Notte lugubre di Pechino

Notte lugubre di Pechino ESTREMO ORIENTE TRA IL CAOS E LA RICOSTRUZIONE Notte lugubre di Pechino Tra la « città proibita » e il quartiere delle Legazioni, tra la città cinese e la città tartara, lo spavento è fatto di soffocati gridi, di forme bituminose, di ombre: qui non si misura la patria, ma soltanto la fame (Dal nostro inviato speciale) PECHINO, luglio. Rientro all'albergo due ore dopo la mezzanotte: l'atrio è buio: al banco del guardaroba vigila, rosicchiando semi di girasole, il povero Koo, un portiere che, essendo scapolo c senza figlioli, ù motteggiato e sprezzato da tutti e si sobbarca ai mestieri più duri. Morirà solo, sarà sepolto in un modo qualunque, senza corteo di lacrimatori disinteressati o paga¬ svti. Nessuna disgrazia potrebbe capitargli peggiore: l'ultima di tutte in Cina! Ma Koo è furbo, sa tutto: è un ottimo apparecchio ricevente di tutte le notizie: non c'è personaggio del Grande Albergo di Pechino che sfugga al suo controllo. La vita d'ogni cliente occidentale è avviluppata in una rete fittissima, inestricabile di bonario spionaggio che attraverso il parlottare e lo sbirciare del numerosissimo servidorame in giacca bianca e pantofole, assomiglia al pettegolezzo di cucina piuttosto che al crittogramma dell'Agenzia Segreta. Spiare dal buco della serratura, frugare nei cassetti, scartocciare i pacchi, leggere il leggibile, sono innocenti e inevitabili spassi dei « boy » cijtesi. A pranzo da Feng Chin An La deferenza sorridente, l'umiltà con la quale Koo mi viene incontro sono dovute a un'informazione ch'egli ha ricevuto e che mi riguarda; ed è di alta importanza politica: Koo sa che sono stato a pranzo da Feng Chin An (nientemeno!), il governatore della provincia di Pechino (l'Hopei), un padreterno coi fiocchi, di quelli che sanno rispondere male anche al governo di Nanchino, alle Legazioni, al Kuomintang. (Ai giapponesi no: ai giapponesi non saprebbe risponder male!). Il pranzo ha avuto luogo nell'ex-palazzo del Governo: un edificio di gusto europeizzante circondato da un giardino di bossolo potato in stil=>. decisamente inglese: i mobili verniciati di bianco, le maniere in guanti gialli e le lampadine elettriche (le classiche ampolle occidentali) appese a rami di ferro battuto modellati in stile floreale, ricordano la provincia e la colonia riunite in un solo squallore opaco Questi grandi uomini del governo sdegnano gli stili e gli usi della vecchia Cinu! Al pranzo, i cinesi'erano quasi tutti in smoking e fu-[otavano sigari, sigarette, pipette!con una goffaggine da collegiali,'e tradivano una certa inqùietudi- \ne di padroni di casa preoccupati]delia sorte del pranzo. [All'arrivo d'ogni nuovo invitato'i soldati di sentinella, sulla porta |e lungo la scala, gettavano un urlo e presentavano il fucile con la baionetta inastata. Lampo e urlo si propagavano, un po' selvaggi, un po' primitivi. Senza di essi mi sarei creduto a uno dei soliti pranzi diplomatici delle ambasciate europee. C'erano preparare dieci tavole con grazia di tovugliettc ricamate, e di gardenie. /iinome dei commensali era scrittoisu cartigli d eleganza borghese, a piccoli fiori. Per misura di prudenza, di fianco ai piatti erano collocate, coi tipici bastoncini di avorio cinesi, anche le posate di,metallo. Le signore ingtiainate\nell'ultimo modello di feng chin.an, azzurro, lasciavano vedere.\per le spaccature laterali, le loro\gambette floreali dal ginocchu^alla caviglia. E si muovevano a.piccoli passettini c sorseggiavano i liquori e sfoggiavano un Intel- !'.l■■[lettualismo stile novecento spregiudicatamente attinto ai giornali e alle riviste o alle università e alle accademie rli Parigi. Parlavano quasi tutte francese e inglese. Si sforzavano, più degli uomini, di prendere contatti con gli occidentali, curiose di pittura c di musica come le avevo viste alle esposizioni e ai concerti che si tengo ! , , ! no nei grandi saloni dell'Albergo.\Ma le giapponesi in zoccoli e calze bianche facevano un gruppo a parte c si interessavano soltanto di cucina e di bambini, sciorinando i risultati di tutte le loro esperienze di puerìsultura: cinguettio garrulo da voliera. Dipin- te e contornate con smalti a colori fermissimi, con punte di matita brune o carmino, si spiegavano sui letti sofà in stile cinese come in un ventaglio. Come sul ghiaccio in disgelo Rossiccio, il rappresentante sovietico, ostentava una disinvoltura e una raffinatezza da « Salon de St. Petersburg » e magnificava il gusto delle sigarette russe in paragone delle Gold Dragon cine- st. Per far dello spirito, o per vantare la sua cultura, mi disse che il solo libro italiano ch'egli conosceva erano « Le mie prigioni ». E mi fu assai facile rispondergli che le « prigioni » russe erano assai più conosciute di quelle di Silvio Pellico! Ci mettemmo a pranzo. Avevamo già ingurgitato molti antipasti pizzicati qua e là sui tavolini volanti disposti qua e là nella sala: ora, coi fior di loto, gli asparagi e i germogli di bambù, cominciava l'istrumenta zione del pranzo cinese. — Campé! — disse il padrone di casa alzando il bicchierino di sukè e invitando tutta la compagnia a brindare con lui. Campé, ripetè ognuno di noi dalle dieci tavole apparecchiate. Un'orchestra cinese strepitò, tintinnò con le voci e gli accordi dei suoi istrumenti millenari. Le oche rosolate, color di rame, suscitarono discussioni tra il rappresentante inglese e il rappresentante francese; questi non mancò di citare la ricetta dell'osteria parigina della Tour d'argent. Gli addetti militari e gli addetti navali delle Potenze europee parlavano delle partite di polo e delle corse di cavalli (per soli gentlemen) che si svolgevano all'ippodromo di Pamaochng. Il rappresentante germanico, reduce da un viaggio nell'interno, evitando di fare la statistica delle grandi forniture militari collocate presso i diversi Ministeri, elogiava, da competente, le sculture cavate nella roccia viva delle colline. Gli occhi delle donne, lucidi, puntuti come quelli dell'allodola', riflettevano le ampolle delle lampade. Ma pareva di assistere a una partita di pattinaggio sopra un ghiaccio al disgelo: ogni passo della conversazione suscitava un brivido e uno scricchiolìo: e tutti subito se ne allontanavano per tema di affondare in un argomento scabroso. La situazione politica, militare, economica è in equilibrio, come un castello di carte. Nessuno si prende la responsabilità di urtarla. O forse quei piccoli giapponesi in oc chiali che sorridono, sorridono sempre, isolati come sono, isolate le loro donne. L'espressione del loro volto è tenace, distruttri ce, implacabile: quella dei gene- Una sconfinata tavola spiritica per fortutta a distogliermi da meditazioni intervenne un , tu^f.d}_Ff^fl .. .... . !,l'etl Poutlcl e ne c 'm "a"° co". "ftosussie^°Ma *™ndo vede le mie scar Pe^_vermcc\ ^naate.esl°Jc.he.' rati cinesi indifferente e passiva. Gli occidentali pensano alle partite di bridge e di polo ma non santw che il simulacro intangibile del Quartiere delle Legazioni può, da un momento all'altro, in questa pressione di popoli, saltare come un guscio d'uovo. Per queste amico, un illustre sinologo che mi propone di far un breve giro di esplorazione notturna per gli huungs di Pechino. Koo crede che io sia pieno di sedi notizie monda- capisce; e mi dà una « buona notte » severa. Gli pare impossibile che io abbia abbandonato la «società » aristocratica del Presidente dell'Hopei per girare negli hu tungs, sfidando l'assalto dei men ,J"7'„'Jv„"''j°„,„„„,„™l?.-molliccio del fango, nero di cor bone e di sterco. Il colore dell'asfalto e del car bone che, dal terriccio polveroso della strada, si propaga all'atmo- sfera densa e buia, il respiro di moltitudini nascoste pigiate accatastate nei ripari geometrici delle muraglie, lo spavento di una enorme invisibile piovra che riassume gli infiniti tentacoli della paura come fu, esercitata in secoli di supplizii, di schiavitù e di miserie, formano la notte di Pechino. No, nemmeno noi europei sfuggiamo a questo .avvolgimento invisibile di colori e di forme. Un vischio di incubi ci paralizza e ci intontisce. I vizii dei residenti divengono presto esaltazioni innaturali e crudeli. Il sangue chiama il sangue; la follia attrae la follia: forma il clima delle prigioni dei mattatoi e dei campi di battaglia. Qui, tra la « città proibita» e il quartiere delle legazioni, tra la città cinese e la città tartara, nei grandi scompartimenti che sezionano la pianta di Pechino con una mpeccabile geometria, lo spavento è fatto di soffocati gridi, di forme bituminose, di ombre. Se fumi l'oppio entri in una fluttuante, inafferrabile città: ma sei ancora a Pechino, Pechino trasfigurata: la proiezione fantastica di Pechino: viva coma la sua realtà. La notte è piena di dimensioni incalcolabili: l'aria è elettrica come quella di New York. I capelli accarezzati stridono, e le unghie si rompono al più piccolo urto. " In ogni parte della città il clima è medianico: forse l'oppressione dei morti accatastati a fior di terra, oltre le mura, nella campagna gialla, crea questo invisibile, impalpabile peso. La Città proibita, col suo colore d'antico mogano, è una sconfinata tavola spiritica che trabalza sotto il cielo nero, senza nebulosa. — Se ci sei batti un colpo! Qualcuno che batte quel colpo e che risponde all'invocazione c'è sempre. I! parto dei mostri Su quello sfondo rettilineare di mura cozzanti ad angolo retto, sorvolate dai ietti delle torri, spiegati come ali immense, non si definisce una figura umana, un monumento eroico; ma soltanto leoni, dragoni, fenici, tartarughe ingigantiti dal delirio, deformati mostruosamente dalla fantasia. Nelle ore piccole i quadrilateri delle strade sono serbati alle loro marcie, ai loro accoppiamenti, alle loro caccie. Sotto gli archi scarlatti, lungo i ponti avoriali, sul bordo dei madreperlacei laghetti artificiali e dei canali gremiti di imbarcazioni marcie, si riflettono le animalità spettacolose di queste scolture. Se qualche forma diversa le interrompe essa è quella dì un incensiere di bronzo o di una marmorea meridiana. Sempre astrazioni e concezioni sovrumane. Immagino la spietata grandezza della Città proibita sotto la luna; il grande convolvolo azzurro del Tempio del cielo, sotto la luna e, tra gli alberi, quell'annoso cipresso caricato di catene che tengono in schiavitù i suoi rami, colpevoli di aver offerto un sostegno e un mezzo all'impiccagione di un imperatore suicida. Gli uomini dormono in questa città, come vivono, trascinandosi in una realtà corrosa dalla fantasia, col peso al piede di una superstizione forte come una legge. Munì artigiane fino a tarda notte- nelle botteguccie degli hutungs puzzolenti di sterco e di orina modellano mostri, partoriscono mostri, più piccoli di quelli bronzei e marmorei; ma ugualmente deformi. Nella carta gonfiano pesci, draghi, astri lunari, per gli aquiloni; nella giada intagliano leoncelli, fiori, simbolici firmamenti; nel marmo scolpiscono in ondulate formule la sintesi delle onde o delle nuvole. Intanto la luna splende sui piccoli giardini degli antichi mandarini, poeti o saggi defunti: giardini fatti di sole pietre, di indecifrabili pietre scelte con un'arte che ci *!*99e> disposte secondo le linee e le dissoluzioni di una magìa arcana, per evocare faccie di giganti o corporature di nani. Una trentina di case, sempre quelle, da un seguito di notti risuonano di spaventosi, fragorosi suoni sregolatamente, stonatamente cavati da gong e istrumenti metallici. Dalla salma di un morto, che incomincia a puzzare e a coprirsi di mosche, i parenti tengono lontano con quei fragori violenti gli spiriti del male che nes- I CANI E I POVERI SI DISPUTANO I RIFIUTI A PECHINO

Persone citate: Feng Chin, Feng Chin An, Silvio Pellico