FANTE TRA I FANTI

FANTE TRA I FANTI FANTE TRA I FANTI Fante fra i fanti, quale lo videro e lo ricordano centinaia di migliaia di combattenti. Cosi il genio dell'artista, a cui il destino tolse di portare a termine l'opera, ritrasse il Principe condottiero in conformità, dei sentimenti dell'Esercito e della Città di Torino espressi da un altro autentico Fan- te, il Maresciallo Giardino, nel dettare i termini del bando di concorso. I Suoi Legionari Artigliere d'elezione, il Principe imprese ad amare il Fante sulle petraie del Carso. Lo amò.pel suo paziente soffrire, per l'impetuoso ardimento, pel sereno olocausto della vita, per la sottomessa obbedienza, per la fede e per la costanza. Lo amò d'infinito amore, intessuto di fermezza e di sollecitudine. Da Lui, ed a cominciare da Lui, il Fante diventa sintesi di tutti i combattenti di tutte le specialità, assurge a simbolo di una impareggiabile razza di lavoratori pronti a tutte le battaglie della guerra e della pace, di tutti gli ardimenti e di tutti i sacrifici. Meo pectore semper erit disse il Duca in un congedo dai Fanti d'Italia e mantenne la promessa, perchè fino all'ultimo giorno di vita fu costante la sollecitudine verso i Suoi legionari, che mai indarno si rivolsero a Lui. Ed i legionari della Terza Armata lo ricambiarono con immensa affettuosa venerazione. La Terza Armata, anche disciolta, rimase una creatura spiritualmente vivente ed immortale. Restio prima della guerra a parlare in pubblico, nelle fangose trincee del Carso il Duca comprese che, più di ogni altra cosa, il combattente ha bisogno di mantener caldo il cuore, e parlò semplice o solenne, da comandante o da fratello, sempre con la purezza e l'altezza di fervente patriota e di principe, cosi che i discorsi di Lui rimangono insuperabili esempi della vera eloquenza militare. L'opera del Duca quale comandante dell'Armata Invitta è troppo nota perchè occorra ricordarla qui, anche se la penna non fosse impari all'impresa. Basterà dire che l'azione di comando fu costantemente imperniata su due cardini: la fede incrollabile nel successo e la cura materiale e spirituale per l'uomo. Se la fede nella vittoria fu di molti, nessuno più del Duca ne ebbe la certezza assoluta. Fiso n la méta fu l'impresa preferita da Emanuele Filiberto, e tutti i suoi atti e tutte le sue orazioni hanno questa nota fondamentale. Al domani di un immeritato rovescio Egli dice: « Abbiamo visto senza nostra colpa e pur battendo localmente il baldanzoso nemico crollare l'edificio glorioso che valore di gregari e sapienza di comandanti avevano saputo elevare; abbiamo dovuto obbedire all'ordine di ripie gare, abbandonando con indicibile strazio luoghi ormai cari che tante memorie di gloria e sangue di migliaia di prodi avevan reso soavi al nostro ed al cuore delle madri italiane; ed ora ci troviamo qui, dolenti ma pieni di fede nel destini della Patria, sul cui altare siamo pronti a sacrificare ogni nostro bene ». Il 4 luglio 1931 Con pari fede, finita la guerra ma non finite le lotte contro la voluta mutilazione della Vittoria, a proposito di Fiume negata dice: « Dobbiamo tener duro con abilità. Pur fra gli scogli, il porto deve essere raggiunto. La mèta è lontana ma sarà conquistata con la nostra implacabile tenacia. La vittoria non deve essere mutilata ». Le cure per il conforto spirituale e materiale furono di molti, ma in nessun luogo nella fronte ebbero intensità maggiore che sul Carso e poi sul Piave, riscaldate dall'inesauribile calore emanante dal grande cuore del Principe. QuestoavmgPLvngpelictndls calore, questo interessamento rimasero immutati col tempo; l'anima del Principe si era fusa intimamente colla multiforme anima del popolo ed il contatto rimase fino all'ultimo giorno di vita. Il 4 luglio 1931 la grande anima cessava la vita terrena, ma ancora il 29 giugno inviava agli operai ed a l o agli impiegati fascisti della provincia di Milano, adunati nel cimitero di Redipuglia, un messaggio che fu l'estremo, di fede nella Patria e nel lavoro dei suoi figli. L'ultima parola del Duca era rivolta al popolo di lavoratori riuniti in pio pellegrinaggio sui luoghi sacri dove essi erano stati popolo di combattenti. La riconoscenza verso i Caduti e la loro esaltazione furono fin dall'inizio un impulso spontaneo ed irresistibile del nobile cuore. Con commozione rileggiamo, fra le tante, le parole che Egli pronunziò nel giorno dei Morti del 1916 quando, infuriando la IX battaglia dell'Isonzo, lasciò per breve ora l'osservatorio e si recò a deporre fiori nel cimitero di Aquileja: « Davanti alla morte che ci eguaglia e ci unisce, io Vi saluto come fratello, affinchè da quanti Vi amarono in vita e da quanti Vi ascoltano si sappia quale sia il mio cuore per tutti. Niuna grandezza per una Nazione è maggiore di quella che emerge dal sangue dei suoi figli Caduti in battaglia; niuna gloria è più grande di quella che avete scritta; niun sacrificio è più meritorio del Vostro. « O Spiriti eletti che mi udite, ascoltate il mio, ascoltate il nostro voto. Noi qui, fraternamente uniti, su queste terre che conobbero il Vostro valore e dal Vostro sangue generoso furono redente, in vista di quelle alture e di quei lidi dove dobbiamo giungere, solennemente Vi promettiamo che compiremo il cammino che Voi ci apriste. Sorreggete l'anima nostra, perchè es-. sa non vacilli prima che la vittoria sia completamente raggiunta., prima che i destini della Patria siano interamente compiuti. 'Di questo trionfo la gloria sarà,; ancora Vostra, Vostro ancora iU gaudio maggiore ». Il testamento Li aveva visti patire. Li aveva visti eroicamente cadere. E la visione non si potè mai più cancellare. In ogni circostanza, anche lieta, il pensiero dei Caduti si associò sempre ■ a quello del momento. E le madri e le vedove degli Eroi furono oggetto della Sua predilezione. E voli© riposare in mezzo ai Caduti. « Desidero — si legge nel testamento spirituale — che la mia tomba sia, se possibile, nel cimitero di Redipuglia in mezzo agli Eroi della Terza Armata. Sarò, con essi, vigile e sicura scolta alle frontiere d'Italia, al cospetto di quel Carso che vide epiche gesta ed innumeri sacrifici, vicino a quel mare che accolse le salme dei marinai d'Italia ». Tutti questi moti dell'alto animo, qui troppo pallidamente espressi, ebbero senza alcun dubbio la loro origine negli esempi e negli insegnamenti della famiglia. Padre gli fu il Principe Amedeo, il prode ferito di Custoza, che accettò la Corona di Spagna nella speranza di dar pace a quella tormentata nazione, ma che depose quando fu convinto che la speranza era vana e si voleva che sopprimesse la Costituzione giurata Madre fu la dolcissima Maria Vittoria, della quale troppo presto mancarono le carezze ai figli e che, nelle ultime volontà, racco mandò loro di far del bene, mol to bene, agii sventurati. Come avrebbe potuto l'anima eletta di principe, di soldato, di cittadino non infiammarsi di passione e di sdegno negli anni in cui, dopo le mutilazioni della vittoria militare, il disordine politico e lo sfacelo economico stavano per trascinare nell'abisso Italia ? mtaneRnoessofoonastpcsosoDTDzEedqgcesssdd1eqVcrslaTsn La delicata posizione di Principe Reale poneva limiti all'azione pubblica, ma tutti sapevano quali fossero i sentimenti del Duca, quale l'azione indiretta di sostegno per la buona causa e di resistenza alle forze negative e negatrici. Nel volume, che oggi vede la luce contemporaneamente al -. , a i monumento, si legge che, sospettato di mene tenebrose nella Venezia Giulia e perciò chiamato a Roma dal capo del governo (il cui nome non deve in questo giorno essere scritto) gli ribattè sdegnoso: « Per devozione innata e profonda alla Maestà del Re, io ho obbedito al suo invito e sono venuto a Roma; ed obbedirò sempre al Capo del Governo di Sua Mae sta, ma non debbo sentire simili parole. Ricordi poi, Eccellenza che Ella tornerà ad essere domani solo il Professor mentre io sono oggi, e resterò sempre, il Duca d'Aosta, comandante della Terza Armata ». La Rivoluzione Naturalmente e logicamente il Duca d'Aosta aderisce fin dall'inizio al movimento fascista, perchè Egli ne fu uno degli antesignani e dei precursori. Noi oggi, a più di tre lustri di distanza, riviviamo quegli anni ad un tempo tristi e gloriosi, colla memoria e sui do cumenti. Ebbene: sembra che da essi salga un'epica sinfonia: sul sordo rumoreggiare delle piazze salgono e si staccano voci di apostoli, e sopra tutte, con tonalità diverse ma di pari altezza, quelle del Duca e del Duce. I tempi stringono. Il 1° ottobre 1922, a Borgomanero, il Duca con elude un infiammato discorso con queste parole: « O Morti da Novara a Vittorio Veneto, Voi sarete ubbiditi. Noi cantiamo devoti il poema di gloria che Voi avete scritto con, una sola parola immortale: Italia, Italia, Italia! ». II 4 dicembre 1922, parlando agli allievi dell'Accademia militare di Torino, e quasi a risposta del messaggio storico che Benito Mussolini aveva lanciato agli Italiani il clifpslttmlvpdvaisgnddssgulcrlvpdss 31 ottobre, il Duca diceva profeticamente: « In questa S. Barbara di redenzione, fate, o Morti reincarnati nella novissima gioventù italica, che a Roma rinverdì, con divina passione, il santo alloro della vittoria, fate, o fratelli Caduti, per lo splendore del nostro Re magnanimo e per l'ideale dei Martiri ignoti, che la Patria, libera alfine da ogni oscura forza dissolvitrice, proceda sicura nel suo romano cammino! ». Avviata l'Italia a sicura e radiosa grandezza, il Duca si raccoglie nella incessante opera di bene. Ma ancora una volta, celebrandosi in Torino il cinquantenario dello Statuto ed il decennale dell'ultima vittoria, EgR, per bocca dell'araldo del torneo, grida: « Sire! Le ali di tutte le vittorie battono il volo possente al cospetto delle Alpi inviolate. L'ultima, la più grande, tre volte sul Vostro capo, o Vittorioso, trasvola, e tre volte il popolo fedele Vi ripete il grido di tutte le battaglie e di tutti i trionfi: Savoia! ». Oggi, il monumento per parlare all'immaginazione e per tramandare nei secoli la figura dell'invitto Condottiero in mezzo ai Suoi combattenti. Domani, il monolito di Redipuglia .sulla venerata tomba di Lui. Ma il vero monumento è oggi, e finché ve ne saranno, nel cuore dei combattenti e poi nella Storia immortale. Gen. Giovanni Marietti IL DUCA D'AOSTA SUL FRONTE DEL PIAVE. IL RE E IL DUCA DURANTE LA GRANDE GUERRA CONSEGN'iT^.i'.lHl LE RICOMPENSE.

Persone citate: Benito Mussolini, Duca D'aosta, Duce, Emanuele Filiberto, Giovanni Marietti, Principe Amedeo, Sire, Vittorioso