Dalle origini all'opulenza dal vizio all'annientamento

Dalle origini all'opulenza dal vizio all'annientamento iem mistero ni sibarm Dalle origini all'opulenza dal vizio all'annientamento SI BARI, giugno, [E' ancora difficile stabilire quanto vi sia di vero e quanto di.leggendario nelle notizie che pcs-|sediamo sulla favolosa potenza di 'Sibari. Certamente gli archeoln- gi frugano nella terra misteriosa per rinvenire documenti e testi- j monianze che valgano a suffraga-[ire o a smentire le principali tesi correnti sulla civiltà di questo principalissimo angolo della Magna Grecia. Nessuno speri che ritorni alla luce una nuova Pompei o una nuova Ercolano. Una necropoli con la sua suppellettile funeraria, qualche mozzicone di edificio, qualche epigrafe sarebbe già una insperata fortuna: basta mol to meno agli scienziati per com- porre opere ponderose piene di minuti particolari. La rapida fortuna Molte cose dell'antichissima Italia sono ancora vive sulle coste e sulle città che furono della Magna Grecia. Lo spirito e la passio- ne di Roma ha fatto passare in 1 seconda linea la funzione e il prei stigio degli Italioti, già formida| bili, quando la città dei Cesari era ancora una città secondaria do¬ minata dall'influenza etrusca. Per lungo tempo una scienza non illuminata dallo spirito italiano, e invece ossessionata dalla originalità assoluta e dalla supremazia universale della civiltà ellenica, non ha visto nella Magna Grecia che un riflesso trascurabile della madre patria. Sono gli studiosi italiani, dal Majuri al Pace. dall'Orsi al Pais e al Ciaceri, che hanno rivendicato i caratteri fondamentali delle antiche civiltà italiote preromane. Le magnificne città. i Siracusa, Agrigento, Sibari, Cro tone, che riempirono dei loro fai sti le antiche storie, dopo un pri\missimo periodo coloniale, ragi giunsero immensi perimetri di mu] ra, centinaia di migliaia e forse milioni di abitanti. Erano Greci? Italioti e Sicelioti: i colonizzatori si fusero subito con gli indigeni e la importata civiltà ellenica prese subito il colore e il carattere delle vecchie stirpi italiche. Ed oggi, mentre buona parte della penisela (vive della tradizione romana, me[tà. dell'Italia, da Napoli a Roggio. da Messina a Sellnunte. vive della : tradizione della Magna Grecia: so|no appunto le regioni in cui ebbe j sede uno spirito imperiale e ma e e o , a , , e n l e a a a o i i l e rinaro che non ha avuto eguali nel mondo. L'« oikista », cioè il fondatore di Sibari, fu un acheo, Is di Elice. La famosa città era già in pieno rigoglio — e si era nel settimo secolo avanti Cristo, — quando sulle coste del Jonio sbarcò un'altra spedizione di fuorusciti o di pirati achei: quella del gobbo Miscello di Rhypis. Fu la visione di Sibari, mollemente distesa sulle ondulate colline, tra parchi e giardini, che persuase l'avventuriero a fondare Crotone poco lungi, in luogo ancor più salubre. La fortuna economica di Sibari ha un'origine che gli storici hanno potuto ricostruire. Gli avventurieri, come primo luogo di stabilimento preferirono la costa jonia della Calabria a quella della penisola salentina, ove pare che incontrassero la indomabile resistenza dei Coni, un popolo originario dall'Epiro. Intanto, due altre colonie greche. Regio e Messane facevano la politica « degli stretti *. Il passaggio tra Scilla e Cariddi aveva, in quei primissimi tempi della civiltà, una enorme importanza: il Tirreno era la piazza di smistamento dei grandi commerci orientali, e il forzato periplo della Sicilia rendeva difficile la concorrenza contro coloro che potevano disporre della amicizia di Regio e di Messana, o che pagavano il pedaggio dello stretto. Con eguale politica, la marina cartaginese affondava qualunqua nave straniera si arrischiasse fuori delle Colonne d'Ercole: le vie che menavano alle terre iperboree ricche di minerali e di metalli, dovevano rimanere dominio della orgogliosa repubblica fenicia. I costumi e le leggende Ma Sibari, divenuta in pochi anni demograficamente esuberante, fondò sulla costa tirrena dell - Calabria due sue colonie, Laos e .'skidros. Alleati perpetui di Mile-, - i to, i sibariti importavano dal jl'oriente - preziosi -,bilio prezioso, profumi olio e vino. dcettrnvsenTqsrdgdltte le famose vesti milesie, i :..... iti,- si vasi dipinti, gioie li, nip-,e'Le loro carovane risalivano |damente la valle del Crati. Da ;Laos e da Skidros, per via di ma-;re, le mercanzie raggiungevano!Posidonia, ( l'attuale Paestum ), altra colonia dei sibariti, ove s'in-1centrava con le carovane e con lenavi etrusche. Posidonia e Cuma| [segnavano i confini settentrionali dell'impero greco con quello tu.scanico: l'ultima città dominata) | dalla grande civiltà tirrena, oca ' era lontana, dall'attuale Salerno» Gli etruschi davano in cambio, ai mercanti sibariti, il ferro, l'argen jto, il rame, lo stagno, l'ambra, cha g[in parte traevano dalle miniera a r à n e o e . e ? i e e e , a . a e l i a e a i o , e e e i i a e i a i e e e a o. rari e hi e -, o. dell'Italia Centrale e in parte ricevevano dai mercanti veneti. La tradizione narra che Sibari estendeva il suo dominio su quattro popoli e venticinque città. Certo la sua influenza dovette essere risentita in tutta la parte continentale della Magna Grecia. Le favole che corsero pel mondo antico sulla dissolutezza dei suoi abitanti, e diventarono proverbiali, non sono storicamente documentabili. Tuttavia, non si può escludere che queste leggende si siano formate su di un fondo di verità. Si narrava, per esempio, che la mollezza dei sibariti era arrivata a tali esigenze da coprire con tende le vie della città, per poter camminare all'ombra. Anzi, l'aristocrazia dormiva di giorno e viveva di notte, per non essere affaticata dal solleone. E per aver sonni ancora più tranquilli, aveva ordinato che tutti i galli fossero espulsi dalla città. Naturalmente trascuravano sdegnosamente la vita agricola e lasciavano il lavoro dei campi agli schiavi. Preferivano trascorrere il loro tempo banchettando E' nota la favola di distene, tiranno di Sicione, che bandi un concorso tra tutti gli elleni: era in palio la mano della sua bellissima figlia Agariste. Dalla Magna Grecia venne il sibarita Smindiride seguito da una corte di mille persone, tra cuochi, familiari e schiavi. E certamente avrebbe vinta la gara in virtù della sua magnificenza, se distene non fosse rimasto scandalizzato dalle dante lascive nelle quali il principe sibarita osò esibirsi. Questa enorme ricchezza doveva fatalmente ripercuotersi nel costumi politici della repubblica. La lotta dei partiti divenne cosi rabbiosa, che un demagogo, Telys, riusci ari impadronirsi del potere. Cinquecento esuli patrizi sibariti chiesero ospitalità e soccorso a Crotone, fortemente governata da un partito aristocratico del quale, era capo il famoso Pitagora. La guerra di Crotone Sibari e Crotone appaiono, nella storia civile, come simboli del vizio e della virtù. Infatti, a cominciare da Pitagora, che ne fu cittadino adottivo, Crotone era ricca di personaggi di fama mondiale, specialmente nelle attività, scientifiche e nell'atletica. Crotoniata era il famosissimo medico Democede, che fu alla corte di Dario. Era celebrata da tutta l'antichità la scuola medica di Crotone. E la regione, per la sua prodigiosa salubrità, pareva non avesse bisogno di medicine: alle virtù del suo clima si attribuiva la prodigiosa forza degli atleti che, immancabilmente, raccoglievano i migliori premi dei giuochi olimpici. Crotoniata e discepolo di Pitagora era quel Milone cantato da Pindaro, che si recava'in ispalla, a passeggio, un giovane toro e poi se lo mangiava in un giorno. Ma l'aspetto più interessante! della civiltà crotoniata fu il governo di Pitagora. La scuola del celebre filosofo di Samo è stata spesso paragonata, pei suoi riti e per le sue pratiche ascetiche, ad un ordine religioso ed anche all'antica massoneria scozzese. In realtà essa offre maggiore analogia con certi partiti politici del mondo contemporaneo: il pitagorismo, attraverso le molte discipline che coltivava, tendeva a formare una casta di perfetti uomini politici. Il risultato di questa cura intensiva della virtù civile, si ebbe nella famosa guerra contro Sibari. Il demagogo Telys intimava a Crotone di consegnargli i cinquecento fuorusciti. Il rifiuto degli austeri pitagorici determinò la guerra. Si narra che Sibari mettesse in campo trecentomila armati. La cavalleria sibarita avanzò verso il nemico compiendo elegantissime evoluzioni da circo, a passo di danza, al suono di fastoste musiche militari. Questo eser¬ cito da parata si dissolse al primo urto con gli atleti crotoniati. Si¬ i : ££ „T" 5" "" ," " Ì ' f bari cadde, dopo un assedio di set -, to„f„„. „,, ^r„. "ao,;ulu ul a" tantacinque giorni. Rasa al suolo, a ; '', *U°"ap rm"!'° C°P10?° ^ que, sulle sue rovine. Questa è det- -;. ■ - o! ,a '?Ìe"^rdria\Sev"1 ston" m°" , ^l1'™ fredoto afferma di aver -1 ™*0.,™» 8U.W ocdni il vecchio co* ei50 dlsse(^to del Crati. a| Alberto Consiglio ir DOVE FU SIBARI e dove l'anno scorso era tutta sterile boscaglia,