L'illusione di un decennio di Concetto Pettinato

L'illusione di un decennio Z»« afisi della. Francia L'illusione di un decennio Dapprincipio, il pentimento fu semplice resistenza. La rivoluzione delle scienze essendo stata subita più che non promossa dalla Francia, la quale nei nuovi concetti pareva tro varsi a disagio e tutt'al più li accettava nella versione di Enrico Poincaré, nemico dell' imperialismo scientifico ma non fino alle esagerazioni dell'antiintellettualismo, la necessità della rivoluzione filosofica proposta dal Bergson si impose meno a questo che non ad altri paesi, e in primo luogo alla Germania, che poteva lusingarsi di riconoscere in lui un rampollo dell'hegelianesimo. Circostanza caratteristica, nonostante l'eccezionale popolarità raggiuntavi alla vigilia della guerra, in Francia il filosofo dell'evoluzione creatrice doveva restare un isolato. Non esiste quivi una scuola hergsoniana e sarebbe difficile rintracciarvi un'opera filosofica importante che riveli vere origini bergsoniane. Renato Bcrthelot vide in lui un «filosofo minore », quello che era stalo uno Chopin nella Musica. I suoi avversari, in ogni caso, non tadarono ad affermarsi più numerosi dei suoi discepoli. Il maggior carico fattogli dai francesi, a cominciare da Paolo vSouday, stava nell'aver rotto fede alla tradizione intellettuaslica ossia ncll'attentare all'essenza medesima della cultura nazionale. Secondo il Jacob, la sua filosofia rappresentava un regresso e non già'un progresso della speculazione filosofica, come quella che demoliva la giurisdizione del raziocinio senza provare per questo di poter farne a meno. Il bergsonismo costituiva, per così dire, l'espressione metafisica delle due principali forme dell'inquietudine contemporanea : misticismo e impressionismo. Giuliano Benda denunciava nel nuovo Messia un traditore dello spirito, uno che avrebbe voluto dar corpo al paradosso di una metafisica predicante il culto del contingente e il disprezzo dell'eterno, la religione del particolare e l'apostasia dell'universale. Lo stesso Massìs, dopo averlo portato alle stelle quale liberatore, doveva finire col voltarglisi contro, biasimandolo di aver cercata la certezza nell'intuizione, nel sentimento, nel cuore ossia in tutto quello che per definizione è impreciso, individuale ed incerto; di aver costruita una dottrina su una facoltà che, con la pretesa di superar l'intelletto e di far meglio di esso, non ci insegna nulla che il sano impiego della ragione non ci avrebbe rivelato con maggior profitto, una dottrina che «offende l'intelligenza, scuote i principii della ragione e si interdice pertanto il possesso del vero ». D'accordo con costoro, ma più radicale, F. Arouct accusava il Bergson di non essere nemmeno riuscito a fare quel che voleva. Voleva raggiungere il concreto, ma il suo concreto fu quale poteva concepirlo un filosofo astratto : rimasto sul terreno della psicologia classica, non afferrò se non il « concreto in generale». In quanto alla libertà, su cui s'era fatto tanto chiasso,-l'a più grande gli parve coincidere con la totale sottomissione, vale a dire che il solo modo di rendersi liberi stava per lui ncll'accettare volontariamente la schiavitù. Sarebbe press'a poco come un optare per la famosa « condizionatura neo-pavloviana di Aldous Huxley: con la sola differenza che l'autore del Mondo nuovo fa dell'umorismo e non della filosofia. Al che il cattolico Maritain aggiungeva che il bergsonismo non solo non fonda punto la libertà umana, giacché una libertà come quella non si distingue in nulla dalla spontaneità che abbiamo comune con le bestie, ma conduce difilato a una specie di nihilismo intellettuale (cfr. Maritain, La philos. bergsonienne, 1914, pp. 43 e 43°). Sentenza grave : la prima ondata di popolarità non era infatti giunta al Bergson dal mondo cattolico, che nella dottrina di questo levita si era lusingato riconoscere un fermento rawivatore della fede? Sarà lo stesso m'ondo, di lì a poco, il primo a muovergli guerra. Un professore di filosofia del Seminario di Agen constata, col Maritain, che, disgiunto dal raziocinio, il libero arbitrio diventa una «spontaneità senza luce». Non contento di questo misfatto captale, l'autore dell' Evolution creatrice distruggeva gli stessi attributi del divino: l'immutabilità, affermando che l'essere è mutamento; la perfezione, pretendendo che tutto evolve all'infinito; l'onniscienza, accampando che l'evoluzione degli esseri è imprevedibile. Toltagli la ragione quale mezzo per giungere al vero, poteva l'uomo non precipitare nello scetticismo? Fu così che, dopo aver creduto poter augurare dalla sua filosofia un ritorno ai bei giorni della fede, la Chiesa bollò il Bergson quale battistrada dell'errore modernista. E l'idillio finì con una messa all'indice. Ma la obbiezione principale formulata- contro di lui doveva esAsmlaticpvsfsdsstol'cgptuasgmvvvAloLaspfnisppzcnsnmrtsoqtàemappvpvpccscenfrPgusbgdasScstddmTgtdclrCMLbrDBiDcsgtcplespsltslrroddSrnisrs ssere una obbiezione politica. All'ala marciante del radicalimo, sempre più travagliata dala menopausa romantico-senimentale della III Repubblica, il suo sistema non tardò a presentarsi quale un'esplosione vendicatrice dei rancori metafiici accumulati in Francia dalla ine del sec. XVIII. Lo si accuò di « avere innalzato a dignità di filosofia universale il farisaimo proprio dei governi borghei », di avere « dissimulato soto il gioco isterico dell'emozione 'indifferenza, il cinismo e la rudeltà degli sfruttatori del regime capitalista », di avere appiccicata « l'etichetta della spiriualizzazione della materia » sula politica reazionaria ed aggresiva che doveva provocare la guerra europea. Egli fu il « commediante di cui la borghesia aveva bisogno », egli compendiò vent'anni di « tattica controrivoluzionaria » borghese (cfr. Arouet, La fin d'un parade phiosophiquc, 1929, pp. 102-120). La sua dichiarazione di guerra al materialismo, al positivismo ervi, colmo d'infamia, a « preparare il fascismo » ! Commise, finalmente, il crimine imperdonabile di negare il progresso, reigione della Francia razionalita e radicale, chiedendosi, empio !, « che cosa valgano le scoperte meccaniche e le applicazioni delle scienze positive, il commercio, l'industria, l'organizzazione metodica e minuziosa della vita materiale quandu non sono dominati da un'idea morale », e se lo sviluppo materiale della civiltà, allorché preende esser fine a se stesso, non sia destinato a condurre alla più orrenda barbarie. Ma poiché questa diffamazione della civilà scientifica, poiché questa esaltazione dello intuizionismo mistico erano una trovata dela borghesia per sottrarsi al proprio destino, quale miglior prova che una catastrofe si avvicinava e che i borghesi lo sapevano ? Il bergsonismo rappresentava, insomma, per le sinistre impazienti, un agguato teso dai conservativismo tradizionalista e cartesiano contro il romanticismo marxista, in quel primo decennio del Novecento tutto echeggiante, fra lo sciopero generale, del 1906 e lo sciopero ferroviario del 1910, dei clamori della incipiente lotta di classe. Più che a un'offensiva della borghesia, esso faceva pensare a un'abile simulazione della costei sfiducia in se stessa. La voga bergsoniana rispondeva a un regresso della coscienza liberale e dell'intraprendenza individuale analogo, in ultima analisi, allo spettacolo offerto nel Sei e nel Settecento dalla progressiva decadenza della nobiltà. Come lo statismo monarchico aveva determinato il tramonto politico del patriziato, così lo statismo democratico determinava il tramonto politico della borghesia. Tendenze simili non signoreggiavano forse la letteratura anteriore alla Rivoluzione e quella della Terza Repubblica? L'una come l'altra erano, in ogni caso, letterature di psicologi e di moralisti. Le preoccupazioni di un Corneille, di un Racine, di un Molière, di un Montaigne, di un La Rochcfoucauld, di un Labruyère, di un Saint-Simon le ritrovavamo in Sainte-Beuve, in Dumas figlio, in Becque, in Bourget, in Proust, in Gide, in Mauriac, in Bemstein, in Duhamel. All'inquietudine del costume e del pensiero, alla crisi della ragion classica cui Giangiacomo Rousseau aveva offerto in pascolo il Contratto sociale, il bergsonismo offriva in pascolo la filosofia della mobilità. Se non una scusa politica, era questa pur sempre una giustificazione storica. Ma venne un giorno che, riportata con le armi la vittoria sul nemico secolare della patria, la borghesia francese si credette salva. Galvanizzata dalla lusinga di aver rotte per sempie le reni all'invasore tedesco, fiera del recupero dell'Alsazia-Lorena, esaltata dalla pioggia di oro che sembravano promcttere i grassi appalti delle regioni da ricostruire nonché l'aggiunta del Camerun, del Togo e della Siria al suo patrimonio imperiale, poteva questa borghesia non figurarsi entrata come pei incanto in un nuovo secolo di splendore? Nel 1920 Millerand rifiutava alteramente, in nome suo, il diritto sindacale ai funzionari della Repubblica. Nel 1921, sciolta d'autorità la Confederazione Generale del Lavoro, l'Unione dei Sindacati della Senna vedeva precipitare i. propri effettivi da 360 a 120 mila membri, mentre la nuova Confederazione allineava a stento 600 mila inscritti al posto dei 2 milioni di prima. Nel 1922, finalmente, con lo scoppio delia scissione sindacale, che doveva durare quasi tre lustri, la causa della lotta di classe parve definitivamente perduta, il proletariato pronto alla resa, l'ideologia rivoluzionaria rassegnala al declino. Parigi ribolliva di affari, di ambizioni, di orgoglio; da un capo all'altro d'Europa non si parlava se non di egemonia delia Francia. In quest'atmosfera trionfale, che farsi più di un Bergson? A qual titolo permettere a un filosofo di spodestare a ragione e la politica classiche, quando entrambe provavano di sapere ancora trioiffarc? I francesi ne conclusero che il bergsonismo era stato per loiu un breve errore, una malattia, e che il destino nazionale restava più che mai intellettualista e cartesiano. Di semplice resistenza, il loro pentimento si mutò in offensiva. «La Francia vittoriosa, proclamò superbamente il Massis, vuol riprendere ii proprio posto sovrano nel regno dello spirilo, il solo mercè cui possa esercitarsi una dominazione legittima ». La nuova Versatila giurò di resuscitare l'intiera. Doveva esser questa l'illusione di un decennio. Concetto Pettinato zsdesac