Come si può morire nel deserto di Ernesto Quadrone

Come si può morire nel deserto Pattuglia, sanitaria nel Faxxaxk Come si può morire nel deserto Spiriti di solidarietà umana - Tragica sorte di due imprudenti francesi - Il vero motivo per il quale si diventa "Sahariani,, Una mensa di allegri ufficiali - // bambino, il padre e l'asino e n . a 1 o , i a n E i , a e - (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) SEBHA, lugl'.o. La preistoria del Pezzali, che sembra piuttosto importante, la lasciamo ai geologi specialisti in materia; la storia attuale, riprendendola da. quella romana, che tante e così profonde treccie ha lasciato non soltanto in questa regione ma in tutta la Libia, la sta scrivendo il Governo Fascista, e per esso, direttamente, secondo le direttive del Duce, il Maresciallo dell'Aria Italo Balbo. Alla Missione Sanitaria interessa soltanto il materiale umano che la popola. I trecentotrenta chilometri di pista che separano Hon da Sebha, li abbiamo compiuti in una notte attraversando la spaventosa catena del Gebel Soda, nera, come dice il nome, più dell'inchiostro e più triste di uno spento, immenso cimitero che. tutti i lastroni dei quali è corazzato sembrano pietre tombali sulle quali il pensiero scivola, a poco a poco, e si inabissa nella più sconsolata delle melanconie. V autista più « caro » della Libia II regno della morte non potrebbe essere meglio rappresentato che da tale caos dì macigni plumbei e roventi. Dopo questa catena di montagne, o per meglio dire di colline che, tanto alte non lo sono, si distende un te.rr'no desertico non meno triste e monorano: di una monotovln eh", sommandosi le ore di ninggio, provoca un'angoscia ««« molto dissimile da un vago K*»?n di delirio. birra un anno la, prima che la pista fnpsp segnata da quei grandi hìiionì per la nafta che, senza Wsog><" di speciali lavori, data la loro pesantezza, si ancorano naturalmente al suolo e sono facilmente visibili anche da lontano /qualunque cosa nel deserto prende proporzioni gigan'esche tanto che, ad esempio, un fiasco abbandonato si gonfia attraverso la lente dell'aria come una botticella), era facilissimo smarrire il cammino. Il nostro autista fu appunto uno di quelli che uscirono di rotta. Abbacinato dal sole, assalito dalla vastità del terreno che, a lungo andare, pare veramente avventarsi contro l'uomo cambiando, per uno stranissimo fenomeno ottico, la sua flsonomia pianeggiante per sollevarsi nella fantasia eccitata in altissime pareti sorgenti da tutte le parti dell'orizzonte (chiedete agli aviatori .come sia comune e spaventino questo strano miraggio) l'autista dico, a notte sopravvenuta ha fermato la macchina e si è abbandonato sul volante. Una formica nel Sahara. Tutta l'aviazione della Libia, gli automezzi della Tripolitania, i meharisti dei presidi del Territorio del Sud, si sono messi alla, sua ricerca e lo hanno ritrovato dopo undici giorni. Adolfo Fattorini ha l'onore di essere l'autista più «caro» di tutta la colonia che, la sua avventura è costata al Governo parecchie diecine di migliaia di lire. L'organizzazione delle ricerche per quelli che eventualmente si smarriscono, automobilisti o aviatori, è una delle più perfette e, direi, commoventi, fra le moltissime che rendono possibile la vita nell'interno libico. Chi parte da una località per recarsi in un'altra è 'mmediatamente preso nella rete iella radio che più non lo abbandona. Dato il segnale di partenza dell'aereo o dell'automezzo, dopo un certo tempo, cioè quello reputato necessario a compiere l'itinerario progettato, se questo non arriva viene lanciato il segnale d'allarmi e allora gli aeroplani escono dagli hangars, le automobili dalle autorimesse dei fortini, i mehari abbandonano i pascoli e cominciano le ricerche che non sono mai infruttuose. Basta che colui che è fermato per un quanto della macchina o per un forzato atterraggio di fortuna, non commetta la pazzia di mettersi in cammino cercando di sbrigarsela da sé o di andare incontro a quelli che verranno a soccorrerlo per abbreviare il tormento dell'attesa. Nel deserto un uomo solo è un uomo morto anche se la distanza clic lo separa da un pozzo, da un'oasi o da un centro abitato è tale da fargli presumere di poterla superare. Gli ostacoli che si possono improvvisamente trovare sono tnso spettabili e infiniti. Credo che ad uccidere un uomo smarrito nel deserto basti il pensiero di essere solo. La morte nel deserto Qualche volta allontanandomi dalle macchine, allorché l'autol reno, per una ragione qualsiasi si fermava, ho pensato a quello che sarebbe avvenuto di me se fossi stato veramente abbandonato dugli amici. Accade non di rado che l'uomo si ponga i problemi riù rssurdi. qscinèmpfmetctvscdglsmatsnpsomcqscaasnfvpatiag Ebbene, vi assicuro che soltanto questa supposizione era già di per se stessa insopportabile. Ho provato anch* n pensare a che genere di morte sarei andato ncontro ma >a mente spaurita si è ricusata di immaginarla. fina morte certamente lentissima che, sicura com'è della preda, pure In tanta vastità, non si affanna neppure a cercarla. Una morte che non ha da « lavorare » e che procede senza falce e lanterna, ad occhi chiusi, col cappuccio abbassato, senza dare alla vittima neppure uno sguardo per avvertirla che è lì, che arriva, che si prepari. Chi muore nel deserto non può chiedere alla natura il conforto della visione di qualche cosa che gli sopravviva: è un morto nell'immensa morte e forse, io penso, il morituro, ad un certo momento, dimentica fin anche che altrove, lontano, la vita veramente esiste. Due francesi, un signore e 'ina signora che, provenendo dalla Tunisia, avevano abbandonata sulla pista la macchina che si era guastata cercando la salvezza in una oasi vicina, sono stati trovati morti dai nostri aviatori. L'uomo era caduto bocconi poco lontano dalla carovaniera; qualche centinaio di metri più distante la donna si era inginocchiata in atto di pregare davanti ad alcune gallette che, in preda alla follìa, aveva piantate nella sabbia, intorno a sè, come ceri funerari. Se i due disgraziati si fossero fermati presso la vettura non avrebbero dovuto attendere che pochissime ore il soccorso degli aviatori Italiani i quali, immediatamente partiti alla loro ricerca, individuarono subito, dall'alto, la automobile ma non riuscirono a trovare i viaggiatori sommersi nelle pieghe delle dune. Non sto a dirvi come fosse vigilata, passo passo, la marcia della nostra colonna e quante volte la voce della radio, dopo la fatica di una tappa, ci abbia recato i saluti degli ufficiali del forte che avevamo lasciato. Vorrei trascrivere alcuni radio ricevuti per darvi un'idea di come qui si esprìme lo spirito di solidarietà umana e delle frasi che ufficiali e soldati, pur avvezzi come sono alla muta e ruvida vita del deserto, sanno trovare per dirvi l'ansiosa premura con cui hanno sorvegliato il vostro cammino. Siamo arrivati dunque a Sebha dopo dodici ore di viaggio molto faticoso e il comandante del presidio, il capitano aviatore Nicolui ci lui offerto un caffè e il refrigerio di una doccia. , Una doccia nel deserto è qualche cosa. Accenno a questo particolare perchè non è banale. Si può concedersi il lusso di una doccia due volte al giorno: all'alba e a tarda sera. Durante il resto della giornata la elevata temperatura dell'acqua, addirittura scottante, è proibitiva. Questo può forse illuminarvi sulla vita di sacrificio che coraggiosamente e con entusiasmo sopportano i nostri ufficiali dislocati nel Fezzan. Tutti gli altri ìhcohvenientì, pensate, sono in proporzione a quello dell'acqua bollenteEbbene, i « sahariani » sono letteralmente innamorati del loro mestiere. Non con fendiamo la parola innamorati con quella di insabbiati; termine ultramoderno che ormai, tutti gli orecchianti dcose coloniali, pronunciano con tanto gusto di esotismo. Non dimenticherò mai di come ad una mensa, una comitiva dmehaiisti «puri» abbiano giuocotr. la com.nedia dei coloriali da romanzo e così bine che a moment e a e o e e i a r i a o i e e a a o i i . o o i n e di i credevamo alle loro parole e al loro gesti da perfetti cineasti. Il più vecchio aveva sì e no venticinque anni. I grandi dolori degli... allegri ufficiali meharisti Si parlava dei vari motivi per i quali un ufficiale, terminati i due anni" regolamentari di vita coloniale, chiede di prolungarli e di come, arrivato al massimo di quelli prescritti — credo sei — faccia tutto il possibile per non rimpatriare. E allora un giovanottino biondo ed imberbe, dagli occhi dolci ed azzurri, passandosi una mano sulla fronte, come per cancellare un terrìbile ricordo, iccennò ad una colossale perdita al giuoco; tutta la sua sostanza inghiottita dal tappeto verde. Un altro invece, chinando il capo, lasciò scivolare nel piatto di spaghetti alcune parole sospirose, rievocanti un grande amore non corrisposto o tradito, :m drammone sepolto nelle sabbie del deserto ma sempre affiorante e locente; una di quelle situazioni ìentimentali insomma che possono soltanto essere risolte dalla colonia o da un colpo di pistola. Un terzo confessò di essere fuggito nel Sahara per fare asciugare al sole alcune firme messe sotto certe cambiali di quattro o cinque zeri. E, avendo detto ognuno la sua, si alzarono e intonarono una canzone alpina, alla faccia -iella nostra mesta credulità. Di colpo, assai meglio di con. 3 potrebbe fare il più abile dogli scrittori, questi magnifici giovanotti hanno rovesciata tutta la vecchia letteratura coloniale, l'armamentario della quale si è frantumato fra grandi risate e brindisi ed esibizioni di violenti esercizi di ginnastica da camera. E tutto era vivo intorno a noi e bellissimo a vedersi, e noi non stavamo più nella pelle dall'orgoglio che ci proveniva dal fatto di essere gli spettatori di un simile saggio di forza spirituale e fisica, di fede e di disciplina morale. Dalla porta aperta, abbiamo creduto vedere uscire, come se fossero prese a calci, e disperdersi, trasportate dal vento, le « più belle pagine » dei più brutti romanzi esotici. E questo frammento di nostra colonia Libica, pur nella sconsolante visione del deserto (la Libia non è tutta così) ci è parsa quale nel suo valore e nella sua realtà storica, stampata dai nostri eserciti in grigio verde e in camicia nera. Nel pomeriggio, avendoci l'allegria degli ufficiali rimessi in forza, abbiamo raggiunto Temenit per la visita sanitaria di quella popolazione aggiungendo ai trecento chilometri percorsi nella notte, altri centottanta chilometri smultiti penosamente sotto un sole implacabile. Una notte di pioggia Se a Hon, a Sebha, a Zella, gli indigeni erano saltati fuori come, formiche all'arrivo dell'autotreno a Temenit, a malgrado degli ordini ricevuti, gli ascari messi a nostra disposizione, gli infermieri e i dottori hanno do uto lavorare e pazientare un bel poco prima che gli indigeni venissero snidati e messi in rango. La colpa non va fatta risalire a loro, poveri uomini, ma alla pioggia che tempo fa, tambureggiando per dodici ore sulle loro case di fango, le ha disciolte proprio come si sciolgono i gelati dentro le coppe. E allora la gente, ai primi goccioloni ricevuti nel sonno in pieno viso, ha pbhtndonato le abitazioni per fuggito sulla ramla. Il paese, 4-i quel!'. • stumvbcmlatnvtsivscmspelblnsoc seduto su se stesso e i suoi abitanti non vi sono più tornati. A vederlo, Temenit, sembra una di quelle carcasse di cammello che, ai margini delle carovaniere, alzano nel sole le ossa biancheggianti e i brandelli di carne che qui, nel Sahara, non marcisce ma che in poco tempo l'ardenza del sole riduce simile alla stoppa, cosi dura e filacciosa, tanto che a vederla non suscita nessun senso di schifo. Essa diventa come un relitto vegetale, il tronco di una pianta morta. E' indescr'vihilei la forza di rassegnazione che regge la vita degli indigeni. Dirò in seguito, e descriverò il morbo che più qui infierisce ■- l'unico d'altronde di una certa importanza clinica oltre alle malattie degli occhi, che mini la salute ottima dei Fezzanesi — ma prima voglio raccontarvi questo episodio con il quale si è conclusa la nostra giornata abbastanza turbinosa. Mentre l medici preparavano i loro ingredienti per le medicazioni, hanno veduto, per combinazione, un bambinetto appoggiato stancamente alla groppa del suo asinelio. Che fosse ammalato se n'è accorto il professore De Paoli, osservando il baraccano maculato di pus e di sangue che avvolgeva il misero corpicino e lo ha subito chiamato. Quando il piccino, denudato, si è presentato davanti a noi, non abbiamo potuto trattenere, ancorché fossimo preparati a quella vista, un motto di pietà e di ribrezzo. Dalle spalle all'addome il paziente era letteralmente coperto da piaghe. La lue ereditaria lo aveva corroso come se fosse stato investito e tenuto lungamente sulle fiamme di un rogo. Una serie di sci iniezioni endovenose sarebbero bastate a mondarlo e i dottori, valendosi dell'autorità loro concessa da S. E. il Governatore, hanno fatto pressione sul padre perchè acconsentisse a portare immediatamente a Tripoli il bambino martoriato e che in poco tempo gli avrebbero reso completamente guarito. n vecchio cocciuto ha rifiutato energicamente l'invito dicendo che valeva assai di più, per il lavoro dei suoi giardini, il bambino ammalato che il bambino assente anche per poco tempo. Il bambino, che senza parlare ne batter ciglia aveva ascoltato il lungo dialogo, a discussione finita, si è riavvolto nel baraccano e ha ripreso il viottolo dal quale era sbucato ritornando al suo asinelio certamente meno infelice di lui. Ernesto Quadrone sdfmss GABINETTO DI « CONSULTAZIONE > APERTO Al PIEDI DEL CASTELLO DI GARAMA

Persone citate: Adolfo Fattorini, Dalla, De Paoli, Duce, Italo Balbo, Pezzali, Zella

Luoghi citati: Hon, Libia, Tripoli, Tripolitania, Tunisia