questi mille abitanti ? Niente. D'inverno aspettano che arrivi, con l'estate, un po' di luce: d'estate sospirano che torni l'inverno con un po' di buio. E' noioso avere ventiquattro ore di sole per sessanta giorni filati. Non c'è sugo vivere una vita la cui monotonia si moltiplica e si cubica per colpa della stagione a luce continua: e, se è vero che a luglio i ghiacci si lasciano spac-. care dalla prora del Victoria che arriva- da. « fuori » carico di tante bellissime cose, è anche vero che nel quarto giorno dello stesso mese non si può festeggiare l'anniversario della Dichiarazione d'Indi pendenza con quella sparatoria di fuochi artificiali senza cui gli americani — dal Rhode Island a Manila- — pare di non essere aùoastanza americani. Un certo anno decisero di infischiarsi del sole spararono razzi girandole e tutte le altre trovate della pirotecnica: ma l'anno dopo appresero che in America avevano cominciato a chiamarli «quelli di Nome» attribuendo ad essi quelle manifestazioni di intelligenza per cui in tutto il mondo inglese sono celebrati e ridicolati quelli d'Irlanda. Leo Rea LA DESOLATA SPIAGGIA E IL PONTILE DI NOME

Persone citate: Penati Lari, Roosevelt

Luoghi citati: America, Cleveland, Europa, Irlanda, Manila, Rhode Island, Seattle, Stati Uniti