Un uomo «fin de siède» di IppolitoFilippo Burzio

Un uomo «fin de siède» Un uomo «fin de siède» Un uomo triste, si potrebbe anche dire, parlando di Ippolito Taine; e le due forinole vanno meglio d'accordo che non possa sembrare a prima vista. La fine dell'Ottocento (di cui Taine fu uno degli uomini più rappresentativi) è stata triste: declinava la fede nel Progresso che, attraverso le grandi oscillazioni della Rivoluzione e del Romanticismo, aveva riempito due secoli, e niente ancora appariva a sostituirla ; le ultime forme dell'Umanesimo razionalista — Materialismo storico di Marx-Engels, Evoluzionismo di Darwin-Spencer, Positivismo di Comte-Taine — non avevano più nulla dell'allegra fiducia delle origini : si credeva in essi come nell'evidente realtà, ma questa realtà era grigia e sconsolata. Fin de siede borghese, ma la classe dominante non aveva più fiducia in se stessa, nè nei miti che ne avevano accompagnata l'ascesa : la sua parte più attiva passata al Socialismo, ch'era il messianismo rivoluzionario dell'epoca; ma quanto sbiadito per una religione ! La Francia, sconfitta come Secondo Impero (ma anche come nazione egemonica) a Sédan, costituiva tuttavia il centro ideologico d'Europa : appoggiata, sotto questo aspetto, al mondo anglo-sassone, non era certo il prussianismo bismarckiano, che pur l'aveva prostrata politicamente, a poterle opporre, spiritualmente, alcunché di vitale, nemmeno sotto la forma guglielmina di un misticismo più o meno wagneriano ; e men che meno il legittimismo absburgico e zarista. La . « reazione » trionfante del dopoguerra non si delineava ancora ; Nietzsche, il vero nemico, ispiratore dei Novecento, era nel limbo. La Francia laica e democratica (dal cui seno non erano ancora sorti, nè Bergson, nè Péguy, nè il trinomio Barrès - Maurras - Sorel) dominava dunque spiritualmente l'Europa; e la Francia era triste. Morti i vecchi e gloriosi tromboni, Michelet e Hugo, araldi di un'ideale, già del Progresso ancora ottimistica ed espansiva, due grandi nomi la rappresentavano : Renan e Taine; Renan scettico, tanto lontano dagli entusiasmi giovanili de L'avenir de la science; e Taine pessimista. Dei due; il secondo simboleggia ancor meglio del primo (così complesso e sfuggente) l'epoca sua ; e bene ha fatto Giuseppe La Feria, in un suo libretto recentissimo (*), a insistere sulla psicologia dello storico delle Origines de la France contemporaine, per mettere in luce quel fondamentale scoramento, quella stoica misantropia, quella gelida austerità che la contrassegnarono : fu essa uno degli aspetti caratteristici di quella ancor così vicina, e già così incompresa, fin de siede. Per La Feria (che simpatizza con questi tipi tristi, a giudicare dall'altro suo bel Ritratto di Giorgio Sorel) Taine è, nativamente, un romantico doublé di un puritano, che ha impegnato metà della sua vita per passare dal primo al secon do, dalle incomposte agitazioni di un demussetiano enfant du siede alla gelida calma e alle tetre certezze del positivista. « Nato per essere un filosofo da tormentato Journal intime, se divenne il positivista più sicuro di sè di tutto l'Ottocento », fu sopratutto per delle ragioni morali : « fu perchè dalle rappresentazioni della realtà che il positivismo e il determinismo fornivano, egli potè trarre ciò che sopratutto cercava, e cioè delle vedute generali che lo piegassero a una convinta, stoica regola di vita e di pensiero. Romantico poco geniale, pensatore probo e coscienzioso, ma con qualche cosa, in fondo, di mediocre e di stentato... grazie al positivismo e alla stoica conclusione ch'egli ne trasse », le sue qualità native furono esaltate, divennero simboliche ed esemplari : « la tristezza diveniva infatti una virile e composta austerità, il pessimismo imperterrita chiaroveggenza, e la sensibilità romantica e lo spleen sopravvivevano solo per mettere una nota umana nella rassegnazione... Allora nacque il Taine che tutti conobbero : un severo signore un po' anglicizzato, che parlava senza gesti e con viso freddo, non per mancanza d'immaginazione e di emozioni, ma per l'abitudine di contenersi e l'errore di darsi in spettacolo... quel Taine, insomma, che era poi meno pedante e prude di parecchi contemporanei, ma che aveva un così laconico rispetto di sè e un così ombroso pudore del proprio essere intimo, che ognuno sentiva di non potersi prendere con lui alcuna libertà». Grandi borghesi severi ; protestanti dello spirito; santi laici; profeti di una triste arida religione del lavoro — quanto hanno pesato sulla mia fanciullezza ; per quanti anni mi sono apparsi come la pcisonificazione più alta e ineluttabile del tempo e della società moderna! Il tempo dava quel che poteva : smarrita la fede religiosa, la vita e il mondo apparivano a quei positivisti una cosa vana, mentre la perdurante moralità ereditata dal Cristianesimo impedi- O GIUSEPPE LA FEBLA: «Ippolito Jaine > » EeuBiggBi Sii* B9£h ìSSh Eraogggave lasconia dallosaaglazioMaserchela, tazin turcolla ml'insia quetengiaN(Psciticè puintvieconfraquva cesto apliarabPameBintca qunePecitcirra,trocordedela pedostechtataibme qucofosigsame coracadesupunotocaratitopo10dimEmtavtrderodlaplascsariroriaN11ntresdtaddl'ntcdqcmrbgpltdzt«zpcè a loro quello scatenamento deli istinti e della volontà di poenza, con cui il Novecento ietzschiano ha poi reagito (uilateralmente e insufficienteente allo sconforto cosmico. Erano dei refoulés, si direbbe oggi, freudianamente. Essi negavano, come illusioni, la gioia e la speranza, non sapevano più scorgere che la tetra monotonia dei fenomeni concatenali dalla necessità meccanica, non osavano proporre, a se stessi ed agli altri, che una sconsolala azione stoica; e guardavano a Marc'Aurelio. Ma erano altresì seri e nobili, facevano tutto quel che potevano ; in casa, a scuola, fra i miei maestri, nelle esaltazioni dei libri e dei giornali, in certi lati della mia stessa natura, io trovavo altrettanti piccoli Taine. Dopo tanti anni che la mia vita si è sottratta a quell'incubo, il pensiero e la fantasia ritornano a quel tempo e a quegli uomini con una strana tenerezza e — suprema vittoria poetizzano anche la loro grigia vicenda. Julés Ferry, Wal- rlcIrrzacetostvocaled'sogivilaHciartaloKriddgdraigcrpled cck-Rousseau, Marcelin Berrrelot, magari Emile Zola (sena contare Stuart Mill, Spener, Haeckel, e fino a quei sanoni scandinavi, Ibsen e Bjòrntcrne Bjòrnson) — io li vedeo, nei Parlamenti e nelle Academie, reggere severamente e cose umane; e poi sciamare 'estate, sempre contegnosi e olenni, verso i luoghi di villegiatura del tempo: sulle ferroie savoiarde, sui vaporini dei aghi svizzeri, negli atrii degli Hotels favoleggiati, la mia faniullezza (alle sue primissime rmi turistiche) ne incontrava aluno; o credeva di riconoscero. Costeggiavano, al RigiKulm, l'ombra faceta di Tartain ; uscivano un poco a guarare i picchi, gli abeti, il mare i nebbia, la mer de giace; maniavano, alle immense tablc 'hcitc, avvolti di tacita ammiazione (ch'essi ufficialmente gnoravano, la modestia demoratica essendo d'uso), il riz et runeaux; poi si ritiravano nele loro camere a scrivere ponderosi trattati. Perfino l'alpini¬ e e c e t ¬ smo era a quei tempi una cosa rave ed austera, fatta da qualcuno dei loro (membri di quell'rfreopago di sapienti che Renan divinava, come governo futuro dell'umanità); professoristatisti, Quintino Sella e Barto'omeo Gastaldi. Dalla sua Ginevra, Amiel, pensoso, li guardava passare, un po' simile a loro e un po' straniero ; e aggiungeva pagine e note al suo Journal intime. Quel mondo ch'essi dominavano con la loro intelligenza, ormai chiusa alla superstizione; quell'umanità che correva docile sulle rotaie (da essi tracciale) della democrazia e del suffragio universale — erano già scossi e percorsi da occulti fremiti e sotterranei boati, ed essi (nè alcun altro) non se ne accorgevano ancora. Già, sugli altipiani dell' Engadina e sugli scogli della Riviera Ligure, un loro confratello apostata, fuoruscito volontario e spregiato della loro confraternita scriveva — inascoltato oracolo ai margini della follìa — pazze¬ sche esaltazioni dell'Istinto, dela Danza, della bella Bestia umaiia da preda ; ma lo avvolgeva il silenzio. Chi mai, in ciuci compatto Ottocento, avrebbe potuto sospettare il Novecento? Per vero dire, qualche vago sospetto Taine di quando in quando ce l'aveva: quei suoi sedicenti discepoli, quel Boùrget, quel Barrès, non lo persuadevano; quel Barrès che lo ritrasse, in una pagina famosa dei Déracinés, come « il fiolosofo che difendeva la concezione borghese dell'ordine la concezione borghese della grandezza fatta di mille piccole cose grige » ; e grande egli è stato così, conclude La Perla, alla sua maniera : « grande, in conclusione, egli appare quando si considera ia maniera con cui espose le sue convinzioni, il tono che seppe dar loro : :n lui si trova l'espressione più efficace di quel pessimistico naturalismo e meccanicismo, che invariabilmente ritorna negli spiriti nei periodi di depressione ». Filippo Burzio NldbHprS

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