Jules Laforgue

Jules Laforgue Jules Laforgue Il cinquantenario dei crepuscolari Nel suo rapidissimo correre alla morte, un ventenne poeta francese, intorno al 1880, poteva ancora gemere : Ah, que la -vie est quotidienne! Ecco una complainte, che ai giovani della nostra generazione non pare più lecito esalare in buona fede. « Ah, come la vita è eccezionale!» suonerebbe oggi assai più veritiero. Dal 1887, anno della morte di Jules Laforgue, al nostro 1937, cinquantenario di quella data, si apre un abisso, che si può misurare con quel verso tifico e definitivo. Definitivo? mi arresto perplessa nello scrivere tale parola, contrastante con l'arte indefinita del Laforgue. Eppure, sì : esiste nell'arte il definitivo dell'indefinito, come esiste il definito dell'infinito. (Senza per questo avvicinare, si capisce, la malinconia in minore di un La forgue alle tube angeliche della tragedia leopardiana). Era l'epoca, che Verlaine e Mallarmé singhiozzavano : «Ah, tutto è bevuto, tutto è mangiato, più niente da dire » ; oppure : « La carne è triste, e tutti i libri son letti ». Lo stesso focoso D'Annunzio si torceva in quell'ondata di annoiato languore, intollerabile al suo paganesimo meridionale, e di stanchezza, opposta al suo avido imperialismo edonistico. Si ribellava al cielo, sempre mite od immite, reclamando ad alte grida : « Chi mi dà dunque un sesto senso? ». E il Laforgue stesso assicura che il sesto senso è proprio il senso dell'infinito. Passate le torbide insofferenze della adolescenza, Gabriele D'Annunzio riconobbe che i vecchi cinque sensi, in lui così svegli e acuti, erano più che bastevoli per arricchire e insaporire a prodigio la sua diversissima vita. Le altalene, tra ebbrezza e nausea, del Piacere, lo condussero sino alla soglia del Trionfo della morte e del Più che l'amore, dove la vaga nostalgia giovanile si preciso nell'ansia dell'ulisside per l'eroismo fattivo e la rischiosa avventura, di realtà e di poesia. Non è mai tardi per" andar .più oltre, nel cielo di Vienna, sotto il segno di Alcione, e sopra il mare di Buccari. # * Più riservato, forse più anemico, Jules Laforgue appartiene invece alla razza di quei dandys sobri, capaci di raschiare l'abito proprio, per togliergli il lustro borghese del nuovo, ma incapacissimi di indossare gli altrui panni smessi, fossero pure oro e broccato. Perciò, schivo e insofferente di orpelli, egli è il primo, nel suo tempo, a rifiutare le risorse dell'antiquariato. E' il primo a sovvertire il solenne guardaroba della tradizione e della cultura in ironica mascherata. Questo tisicuzzo fragile, morto a ventisette anni nel 18S7, è il padre di tutti i cosidetti crepuscolari e nostalgici, da Francis Jammes a Gozzano e Corazzini. Con la Complainte, l'Imitation de Notre Dame la lune, e con i preziosi poemetti in prosa, le Moralità leggendarie — che parecchi anni fa io ebbi la gioia e il rompicapo di tradurre, prima e sola, in equivalenze di prosa italiana — fu lui, il Laforgue, a inventare quell'estrema romanticheria del romanticismo decafejnizzato e sbricciolato, per epigoni scettici, scanzonati sinanco di sè. E' il chiaro di una notte di un quarto di luna che segue il gran plenilunio truculento delle generazioni di dopo il 1830, Hugo, Lamartine, convintissimi di se stessi ; e la mezza luna rabbrividente e malata di Musset e Baudelaire, * # Ma dopo tutto, vi è pure un crepuscolo che precede l'aurora. Chissà, in questi precoci malati — Laforgue, Gozzano, Corazzini — forse tremava il presentimento dei futuri anni di azione. Ma chissà; tanto sbadiglio del quotidiano esprimeva il bisogno oscuro d'imprevisto e di liberazione dalle dande della civiltà, sino alla ferocia, che scagliò gli uni contro gli altri gli uomini delle generazioni successive, per la terra d'Europa scavata in trincea, e nel cielo rombante ali, armi e morte. Frattanto, nel presagio, un po' temuto, un po' invocato, della futura ora apocalittica, Laforgue, con l'audacia dei timidi, primo assume nel cielo della poesia le tenui modulazioni della vita quotidiana. Egli, che lo deprecava, si crogiola in quel piccino, facendone evaporare la meschinità sotto il doppio reagente della tenerezza e dell'ironia. « O mesi, o pasti e bucati, collegi e teatri, giornali e romanzi ! O raccoglimento borghese del thè coi biscotti, e dell'incisione sotto la lampada; o grandi angoscie metafisiche addomesticate in fastidi ! ». E' una forma d'evasione come un'altra, in mancanza di meglio; solo che richiede audacia e umiltà, originalità e genio : un raggio di bellezza indora le piatte banalità; il moderno, il mediocre e il modesto, distillano essenze di aristocratica squisitezza. Per certi lati, il Laforgue precede il modernissimo Jean Giradoux. Sotto il rivoletto tinnulo e pu xp della sua prosat scorre, un sot- sgdmrrpltdrmmstTlrngsSnstdacmspdtcSImhdaLodtesccpdvnnZumlvnSgcgvmmdfltgtSAssldpIvfisnssrlPdcdsi tinteso frizzante di felicità verbali, acutezze stilistiche, allusioni, truccature, parodie e carambole letterarie; il ribollire e brulicare caustico di certe acque fresche, ma gassose, che, a bagnarvisi, un pizzicore alacre sveglia in tutte le membra il sangue intorpidito. Le associazioni di parole, imagini e idee, specialmente nelle Moralità Leggendarie, sono eteroclite, talvolta paradossali, lalaltra candide Ja parere vertiginose; sempre rlilettosamente impreviste, al contrario degli « accordi perfetti >.>, dalle cadenze obbligate, che l'orecchio sente venire di l'ontano, mezz'ora prima. Egli prende i miti celebri, le illustri e vetuste saghe: Lohengrin, Pan, Amleto, e la Salomea, cara a Wilde e a Mallarmé — e vi intreccia intorno ghirlande, carole e capriole. E1 un gioco di prestigio, rischioso e sofistico, che sfiora l'eresia senza mai cadere nel cattivo gusto, abbaglia ma non affatica quanto la calligrafia del suo seguace Jean Giradoux. Questa a me pare una bella almea, nacchere, castagnette, sonagli e collane e bracciali di continuo si urtano ad ogni mossa — è tutto argento fine e fine artificio, mi incanta dapprima, alla lunga mi insonnolisce ipnoticamente. * * Il Laforgue, ironista, funambolo e acrobata dai cento lazzi, era un delicato, un tenero e onesto cuore, facilissimo da ferire. Povero, poverissimo studente, fu soccorso con fraternità da Paul Bourget, giovane e celebre, che lo ammirava, e gli procurò il posto di lettore presso l'imperatrice Augusta di Germania, moglie del vecchio Guglielmo il primo. Tre anni stette a Berlino, ospite della reggia; vi amò castamente una signorina inglese « scarsa di séno, così da sentirle più vicino il cuore», si fidanzò, fu felice, si ammalò di tisi, tornò in Francia a morire. #** Nel breve dialogo finale della sua ultima « moralità » o « allegoria » leggendaria, l'autore attribuisce al preteso narratore di Perseo e Andromeda il nome di « Amyot de l'Epinal », per designare velatamente i suoi intenti. Jacques Amyot, precettore dei figli di Caterina dei Medici, tradusse con sapiente freschezza gli antichi storici greci e latini, arricchendo e in parte creando il pittoresco e vigoroso linguaggio francese del cinquecento. E i fogli di imagini, o figurine colorate, che si stampano a Fpinal, illustrano leggende, storie e favole, care alla tradizione, in maniera popolaresca e puerile, condita talvolta di gustosi anacronismi. Come un moderno Amyot, che fosse al tempo stesso figurinaio di Epinal; procede volutamente lo spirito duttile e malizioso di Jules Laforgue, anche nell'invenzione delle nuove forme me¬ triche, il verso libero, di cui egli fu, insieme con Gustave Kahn, tra i primissimi assertori. Il mio corpo alla sua bell'anima [ha male, La bella mia anima ha male al [suo corpo, Quante notti, quante notti trascorre a bramire, E non vedo ancor nulla venire! Oh, non è la tua carne soltanto, Che sarebbe tutto per me, E non sarei nulla più Che il gran Pan, io, per te! Sono ritmi e rime dalle movenze sciolte, eppure obbedienti a una segreta musicalità interiore; faceti e patetici, disinvolti, sentimentali, amari e grotteschi; rochi di pianto, sotto la burla e lo scherno. Margherita G. Sarfatti

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