La figura di Papa Sarto in un fascio di lettere inedite

La figura di Papa Sarto in un fascio di lettere inediteUNA SCOPERTA A RIESE La figura di Papa Sarto in un fascio di lettere inedite RIESE, settembre. La casetta natale di Pio X a Riese è intatta. Durante la grande guerra quando nella piazzetta dei piccolo ridente paese e nelle strade che vi confluiscono furono accantonate truppe nazionali ed alleate, lavoratori militarizzati e profughi, la casa di Pio X fu l'unico immobile che malgrado la enorme penuria di alloggi serbò la sua fisonomia. Forse bastò il semplice ammonimento che i nipoti del Papa avevano posto sulla porta d'entrata: « Si prega di rispettare questa casa » o il sentimento di profonda venerazione che i visitatori ebbero sempre per l'umile edificio nel quale nacque e condusse la sua prima giovinezza Giuseppe Sarto. Chi vi torna in questi giorni trova che il tempo e le intemperie non hanno sciupato le parole d'invocazione, di preghiera, di saluto che sono state abbandonate sui muri e neppur sono scomparsi i nomi dei combattenti che salirono il Grappa o discesero il Piave al primo richiamo della Patria. Ogni anno il Cardinale Mery del Val veniva a Riese per ripassare nelle modestissime stanze del grande scomparso rievocando ineffabili memorie della sua vita. Questo omaggio di pietà e d'amore è continuato da S. E. il-Cactfinale Canali. Gli altri nomi di visitatori sono di religiosi, studiosi, artisti, combattenti. « lo mi trovo senza quattrini » Qualche grande invalido chiede di rivedere una volta soltanto «la casa santa. ; qualche alto prelato chiede appena « di ringraziare Iddio nella casa di Riese»; qualche grande mamma — la mamma di Damiano Chiesa — vuol prostrarsi e « baciare la terra che vide nascere il Santo »; balilla e piccole italiane portano i fiori dei giardini di Altivole; un bambino di nove anni è venuto da Roma a Riese perchè nelle grotte vaticane ha baciato la tomba di Pio X e adesso « bacia il suo letto pregando il Papa dell'Eucarestia di benedirlo ». Appunto qui a Riese, in questi giorni, ho avuto il privilegio di poter leggete nel loro testo integrale alcune lettere originali, autografe e sconosciute del Sacerdote che doveva divenire Cardinale e Papa e sono autorizzato a pubblicarle per la prima volta dalla squisita amabilità e benevolenza di Giuseppe Parolini Segretario di Altivoie, nipote di Pio X. L'11 giugno 1858 dal Seminario di Padova il nuovo Sacerdote che doveva divenire Pio X scriveva al cugino: « Reverendo e amatissimo cugino, Monsignore Illustrissimo Vescovo si è degnato di aderire alle fatte istanze e mi ha concesso che possa domandare alla Santa Sede la dispensa avendo egli stesso dato gli ordini alla Curia. Con ciò si conferma quanto io le avevo detto in una mia lettera che cioè ubbiamo appoggiata la causa ad un destro avvocato alle cui sollecite premure sarò sempre riconoscente. Ma sta qui udesso il busillis. Io scriverò quanto prima ut Reverendo Molti una lettera di ringraziamento e all'occasione gli spedirò àncora la mia fede di nascila e fin qui tutto è facile: non so peraltro se sia necessario fare in antecedenza per un deposito alla Curia perchè ella già conosce le mie circostanze: io. senza aver fatto voto di povertà, mi trovo senza quattrini. Ella, nella sua bontà urrà prese anche su .di ciò le debite informazioni e vi avrà anche provveduto e quindi le pre sento i miei cordiali ringraziamenti. Trattandosi peraltro di una somma che non sarà indifferente non voglio che debba sentirne tutto il peso e m'impegno, se il Signore si degnerà benedire alle mie fatiche, di farne entro un anno la restituzione, lo grazie al. Cielo, continuo a star bene e nella speranza che lo stesso sia di lei le bacio cordialmente le mani ed all'amor suo caldamente mi raccomando. Suo obbl.mo Aff.mo cugino Don Giuseppe ». «Il primo marengo le giungerà» Da Tombolo, più tardi, Giuseppe Sarto, sempre più povero e impacciato nei debiti che con ogni sforzo voleva assolutamente pagare, carico di pensieri e con una famiglia da dover mantenere, pieno di preoccupazioni ma con lo spirito ugualmente sereno, dirigeva allo stesso cugino quest» lettera: « Ella sa in quali acque io mi trovi: oltre il debito che ho con lei per denari consegnatimi a titolo di grazioso prestito, ho un altro debito di J)00 lire venete e un altro liquido di 420 lire. Ma Ella dirà: come avete fatti tutti questi debiti? I debiti suesposti ella stessa è buon testimonio se 10 gli abbia- fatti per soddisfare a capricci ovvero per aiutare la famiglia. Siamo in sette persone che mangiamo ogni giorno; oltre di questo bisogna calcolare il vestito e tolti i lavori della madre e delle sorelle le quali non sprecano sicuramente, tutto si appoggia sui miei proventi che sommano a tutto rigore a venete lire sei al giorno. Aggiungo anche questo: se mio padre, buon'anima, in anni abbastanza buoni' quando eravamo tutti piccoli e senza tanti bisogni, ben provvisto in famiglia,-con un sufficiente provento d'impiego (si trattava di centesimi cinquanta di svanzica al giorno), ha fatto in tre anni dei debiti, quale meraviglia che io, in anni così critici per le stagioni stravaganti, con tanti impegni contratti ancora prima di essere ordinato Sacerdote, con altri debiti-che mi ha lasciato il mio povero padre (e io stesso ho dovuto pagarli) sia, dopo sette anni, al disotto di un mille Href Per carità mi scusi se la vengo a tormentare con nenie melanconiche, ma d'altra parte non posso esternare con allri il mio dolore se non c.on un compagno che meco lo divida ed io lo so che l'amico come divide con l'amico le gioie, così volentieri prende parte anche alle afflizioni. Dal povero frutto delle mie fatiche avrei voluto sottrarre un marengo per cominciar a pagare il debito che ho con Lei, ma sottra e sottra son rimasto con le inani piene di vento. Il primo marengo pertanto le giungerà senza fallo agli ultimi di giugno. 11 Suo aff.mo Don Giuseppe». «Un po' di fumo, caro cugino...» Grande era l'umiltà di Giuseppe Sarto che nel dotto e pio monsignore Panella destinato a Vescovo cerca un esempio costante forse perchè lo stesso religioso non volle accettare là carica ritenendosi indegno di tanto onore. Siamo giunti al 1879 e da Treviso Giuseppe Sarto scrive al cugino: «Rispondo alla vostra cara alla quale risponderei molto più volentieri a voce perchè è tanto tempo che desidero vedei-vi ma preveggo che così presto non potrò assentarmi perchè gli affari ogni dì più si moltiplicano. Sono stato promosso al posto di primicerio vacante per lu morte del povero Martignago. Un po' di fumo, raro cugino, al quale voi sapete quanto poco io ci tenga. Quunto a me. voi, oltre che cugino mi siete amico carissimo e quindi « chiunque vi parlasse (Giuseppe Sarto era designato a probabile vescovo) dite pur chiaro che mi conosco abbastanza piccolo per aspirare a quei posti, ma se anche vi fossi chiamato ho dei belli esempi da imitare nel Panella nè esiterei un momento per mettermi in quella schiera perchè una cerili esperienza fatta in cinque unni dì Curia mi fe' conoscere le spine, i pericoli, le responsabilità inerenti a quei posti che non sono compensati dulia gloriuzza di un pastorale perchè questa svanisce quando si pensa al fatto di S. Filippo: E poit E poi.* E poi la morte».Le voci che designano Giuseppe Sarto al Vescovado si fanno sempre più incalzanti, sicché egli è costretto a scrivere anche questa lettera: «In quanto ai discorsi che corrono a Venezia, a Treviso, e purtroppo anche a Vicenza sul mio conto, persuadetevi che sono mere ciarle propalate non so per guai fine uè da chi, senza il più piccolo fondamento e che fuiino tanto male al mio povero cuore. Voi smentirete, per quanto potete, assicurando i vostri amici -e conoscenti che vostro cugino è ben lontano dal desiderare quei posti sublimi. Conosco la mia miseria ed è in vista di questa che ho accettato uno degli ultimi uffici della mia Diocesi quale e quello ilrl Cancelliere Vescovile, anche questo troppo elevato per la mia limitata capacità. Del resto vi as¬ sicuro che quantunque procuri di far l'indifferente e con chi mi domanda, rida allegramente, ciò nondimeno soffro e soffro assai...». « Il duro pane della servitù » Quando Giuseppe Sarto era cappellano a Tombolo fu pregato dal fratello suo Angelo, militare sotto il Governo austriaco a Gorizia, di preparargli uno scritto di adesione alla votazione plebiscitaria del 1866 per l'annessione del Veneto al Regno d'Italia. Don Giuseppe vergò una lettera. Essa reca la firma di Angelo Sarto e porta la data di Gorizia 21 ottobre 1866, diretta « alla spettabile Deputazione Comunale di Riese ». Il contenuto dello scritto è del futuro Papa Pio X: « Il devotissimo sottoscritto, letta appena nei pubblici fogli la chiamata al plebiscito che ha luogo oggi stesso nelle Venete Provincie, anch'egli, quantunque lontano, vuol prendere parte alle feste solenni della cara sua- Patria. Se la. parola del galantuomo e la santità del giuramento lo hanno costretto per oltre otto anni a mangiare il pane duro della servitù che dalla sventura gli è ancora prolungata, libero se non altro di poter esprimere i propri desideri, solennemente dichiara di volere essere unito al Regno d'Italia, sotto il Governo monarchico costituzionale del Re Vittorio Emanuele II e dei suoi successori e si raccomanda a codesta spettabile rappresentanza perchè prenda atto nei pubblici fogli di questa sua dichiarazione... ». Il tempo e gli avvenimenti precipitano e Giuseppe Sarto è costretto a partire definitivamente da Salzano mandando avanti con le masserizie le sue sorelle. La sua commozione è cosi viva che egli invoca la sola medicina del tempo « se mi conserva sano il Signore, il Signore medicherà anche questa » e aggiunge' più tardi « ... non vi descrivo il mio abbattimento per l'amaro distacco. Son venuto via stamattina due ore avanti il di, senza salutar nessuno, e adesso mi sento maggiormente oppresso.,. ». La gente che scende al Santuario delle Centrole tanto prediletto da Pio X, inalzato sui resti di un sacello pagano, bussa timidamente alla porta della casa di Giuseppe Sarto. Qualcuno avverte soltanto che in questa casa nacque e visse Colui che divenne Papa e mostrando il panorama dischiuso sii tre venti t'avverte che il Comune contava 152 abitanti e 59 sono caduti nella grande guerra. G O G. LA CHIESA DI RIESE in cui è la prima messa Gius stato battez-ato ed ha celebrata .,:..: S.i.ìb (Pio X).