L'ULTIMO SALUTO DEL DESERTO: IL CANTO DELLE CANZONI ALIPINE di Ernesto Quadrone

L'ULTIMO SALUTO DEL DESERTO: IL CANTO DELLE CANZONI ALIPINE PATTUGLIA SANITARIA NEL FEZZAN L'ULTIMO SALUTO DEL DESERTO: IL CANTO DELLE CANZONI ALIPINE Da Gat allo Sciati verde - La cabila verde - Ricordi di glorie lontane - L'eredità di una tradizione - $. A. R. il Duca d'Aosta - L'ultimo viaggio - Ritorno a Tripoli n E i , {formazióne dislocate a Mv ■ i o r l l e i e o e o dai tre (jruppi creati per nuove]. imprese belliche e la totale ricon-\t^cmc(DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) BRACH, agosto. Brach è il capoluogo — tanto per dirla alla nostrana — dell'Uadi Esc-Sciati, una delle tre depressioni che incidono, correndo quasi parallelamente alle altre due, l'altipiano del Fezzan. Lo definiscono lo Sciati verde per la ricchezza delle sue oasi sotto le palme delle quali l'acqua scorre e si raccoglie in cisterne \ artificiali o in laghetti naturali conferendo al paesaggio una {rettezza di coleri e una intensità di . vegetazione, unica in tutto il Fezzan. Quivi gli indigeni vivono, al confronto degli altri sparpagliati nel deserto, come signori e il paese ha un andamento, una configurazione ben definita, con piazze e strade le quali, ove cominciano i giardini seguitano leggiadramente a svolgersi tra siepi di fibre di palma, o si restringono in ombrosi sentieruzzi ai margini dei quali pascolano quietamente pecore, asinelli e cammelli custoditi da pastori e pastorelle negre che, rientrando la sera nei chiusi, recano, sul capo, come fatino i contadini da noi, fasci di fieno o covoni di frumento. Ricordo del Duca d'Aosta Tuffo l'Uadi non è così, anzi, il deserto fra oasi e oasi, si esprime ferocemente come altrove ma, allorché la provvidenza dell'acqua, zampilla dalla terra, la natura si inverdisce ed esplode, dando luogo a piccoli paradisi vegetali, simili a ciucilo di Brach, il più grande, popoloso e ricco. A Brach non esiste una Compagnia sul tipo di quelle di nuova ItcjudapavolodecocitalapamretemnoscmcataficciVì pnbcoan[dritoconmaroz, rScbha e Gat c composte di eie-\nmenti autoportati, di meharisti e ; mdi una sezione avio ma, per t.ale\ presidio, il Governatore della Libia] dila costituito, allo scioglimento dei, p' svecchi gruppi Sahariani, un'origi¬ nale unità alla quale ha dato il nome di Compagnia Meharisti del Fezzan, formata su quattro plotoni fucilieri con un totale di trecento nomini e quattrocento melimi che sono i veri signori del deserto. Questo nucleo autonomo ha la gloria di derivare dagli squadroni, del generale Gallina e più tardi] mmctmmèmquista del Fezzan avendo per comandante S.A.R. il Duca d'Aosta, il più ardente e meharista ancor oggi presente al la memoria e al cuore di tut ebraio n bianco e nero, lo trasportasse, appassionato ìqpei» =oSVS R&Sffl*;i,.e?oce come H V£'nt0i aua testa dei,ao\suoi uomini, «maestri di yuan,.|d j \a sella tuaregh. ej Tutto e tutti vi parlano ancora ù jdi Lui. Provatevi a gridare il no : i . l i o ; n i, e i, e eoae si ina o re sma ego gò lo msi na oie- lègtcsgsmme di Gandur e accorrerà al vostro richiamo il suo vecchio attendente che per cinque anni lo seguì] ?negli avventurosi combattimenti e\*nelle estasiatiti galoppate. No Gandur, il Duca meharista non ritorna più, ha lasciato la racla per il sediolino dell'aeroplano. Il suo mehari è morto di una strana morte misteriosa. Ma questa poltrona era la Sua; questa la seggiola che Egli preferiva; questi i libri che ha letto e laggiù, presso al paese, vicino al vecchio fortino abbandonato, in quel ritaglio di oasi, era il luogo ove di preferenza piantava la sua tenda. Un Principe di sangue reale viveva qui, tra questi ufficiali, come loro. Di lui si ricordano i nomadi Orfella, magnifici combattenti, conoscitori a fondo del Fezzan che scorrazzavano per razziare datteri e orzo; i prepotenti i ferissimi 2-iitfcm della Ghibla e del Gcbel tripolino; gli astuti Berberi; i Rogebani alti e robusti della zona di Giada; i Riai di Socna. guide formidabili, e che furono e dIappsqpffdszmcpnslppacpsi mantennero sempre fedelissimi al nostro governo... I soldati del deserto Tutti questi indigeni di Brach sono passati sotto il comando dt'| li. A. R. il Duca d'Aosta che co-.lnosceva profondamente la loro'i lingua, i loro dialetti, le loro usan-ìszc e costumi e persino i loro no-\mi che ancora oggi, con ferreaìgmemoria peorda, dando prova di\questo recentemente a Sonia, quando i meharisti del Fezzan'. hanno partecipato all'Annuale dW-Ula Fondazione dell'Impero. ' dbiqldpfF un" """V'\* "',T/T'«1.™«7» 7,',;Ic t» T^SS*** mSESi % cinquanta chilometri, dei quali al-meno trenta debbono essere per- corsi a piedi Il Governatore della Libia, 8. E. alo Balbo, ha voluto mantenere uesto reparto non soltanto, ma andogli la denominazione di Comagnia Meharisti del Fezzan, ha oluto originalmente perfezionaro creandone quasi un centro di eposito. Così com'è adesso, il picolo nucleo dei quattrocento fulieri, può improvvisamente muarsi in una grandiosa unità per a quale il Maresciallo ha già prearato gli Uomini, gli animali e : mezzi. I plotoni della compagnia non estano in sede che brevissimo empo: partono da Brach con dite] mesi di viveri, o anche tre, e vano a raggiungere le zone di pacolo restando attaccati al Comando con la radio mobile da ampo. La vita del plotone: è la vera via del nomade ed esercita sugli ufciali un fascino dal eguale è diffiile liberarsi. Chiedetelo al capitano Della Valle e al tenente Zolli che fanno nomadi da sei anni. Soltanto così, con una lunga ermanenza in Colonia, si formano i veri coloniali che — badiamo ene — non hanno nulla da vedere on gli insabbiati. La responsabilità, il lavoro, la attività fisica, l'intelligenza continuamente esercitata dalla durezza del mestiere, li salva da questo peicolo che si è troppo popolarizzao nella letteratura per essere an. ora vero. L'ufficiale del plotone non è e on diventa un « pastore di cammelli »; è un comandante quasi utonomo che svolge il suo lavoo dividendo il tempo fra l'istruione del reparto, lo studio del ter eno, la ricerca di nuove piste c di nuow pascoli, la compilazione di mnnorirafie e di itinerari, £. m uomo che non ha UH>ora dl pcrdere nè m ritaglio di tempo dn buttar via: {tre mesi di de. erto sono tre mesi di fatica. me„_; Non bisogna credere che il meharista dorma sulla sabbia e cavalchi sempre il mehari durane le faticosissime e interminabili marcie di spostamento: il buon meharista — dicono i tuaregh ■— è quello che va col mehari sotto mano, cioè che cammina'molto a Una marcia giornaliera, d-uran- quaMo ateneno è più di{}iciìe per risparmiare la bestia. Il precisamente^*. - " ~™ c"'f aol'° S".'lca. che >"l»d"m€,Hc.^tfnrT-lativamente lungo per rimettersi;è un animale anemico clic psrciò guarisce lentamente dalle fiaccature o ferite prodottegli dal carico o dal basto; ha sempre necessità di buoni pascoli per cercare ghissime marcie. Lo spirito dell'ufficiale L'ufficiale meharista dal canto suo ha bisogno di una disciplina morale solidissima; vivendo solo ? * «M>"'"°< occorrono lun deve sentire soltanto « se stesso ».In una- natura così severa e quasiascetica nelle sue espressioni, deveprcpararsi lo spirito al misticismoper goderne tutte le consolazioni,senza cadere nelle debolezze. A questa difesa dello spirito deve provvedere con la perfezione del fisico cercando un sano equilibrio fra l'uno c l'altro. L'ufficiale meharista è qualcosa di più del comandante al quale ha stcreltbcro il prestigio, la prestanza fisica, l'abilità nel cavalcare il mehari e altre qualità militari che, con l'esercizio e l'esperienza sipossono facilmente raggiungere nel deserto. Egli c il creatore del suo plotone, kcreatore» nel più lato ed assoluto significato della parola. L'ascari meharista è proprietario della sua bestia e il Governo lo ricompensa di questo suo apporto con una speciale indennità chiamata « deprc2£a?ne»fo quadrupedi » Aron sempre l'indigeno che volontarìamente si presenta ad ar molarsi possiede la somma necessaria per comperarsi il mehari eallora, il più delle volte, l'ufficialegli impresta i suoi risparmi pert'acquisto dell'animale. Poco alla volta, così facendo, di- venta non soltanto il creditore pa-Uienfe e paterno dei suoi ascarima anche l'appassionato creatore di questa viva ed elastica arma bellica. A volte resta il creditore insoddisfatto ma non se ne duole quando il sacrificio materiale da lui sopportato viene ricompensato dal fatto di comandare il più bel plotone della Compagnia. La lotta^ su questo campo, fra i fraterni amici dei meharisti del Fezzan, diventa cavallerescamente implacabile perchè ognuno vuole clic il migliore ieparto sia il suo. Questa è la tradizione lasciata alla giovane Compagnia dai vecchi gruppi Sahariani: tradizione della quale vanno e sono gelosissimi anche i gregari. Una rivista di eroi Figuratevi dunque che magnifica famiglia sia quella trovata da noi al forte di Brach e alla quale era stato dato il nome di « cabila verde » per il fatto che, ad un certo momento, comandanti e subalterni provenivano tutti dagli alpini. Motivo per cui, ci hanno accolti con le vecchie canzoni, galvanizzando la nostra stanchezza che da un mese portavamo, con non pochi sacrifici, a passeggio per il Sahara. Gli ufficiali della « cabila verde » fra i quali si sono incorporati fraternamente il tenente dei carabinieri Simonctti, toscuno ma di padre piemontese, e il capitano medico, ci hanno fatto sfilare da vanti prima che partissimo per la visita dei paesi dell'Uadi, ultimo dei quali è stato Edri, le « medaglie » della Compagnia. Credo che siano quaranta, ina non tutte erano presenti. La parata, eroica ha avuto luogo nell' oasi, al campo famiglia, ove sotto le tendo, vivono le mogli e i figli degli ascari. Mun mano che questi fedelissimi passavano davanti a noi lo sciumbasci Massaud Ben Mohamed gridava forte il loro nome. Questo atletico graduato oltre al nastrino azzurro, ha il braccio fregiato dai distintivi di dieci ferite riportate in combattimento. Di lui certamente si ricordano quelli che lui non dimentica e che nella storia dei Meharisti, con S.A.R. il Duca d'Aosta, sono avvolti in un'atmosfera quasi da leggenda: il generale Gallina, il colonnello Ferrari Orsi, il colonnello IVolPinU colonnello Campini, il coPitowo Rolle' « capitano Papale , aJM ancom Qi „ , £ ^ la yioriosa tradizione della mbncaSamvsnvvrtssi erngtdvihppvrmrtnsrmmdcvsthrrssastèsltl, gtovane Compagnia. j Posso assicurare che l'eredità di ^gloria è in buone mani. All'ombra delle palme, con ejHÌnascari, sfilano i mehari cosi pitto-]èntrtd,\reschi « vestiti » di bisaccie, d'i tap.\ }9"^-t*«»ata*> briglie con pai-\n* dagli d'argento e sormontati ancora, come se la loro altezza nonbastasse a renderli monumentali.\ dalla racla che sulla « prua » reca il millenario segno della croce, primo simbolo dell'antica religione dei Targhi cristiani. Zagraf (zebrato;, Biach (veutoj, Abìad (bianco), Lazzer, Assued passano davanti a noi col muso proteso, il collo chiuso come un'«S» sul breve garrese di dove la gobba, bianca' come fai s\sgroppata di una duna si alza ]maestosa tra la ricchezza dei fieìnimenti; se ne vanno col loro pas]so silenzioso ed elastico come se ,javessero e tendini e muscoli e zoccoli di caucciù, grandi occhi acquosi pieni dei verdi riflessi dei cespugli, gli anteriori magri e lunghi e tesi come molle di eicciaio. Sembra che ognuno rechi con l o ila fotografìa colorata di un paesaggio sahariano. Dietro alle bestie e agli uomini, le figlie degli ascuri, le varie Gaz-\ zclla, Muriam, Fatma. Knia, Àu-\ scia, Camilla, Cudigiu, Massuuda. Kuera e altre ancora dai nomi musicali corrono sulla sabbia, fra ombra e luce, avvolte nei brevi e variopinti barocani che mettono sulle loro spalle come alette di uccellini. L'opera è compiuta Dalle porte delle zeribe, le madri e le sorelle maggiori, mascherate fin sopra ai capelli, dal vol'o gelosamente nascosto guardano ostentando gli argenti che recano ai polsi e alle caviglie. Tutto scin¬ l , ie l a o à e e]lilla e brilla come l'acqua che scoir're nei canaletti dell'oasi, e tutto \ha un suono, una voce, un canto - come gli zampilli delle fontane e - l'amoroso tubare delle tortorellc. , e ogni cosa, colore, luce e suono e,si fonde in un grande quadro co- me di vita lontana, religiosa, biblica. La nostra missione sta per finire; ancora duecentotrentadue chilometri, cioè la corsa da Brach a Edri. ultimo centro dell'Uadi Esc Sciati, poi rientreremo a Tripoli avendo percorso cinquemila chilometri, toccati 'settantadue paesi e visitati novemila indigeni. Forse nessuno conosce, anche superficialmente, il Fezzan come noi, tranne naturalmente qualche vecchio ufficiale coloniale. Ed è in questa Uadi che abbiamo visitato lo strano paese di Maliaruda gli abitanti dei quali, la notte lasciano il paese in preda agli scorpioni, e se ne vanno a dormire sulla sabbia per non essere punti: i vecchi all'aria libera, i giovani e le giovani sotto certe piccole seribc simili ad alveari perchè i genitori non li vedano; è somma ver. gogna che il padre e la madre contemplino anche l'amore platonico dei proprii figli; è qui, in questa valle remota che abbiamo trovato i due milionari di Berghen che ci hanno offerta una bisaccia e una pecorina bianca; è a Edri che nel pomeriggio infuocato abbiamo lavati i datteri e bevuta l'acqua nera come il caffè entro cui avevamo fatto prima, senza alcun spirito di previdenza, abluzioni di altro genere. Adesso che tutto è finito ci viene la nostalgia del deserto e quasi quasi vorremmo che la vita irreale vissuta per tanti giorni, come in sogno, e talvolta anche come in un incubo, seguitasse. Gli uomini della « cabila verde» l'ultima sera ci cantano le canzoni alpine. Gli indigeni, davanti ai fuochi dei bivacchi passano le lunghe c pesanti ore notturne facendo il tè, mentre i mehari, tratto tratto, lanciano il loro grido, un impasto di belati, di ruggiti e di pianto umano: l'i:spressione di una selvaggia rassegnazione; qualcosa che prelude ai loro selvaggi amori per i quali si sgozzano sulla sabbia ridiventando poi mansueti e timidi, nome è lor natura. Il mattino un apparecchio discende sul campo di Brach, ci preleva dal gruppo dei meharisti e ci trasporta ad Hon ove riceviamo l'ultimo saluto del tenente colon mcstostlemprsnbetcrdpcivmcaznrfqlsnmccnostrc spalle. Un velario pesant è come disceso fra lui e noi. nello Moccio, il comandante del j territorio del Sud che passo passo, zri' ha seguiti con la radio per tut- ! gta la durata del nostro viaggio Il «Borea» a mezzogiorno ci deposita sul campo della Mellaha: ,1 deserto è lontano, remoto alle L'oasi tripolina riprendendoci nel suo cuore verde cobalto gelo■amente ai nostri ricordi dà l'assalto. Ernesto Quadrone ad componenti della Missione capitano prof. De Paoli, il il dottor Nastasi e il Sanitaria. Da sinistra a destra: prof. Casati, la sigrrora Quadrone, nostro inviato speciale. P