OMAGGIO A LEOPARDI

OMAGGIO A LEOPARDI OMAGGIO A LEOPARDI Cent'anni fta si spegnava Ci puh£$)ùn& po&ta dei dLoJfaxe: sco$KendU> in desoliate saiùtudùti divine aKtnonie, egii av&va dosiate? aii'Jtùiia e ai mondo un canto huom4> LA GLORIA II sorriso altero e dubitoso di chi scrisse // Parini avvero della gloria vigila con ironia il ritorno di questa grande, sonante parola ; eppure, dopo cento anni dalla morte, essa è per lui giusta e sicura : ha il valore preciso, e vorremmo dire persino discreto, di quelle sue parole ch'egli chiudeva, dopo averle attentamente provate, in un verso perfetto. Fu dapprima come una tenue alba, assai velata; poi, attraverso lunghi silenzi, fra contrasti ed insidie, la memoria del poeta si estese, s'elevò vittoriosa, e, quel che più conta, s'elevò tutta, come una fiamma liberata, nel senso della sua poesia. La varia fortuna del Leopardi fra i posteri fu determinata essenzialmente dalla ricerca, più © meno consapevole, più o meno volonterosa, dell'unità profonda dell'opera sua ; solo quando fu colta e riconosciuta quell'unità, e compreso lo spirito di quella creazione artistica, egli ebbe veramente il suo posto. Giacché vi furono tante piccole glorie del Leopardi : d'un limpido e semplice poeta, che sapeva ritrarre La quiete dopo la tempesta e // sabato del villaggio (i canti che, mutili della conclusione, noi diatno a leggere ai fanciulli) ; o d'un amante che s'illude, e poi si dispera, ed impreca ad Aspasia-; o d un pensatore che nega tutte le fedi, gelido ed eterno «pessimista»; e ciascuno di questi aspetti sembrava isolato dagli altri, e ciascuno prevalse, volta a volta, ed ebbe i suoi .ammiratori, appagati nella compiacenza di una armonia idillica o di una dissonanza dolorosa. Nè si può dire che la storia della poesia italiana deJl'Ottocento ci offra un leopardismo evidente, proseguito in una tradizione di grandi discepoli, com'era accaduto per l'Alfieri, o in una diffusa cultura letteraria, quale promosse per tutto il secolo il Manzoni. La canzone all'Italia e le altre poesie patriottiche giunsero direttamente alla giovinezza del Risorgimento, che vi trovò quel ch'era suo (e i garibaldini ammiravano il Leopardi, che non piaceva al Mazzini). Gli echi della sua poesia più « classica » e personale trascorrono affievoliti nei versi del Mamiani, di Alessandro Poerio, di Lavinio De Medici Spada, del Prati, del Carrer, di Nicola Sole: un po' per tutto nella penisola, e forse più sensibilmente in quella Scuola romana, d'avanti il '70, che, fra la vita intellettuale più arida e desolata, s'ispirò al Leopardi come all'unica salvezza di un'antica purità, di un sogno luminoso di poesia : ciò che rende cosi gentili le rime dei fratelli Maccari. Ed il Leopardi fu maestro, nei loro esordii, al Carducci, al Graf, che tennero diverso cammino ; mentre il De Sanctis svelava' il carattere del « nuovo Leopardi », cioè di tutto il periodo lirico che va da Silvia al Canto notturno. Se gli studi storici ed estetici sul Leopardi non furono mai intermessi in Italia, e videro anzi rinnovato il loro impulso ad ogni generazione, le riprese efficaci della poetica leopardiana, le « campagne» della letteratura militante, si possono ridurre : ad una del Thovez, il quale, di contro al Carducci soprattutto, e al D'Annunzio ed al Pascoli, e per distruggere in loro quella che gli appariva come un'unica eredità rettorica e arcadica, innalzò il vessillo dei greci e del Leopardi ; c ad un'altra, più meditata e serena, a cui, pochi anni dopo, si accinse la Ronda. nell'ora del ristagno dannunziano, derivando appunto dal Leopardi le ragioni più lucide _ di una tradizione letteraria italiana. Per « situare » il Leopardi nella storia della poesia, i critici lo hanno paragonato con tutti i poeti stranieri del suo tem po : con Wordsworth, con Byron, Keats, Shelley (e lo Zanella cercava per quali vincoli si potesse dimostrare che il Leopardi dipendeva (tallo Shelley: additò le origini della Ginestra e del Tramonto della luna nelle Stanze in tristezza presso Napoli; uni il canto Alla sua donna M'Bpìpsychidion ed M'Itino alla bellezza intellettuale) ; e poi con Lenau, con Heine, con Hòlderlin (il bel libro del Vossler sul Leopardi si apre con un capitolo sull' autore d' Hypcrion) ; con Vigny, Lamar'tine, Sénancour, de Guérin... Si tratta specialmente di riflessi psicologici, di. un'affinità di posizioni dinanzi al problema morale dell'esistenza ; ma ciò che indusse a istituire tutti quei raffronti fu pur sempre la vaga ccmitrdplsdblnapsdctgdbdq«sadsl i : a e e n n , e a coscienza che il Leopardi era al centro, ed al cuore, della poesia moderna. . E più d'ogni altro scrittore italiano del secolo fu conosciuto presso le varie nazioni d'Europa: Una prima nota leopardiana traluce — e non per semplice analogia di concetti — nelle poesie di Alfred de Vigny, segnatamente in quella Maison du berger, che raffigura in un brivido di commozione la solitudine immensa dell'uomo nella natura impassibile. Alfred de Musset, intorno al 1840, ebbe notizia dei Canti, s'accese d'entusiasmo, evocò nelle sue rime (Après une lecture) il «sombre amant de la mori, pauvre Leopardi !» ; e pensò anche ad un saggio, che poi, nella sua vita distratta c smarrita, non finì di comporre ; sì che toccò al Sainte-Beuve, il quale potè anche giovarsi dei documenti raccolti da Luigi de Sinner. di presentare il Leopardi al vasto pubblico della Revuc des deux mondes. Un compito analogo si assunsero il Gladstone e Matthew Arnold per i lettori inglesi, i quali dimostrarono un più vivo interesse per i dialoghi, per le « Operette morali », per il pensiero del Leopardi ; più tardi, alle visioni dolorose del poeta doveva ispirarsi James Thomson in Insomma, nella Città della notte paurosa. 1 romantici spagnuoli subirono quasi tutti il fascino del Leopardi : Ange! de Saavedra, duca di Rivas, l'Espronccda, Gustavo Adolfo Fìccquer, Juan de Valera, Alcalà Galiano, e più litri : forse la schiera più folla di seguaci che, in un sol paese d'Europa, abbia trovato il Leopardi : ma un Leopardi ch'è spoglio dei suoi accenti più amari, vagheggiato nell'ombra della melanconia anzi che nel crudo risalto della disperazione. Ad opera di poeti e di studiosi dalmati (quasi a riscatto dell'aspra, rabbiosa avversione che il Tommaseo si piacque di sfogare contro il Leopardi, vivo e morto) ci è dato seguire una considerevole fortuna dei Canti, che giunge oltre le alpi Dinari che, fra 1 Croati ed i Serbi; il conte Orsato Pozza, da Ragù sa, fin dal 1849, riprendeva la trama della canzone all'Italia, fusa in certo modo con quella Sopra il monumento di Dante, ed altre poesie del Leopardi vennero imitate e riflotte fin nel linguaggio popolaresco delle Boc che di Cattnio. E s'ebbero traduzioni nelle maggiori, come nelle minori, liti glie d'Europa : rumene, bulgare, russe, polacche, ceche, ungheresi...: lo stridore di tutti quei nomi barbari, che vi stanno in fronte, ci riesce grato e festoso come un saluto molteplice, rivolto di lontano alla nostra poesia; ma non è qui il luogo per adunarli in un'arida bibliografia, e basterà rammentare le traduzioni che sono giudicate migliori e che, nelle lingue più note, hanno recato per il mondo una immagine fedele di Silvia e dell'intera ghirlanda dei Canti. Sono quelle francesi dell'Aulard, del Carré, del Lacaussade ; spagnuole di Calisto Oyuela e di AgPesrGasgg Antonio Gómez Restrepo; inglese del Bickcrsleth ; tedesca di Paul Heyse. E per aneddoto; era inevitabile che VInfinito fosse tradotto dall'Amie!, il signore ed il martire del Journal intime... La fortuna ch'I Leopardi in Germania ha una significazione che supera il semplice episodio culturale e s'innerva nelia storia delle idee che dominarono, più fervide ed ansiose, il secolo scorso. All'ammirazione dei filologi, dal Xiebuhr e il lìunsen fino ai Witle. per gli studi del Leopardi, soprattutto come ellenista, si aggiunse l'interesse per il poeta, di cui già nel 1831 traduceva alcuni saggi il Kannegiesser, mentre lo Schulz ne tracciava un profilo che apparve nellVfalia del Reumont ; i patrioti italiani emigrati in Isvizzera contribuirono anch'essi alla diffusione del nome e dell'opera del Leopardi nei paesi di lingua tedesca. Ma d'importanza decisiva fu la calda lode che al « pensatore italiano » rivolse Arturo Schopenhauer : il quale conobbe gli scritti del Leopardi dal suo discepolo monacense, Adam von V'oss, nel 1858 e si diede a leggerli, con delizia, nell'originale. Proprio allora (nel dicembre de! '581 usciva, qui a Torino, nella Rivista contemporanea, il dialogo Schopenhauer e Leopardi di Francesco De Sanctis, che il filosofo tedesco ebbe dal Lindner nel febbraio del '59 e mostrò di pregiare giustamente. Nelle aggiunte al capitolo « Della nullità e del dolore della vita » nella seconda edizione del Mondo come volontà c rappresentazione lo Schopenhauer scriveva : « Nessuno ha trattato di quest'argomento in maniera così propria ed esauriente come, ai giorni nostri, il Leopardi ». E' un primo spunto, e lo Schopenhauer lien fermo il poeta nella barriera delle sue negazioni ; ma di là mossero il Nietzsche ed il Wagner. Il Wagner, sulle prime, giudicò che il Leopardi non sefincMcqCzcpettPpatqrvtrngcacdvelsinlcllotbbp\dleg^cI g|teieqzssssrapp facesse che lamentarsi, e di ciò non avrebbe potuto stimarlo ; ma in seguito comprese come il poeta avesse attraversato le lande della tristezza per attingere una vetta più alta dello spirito. Quanto al Nietzsche, fu già osservato che, nel decennio fra il 1870 e l'8o, egli visse un suo « momento leopardiano », di profondo valore formativo: un momento che non si può scindere da tutto il corso della sua dottrina, che vi rimane inchiuso e raggiante, come il segno di una virtù innovatrice. Prima del Nietzsche, il Leopardi aveva detto di « si » alla vita : alla vita più dura, alla vita più sconsolata e deserta : ad una vita « tanto meno infelice, quanto più fortemente agitata », ma sempre soffusa d'angoscia, sempre minacciata ed oppressa. E non al male egli a- veva detto di si, ma alla forza di riconoscerlo senza tremare, e di fissarlo, e di resistergli, senza sperare nulla. In nuca, è qui tutto il pessimismo eroico, che trovò in « Zarathustra » il suo profeta, violento, ebbro fino al delirio, ma che, se estendiamo lo sguardo oltre il Nietzsche, balena da tutti gli orizzonti dell'inquieto Ottocento, e là principalmente dove gli esuli delle antiche fedi si volgevano all'arte, alla musica, alla poesia, con un ardore e una dedizione totale. Solo in rapporto con le premesse di un disperalo pessimismo, che nel campo morale s'irrigidiva in un, atteggiamento sdegnoso e stoico, si potrà spiegare come quel secolo, così avvinto alla scienza ed ai problemi positivi, abbia velluto sorgere una vera e propria religione della bellezza, che all'arte sola; mente attribuiva, sopra tutti i valori dello spirito, un'essenza presso che divina. Accennavo alle limitazioni, a cui gli stessi ammiratori hanno sottoposto la figura ideale del Leopardi: la più frequente, la più tenace fu quella che distingueva in lui il poeta delle belle apparenze, e il poeta del dolore, salvo discutere fino a qua! punto, e in quali momenti, egli si rendesse conto della sua intima contraddizione. Il dolore... la bellezza... le due forme, le due espressioni supreme della vita Umana... L'una più vera dell'altra? Chi sa! Lo credette il poeta, fin che ragionando opponeva 1' «arido vero ». al « beato errore » ; ma poi, l'uno e l'altro si facevano cosi chiari, così penetrati di quel limpi do lume ch'era lo stesso spirilo della sua poesia, che quel vero dolore ascendeva in una visione splendida e ferma, armonio¬ sanesdmcsgsidpdmncpspcrmr sa, composta in una perfezione [ nuova; ed in quella serenità esso era veramente una cosa sola con la bellezza. Bellezza della poesia di Leopardi : salda, marmorea, eppure tutta viva, e così mite ali anima che vi consente, così scevra e schiva d'inganni... Certo : la trepida lusinga di felicità, che aveva dato il suo aroma all'illusione, era dissolta, fugata ormai per sempre; ma l'indubitabile realtà di dolore si librava, « cosa beila e mortale » anch'essa, nelle sue linee' più pure : e dunque, era ancor degno vivere; e l'aver temprato la coscienza degli uomini sofferenti e delusi a una prova più difficile, ad un nuovo pericolo, a un ardimento più generoso, appare oggi a noi come il massimo segno della nobiltà spirituale di Giacomo Leopardi. Ferdinando' Neri. stslppnis

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