Due vecchi

Due vecchi Due vecchi c Tutti i pomeriggi. Veniva dal sole, dall'aria libera, veniva dalla vita ed entrava in quella stati za dove i due vecchi, a poco n poco esaurendosi, attendevano la morte. Nella penombra della grande stanza la morte era presente: batteva l'ala leggera, mostrava il balenìo d'un ghigno, si accosciava in uno dei quattro angoli, quasi a prender lo slancio per ghermire. Ma non ghermiva ancora, tardava, s'indugiava con gusto raffinato in quella penombra, ora sostenendo con la mano adunca il lucido peso dell'orologio a pendolo, ora divertendosi a far scricchiolare un vecchio mobile, ora strisciando un piede sopra il tappeto persiano, proprio là dove un goccia di sole, sperdulasi attraverso le fitte tendine e i gravi parati, agonizzava, assorbita dai tetri colori del tessuto. Quando entrava lei, Fausta, come un vento, con indosso l'odore di finestre spalancate, di vie aperte, di bambini allegri, 1 due vecchi sussultavano. Slavano seduti ai due angoli, vicini alle due finestre, su due poltrone a dondolo uguali, di paglia ingiallita. Sorella e fratello. La madre Irene alzava appena appena il capo, mentre lo zio Rodolfo s'afferrava con le mani tremolanti ai braccioli e si chinava tutto proteso verso la nuova venuta. Fausta attraversava la stanza, andava difilata dalla madre, le deponeva un bacio sulla fronte madida, poi si volgeva allo zio e lo salutava festosamente. « Come va, mamma ? Come va, zìo?». Non occorreva attendere risposta e parlava lei. Parlava della vita, così alla rinfusa : della salute dei ragazzi, dei loro studi e dei loro divertimenti, delle spese fatte, delle persone incontrate per via, del caldo, del freddo, di vecchie case abbattute e di palazzi nuovi, d'invidie fra donne, di sposalizi, di manifestazioni pubbliche. Ma la madre eia veramente vicina alla morte. Dal suo grasso corpo immobile, dalle sue mani abbandonate sulle ginocchia, dalla maschera del suo viso spirava l'aria d'una stanchezza che sarebbe finita soltanto nel riposo eterno. Teneva di solito le palpebre abbassate; ma quando le sollevava un po' sugli occhi quasi ciechi, quando la luce in sullo spegnersi del suo sguardo scendeva sulla carne sfatta delle guance e, prima di levarsi debole e smarrita incontro a Fausta, scivolava sulla bocca cascante, allora gli ultimi palpiti di vita in lei rassomigliavano a quegli estremi riflessi del sole già tramontato che si staccano dalla superficie d'uno stagno prima di notte. FauSla, mentre parlava, la schiodava con l'immaginazione dalla poltrona e la rivedeva in moto per la casa. Marito, tìgli, parenti, ospiti, tutto il gran movimento della casa complicata era regolato da lei ; mèglio che dalle sue direttive e previdenze, era regolato dalla sua presenza e soprattutto dalla sua bontà: una bontà senza lacune nè soste, tranquilla come una fiumana scorrente nel piano. In quella stanza, allora, entrava dalle finestre il pieno sole e dalla porta fiottava la vita nelle forme più varie. Mamma Irene accoglieva e l'uno e le altredistribuiva conforti materiali e morali. A capo della grande tavola, intorno alla quale stavano talvolta radunate tante persone care, ella sorvegliava senza fatica e godeva della gaiezza degli altri. La vita a poco a poco s'era ritratta con inesorabile riflusso da quella stanza ; tutti coloro che ancora vi entravano, mettevano il piede cauto là dentro, per non turbar troppo il silenzio che ivi addensava la morte in attesa : ben diversamente da una volta, quando portavano e confondevano in quella stanza le loro vite rumorose; e mamma Irene sulla sua poltrona si sfaceva immobile, come ascoltando gli ultim echi. Nell'altra poltrona invece lo zio Rodolfo si contorceva negli spasimi dell'artrite, contrastando la via con tutte le sue povere forze alla lenta paralisi Egli, al contrario della sorella, aveva sempre goduto per sè, da scapolo impenitente ; ed ora che la vita gli sfuggiva, s'affannava ad afferrarne gli estremi lembi, brancolando a vuoto nell'aria con le mani tormentate. Vestito inappuntabilmente, colletto lu cido, spilla di brillanti sulla era vatta fantasia, sporgeva la fac eia dai baffi tinti impomatati e dagli occhi vitrei, in un continuo e penoso tentativo d'attirare l'at tenzione su di sè. Con un {rauco suono ingarbugliato mostrava voler parlare; quindi; parendogli di trovare ascolto, cominciava a biascicar le parole e, traendo a filamenti dal suo esausto cervello i ricordi, impastava con fatica un confuso racconto. Gli argomenti solili erano i cavali, e i suoi amori di gioventù. Gli parevano vicini, come se fossero stati di ieri. Davanti allo specchio appannato di questi si faceva bello e caricava le ultime molle sfasciate del suo pathos, fino a tremarne, commuoversi e piangere. Cavalli, corse, la bella « lipizziana » bianca, indomabile, che egli aveva comprato e domalo, ritornavano spesso nei suoi racconti. Ritornavano pure le tre réredcaeè rsoaj psdptrrscsvq"ldsmtLatedpffvcnuacnctsaedsplpdnlcfbivbcbclpcgmspcsttdcnqfscqs sorelle ballerine. Egli è l'amante della.più bella: non facileconquista poiché tutto il fior fioré dei gaudenti le slava intorno ; regali e trionfi sul palcoscenico del « Comunale » ; poi le sere a casa sua. Dopo un certo tempo ella, da Roma, gli annuncia che è incinta. (Lo zio Rodolfo, arrivato a questo punto, tenta di sorridere furbescamente come allora, e fa invece una smorfia pietosa). L'astuto scapolo non si lascia infinocchiare: le manda del denaro e che si levi d'impaccio. Dopo un anno la incontra al «Boschetto», con la carrozzella ; finge di non riconoscerla ; ma lei lo chiama e glrrlicc : « stupido, non t'ho più disturbalo, perchè a Roma son divenuta l'amante del conte...; ma questo è il tuo bambino e tu sei sempre il mio amico ». Lo zio Rodolfo non può più parlare per l'emozione. ' Fausta è stata ad ascoltarlo; non ha finto soltanto come gli altri giorni ; quel giorno ha avu- ito la curiosità d'ascoltarlo. Ma di tanto in tanto rivolgeva lo sguardo a sua madre, per vedere quale impressione facesse su di lei quel racconto del fratello, tante volle ripetuto. Difficile ! capire. Ora pareva che ascoltasse, ora invece che fosse lontana, non più di questo mondo. Eppu- I re qualche volta sulla faccia immobile dalle palpebre abbassate j le era sembrato di veder trascorrere un guizzo e sulle labbra apparire il segno d'un giudizio sarcastico. In quei momenti la sua figura assumeva un aspetto jmitico, sembrava uria Parca. Nel silenzio, il pendolo dcll'oIrologio martellava delicatamente il tempo e il peso d'ottone quasi a vista calava, uguale, cojperto e riscoperto, dietro il diisco lucente. Fausta lo rimontajva tutte le volle che lo vedeva giungere al fondo. Finché aveva potuto era stata sua madre a caricarlo così : in piedi sopra una seggiola, girando la chiavetta. Ora Fausta, volgendosi dall'alto, la vedeva attenta al rumore del caricamento: all'ultimo scatto richinava la testa come .se approvasse. Il tempo era come la giustizia. Fausta immaginava se stessa, quando sarebbe venuta anche per lei l'ora della solitudine e dell'attesa della morte. Lo zio Rodolfo invece s'inquietava, avrebbe voluto tutte le volte trattenere Fausta quando prendeva la seggiola e si avvicinava all'orologio. Che bisogno c'era di ricaricarlo? Il 1 tempo non era se non un vano iammonimento : meglio non ascoltarlo. I,a macchia di sole sul tappeto persiano era scomparsa.. Ol[tre le tendine si vedeva un po' .di rosa stendersi per il cielo. L'affanno della vita la riprendeva dolcemente in quella stanza che si rabbuiava, fausta satinava lo zio, ribaciava la fronte madida della madre e usciva. I Nell'uscire girava la chiavetta dell'interruttore, A quella luce 'meccanica che faceva risaltare il pallore dei due vecchi, ai due angoli, ella si sentiva presa da un impeto di fuga e dal desiderio di ritrovare ancora il sole. ! Giani Stuparich

Persone citate: Boschetto, Cavalli, Giani Stuparich, Mamma Irene

Luoghi citati: Roma