Sposalizio in montagna

Sposalizio in montagna Sposalizio in montagna E' venuto apposta dall'America per sposare una ragazza del suo paese. Quando emigrò aveva quattordici anni, andò via con un parente; ora ne ha quarantacinque. Fa il cameriere a Los Angeles. La gente del paese dice che i'è comprate delle case, che è ricco. Dell'« americano » arricchito non ha però quasi nulla; ne gli ampli pantaloni, ne la giacca a sacco, ne il largo gestire; tutt'al più, il modo ai sorridere, la messa in mostra di quanti più denti è possibile. Ma lo sguardo è sfuggente, non si sa se per timidezza o per che altro, e nel viso magro, un po' giallo e stirato, quella dentiera ha un che di macabro. Qualcuno gli ha chiesto, forse per sfotterlo, come ha fatto, con tante belle ragazze di Hollywood a portata di mano, a venire a prendersi proprio una ragazza di paese. Non ha mostrato d'offendersi, ha invece presentato tutti i suoi denti, e la bocca, larga e quasi senza labbra, gli si è stirata verso gli zigomi appuntiti in una risata involontariamente grottesca. Ma non parla molto volentieri cpi suoi paesani : c'è come un muro invisibile tra lui e loro. S'è perduta la confidenza, quell'intesa immediata, che un'occhiata basta a rivelare. Quelli lo guardano con un misto di curiosità, di rancore (forse per i soldi che ha fatti), e a volte, di orgoglio, specialmente quando il discorso cade sulle cose del paese, sui campi, sulle culture, sul bestiame : queste sono cose che appartengono a loro, delle quali solo essi tengono il segreto, e hanno diretta esperienza; egli, l'emigrante tornato, e tornato per una cosa così intima e personale, alla quale i paesani non sanno dare alcuna importanza, sebbene ne siano segretamente soddisfatti, come per una rivincita, egli li guarda uno dopo l'altro come se volesse studiarne gl'intimi sentimenti, quello che realmente essi pensano di lui, ma lo fa con una sorta di confusa, quasi allarmata apprensione, che gli leggo negli occhi incerti e sfuggenti. E' la sera della vigilia dello sposalizio ; e chi sa che divertimento si riprometton domani quelle furbesche intese d'occhi. La mattina le campane han suonato a festa. E sebbene fosse giorno feriale, questo ha dato subito un'aria nuova al paese. Non vi sono rimasti in questo mese, molti uomini, ohe parecchi sono sull'alpe, con le loro mucche, a fare il formaggio, altri lavorano alla diga. Ma quei pochi si son messi tutti da festa, scarpe, cappello e vestito nero, l'abito festivo del contadino ; e le donne, sulle grosse gonne nere, strettamente pieghettate, hanno indossato dei grembiuloni a fiorami vistosi, e annodato sul capo dei fazzoletti a frange nere, stampati di rose spampanate e violentemente vermiglie. E ógni tanto s'affacciavano sopra 1 geranii delle loro finestrette, o si> facevan sugli usci, a dare una 'sbirciatina di attesa su per la stradetta dalla quale sarebbe sceso il corteo con gli sposi. Alcuni giovanotti, con aria disoccupata ma attenti a qualcosa d'imminente, stavano appoggiati a ■ un muricciolo, e ogni tanto parlottavano. A un tratto, dal campanile che domina anche i tetti delle case più in alto, è esploso un allegro scampanio, segno che gli sposi uscivano. Le sei campane, fra grandi a piccole, si son messe a intrecciare un fraseggio a cari- flione, ma serrato, risentito e alzante più d'una marcia o di una canzonetta popolare. E appunto tra la canzonetta e la marcia era il motivo battuto con furia dal campanaro. Finestre, porte, scale e ballatoi si sono popolati come d'incanto di donne e ragazzi ; ed ecco, in cima alla strada che serpeggia ripida tra muretti d'orti e di cortili, è apparso in una specie di variopinto tappeto di facce, di fazzoletti, di grembiuli, di braccia, di cappelli, il corteo. Davanti, due ragazzetti, insaccati nei loro abitùcci sbilenchi, e due bambinelle vestite di bianco, camminavano ai piedi'degli sposi, reggendo pieni d'impaccio quattro grossi mazzi di fiori ; la sposa, a braccetto del padrino, con un lungo abito color tortora, sorrideva sotto il peso del velo e dei fiori d'arancio, calcati sul capo come una pesante corona ; il nero dell'abito del padrino lustrava al sole come la corazza d'un maggiolino, ed era vinto solo da un altro lustreggiare: quello della sua faccia, sforzata in una contentezza quasi apoplettica. Seguiva sposa e padrino, a braccetto della madre di lei, il magrolino e giallastro sposo, con l'intera dentiera esposta a un sorriso largo e costante, da maschera. Solo gli occhi, in quel volto stirato, cercavano di nascondersi, e guardavano aggrottati qua e la, fuggiaschi e copertamente ridenti. A due a due, incalzavano le altre coppie del corteo; e tanto l'uomo che la donna, tenendosi per la'discesa a braccetto, rendevano ciascuno un mazzo di fiori. Intanto, il campanaro non desisteva un at timo dal sur furioso suonare ; e l'aria ne era come gonfia, quella fiumana di suoni la riempiva coilfdtincsuspsagsuphgotalataffglasotarta«zruIteal'dqmbprhatovcecmcsgunmlsfitqfuveedmavnrcdptfcgirMdsledtndnftstgnbmdfnvapdmstctctrppnldirSsagmcffrlvilVmanndtsn continuamente, come una conca l rombo d'una cascata. A un tratto, dove la stradetta a una strozzatura, tra il muro d'un orto e una casa, i giovanoti, presisi rapidamente per mano, hanno sbarrato il passo al orteo; le loro facce hanno asunto un contegno che si capiva evero per gioco. Era la « siepe » ; l'antica usanza degli spoalizi in montagna, consistente a impedire che la sposa rafpiunga la nuova casa. Allegria d'inulti, d'esclamazioni beffarde, di parole tra comiche e aggressive han salutata quella mossa dei giovanotti ; ma non son valsi nè offerte di confetti nè altri tenativi di persuasione a rompere a « siepe ». Invano lo sposo salabeccava dall'uno all'altro, ofrendo sorrisi e « brott » (conetture) ; gli alleati della famiglia della sposa, che rideva nela sua faccia larga e cotta dal ole, non desistevano. C'è volua una fiera lotta; amici e paenti dello sposo si sono avvenati con comica furia contro la « siepe », e dopo parecchio sforzo di torsi e di braccia, il furioso corpo a corpo si è rotto in un varco, e la sposa è passata. l campanaro, intuendo dal coreo fermo che c'era la « siepe », aveva sospeso di suonare; e 'improvviso silenzio, mentre le due parti lottavano, ricordava quello, pur tanto diverso, dei momenti culminanti delle acrobazie, nei circhi. Quando la siepe è stata rotta, e il corteo s'è rimesso in moto, il campanaro ha salutato la vittoria con la più allegra canzone del suo reperorio, arieggiante « la violetta la va la va ». E con questa e altre canzoni ha accompagnato sposi e corteo giù per la strada della chiesa, fino alla soglia. Qui, prima d'entrare, un fotografo d'occasione ha fermato con un gesto tutti ; e messi bene in posa gli sposi, li ha immobilizzati in uno dei tanti atteggiamenti innaturali, tra lo stupito e l'allarmato, in cui la voluta naturaezza (« prego, sorridano ») fissa e costringe i gruppi fotografici. In quegli attimi della posa, utti tenevano il respiro, anche quelli che stavano a guardare fuori dell'obbiettivo; e intanto uno scherzoso venticello muoveva e faceva palpitare fazzoletti e capelli, mazzi di fiori e gale; e persino i fiori d'arancio. Odori di confetti e di fiori, di caramelle e di saponette circolavano al favore di quel vento, con prevalenza di queste ultime. Almeno quella mattina sì poteva giurare ohe «'erano lavati tutti, anche 1 mungitori. All'entrare in chiesa, un coro di voci femminili, contralti e soprani, ha raggiunto subito altezze vertiginose; e nessuno ha fatto caso che, tra quelle voci, ce ne fosse più d'una fuori registro. Poi subito l'organo ha intonato la messa solenne. L'« americano » ha voluto fare le cose veramente In grande. Mentre il parroco difatti benediceva le nozze e faceva il discorso d'occasione, il cuoco dell'albergo sudava tra le pentole e gli arrosti. Una gran tavola, decorata di fiori e bottiglie, attendeva il corteo. Una fisarmonica gemeva in attesa. E quando sposi e corteo sono apparsi nella sala di sotto, aperta di fronte ai campi, "un furente foxtrott è stato il primo saluto. Poi s'è iniziato l'andirivieni dei piatti; che è durato finché il sole, girando sul tetto dell'albergo, non ha portato a stendere l'ombre sull erbe del prato. Richiamate dagl'intingoli, dai grassi e dai dolciumi, vespe e mosconi facevan fantasia dentro quella nuvola ghiotta e sulle facce avvinazzate, ed ebbre anch'esse, si avventavano all'impazzata dappertutto. Ma ogni tanto, colpita da una manata, ne stramazzava morta qualcuna. Con l'allungarsi e crescere delle ombre, ha fatto la sua apparizione anche un concerto bandistico; cercando di tenere il tempo, il trombone rincorreva il clarino, la trombetta tentava di sottrarsi, ma senza riuscirci, ai secchi schiaffi dei piatti; la fisarmonica gemeva per suo conto, come un avvinazzato che avesse il vino malinconico. Nemmeno il vento della sera, piuttosto baldanzoso in questo paese di montagna, è riuscito a soffocar la baldoria. Sballottata dalle amiche, la sposa ora si spatetizzava in baci e abbracci, non senza contente lagrime ; la faccia dello sposo, ormai trafitta da un sorriso incancellabile come una vernice a fuoco, galleggiava più gialla e felice che mai sull allegra baraonda. E s'erano accese da un pezzo le due lampade della piazza, il vento aveva spazzato l'azzurro, i monti erano neri ; sul loro orlo, verso oriente, era apparsa Venere, palpitante e bianca come una colomba di fuoco; ma ancora, nella notte, il trombone, per quanto roco e stanco, non aveva rinunciato ad aggredire le scontrose grazie della trombetta. E da lontano, quella sala d'albergo appariva come un antro di luci stravolte. La mattina dopo, l'« americano » ha condotta subito la sposa a Genova per farle prendere un po' _di confidenza col mare. E tutti hanno apprezzato finalmente a dovere questa gentilezza. G. Titta Rota E. IL MARESCIALLO DELL'ARIA ITALO BALBO, AD HON, FRA ALCUNI CAPI TUAREGH

Persone citate: Titta Rota

Luoghi citati: America, Genova, Hollywood, Hon, Los Angeles