Caccia col falco nel parco di Gödöllö di Italo Zingarelli

Caccia col falco nel parco di Gödöllö Caccia col falco nel parco di Gödöllö Una tradizione secolare — Quel che vide Maria Teresa -- Il romanticismo di Elisabetta e la passione di Francesco Giuseppe — Il paradiso dei cacciatori (Dal nostro inviato) BUDAPEST, maggio. Falconare era, in altri tempi, un nobile sport, e vi xi dedicavano imperatori, principi c cavalieri. Federico II ne divenne così esperto, da poter scrivere un munitale sull'arte del cacciare con gli uccelli. Ma prima ancora che nel Medio Evo gli europei si dessero a coltivarlo, i popoli dell'Asia, orientale e centrale vantavano in questo genere di caccia una tradizione che risaliva all'epoca precristiana. In Europa cacce coi falconi se ne fecero a partire dal IV secolo: ì Merovingi diedero loro grande impulso. E cosi, a poco a poco, avendo le Corti e l'alta aristocrazia imparato ad amare il nuovo sport, il falconare divenne privilegio dei nobili. I rapaci uccelli venivano addestrati a dar la caccia ai pennuti e anche alle velocissime lepri. Nel nord si adoperava il falco grigio, vivente nel paese, o il falcone o lo sparviero pellegrino; nel sud-est il falcone azzurro, locale. Si seguivano, per l'addestramento, due metodi: o si andavano a prendere dei piccoli nei nidi, oppure si addestravano falconi già sviluppati, pregiatissimi perchè di più coraggio di quelli cresciuti in prigionia. L'arte del falconiere Nel corso dei secoli l'addestramento non è cambiato: per rendere mansueto il falcone, ed insegnargli ad ubbidire, bisogna affamarlo. Quando la fame lo ha estenuato, l'uccello si rassegna a riposare sul pugno del falconiere, ricoperto di un guantone di cuoio, e lì trova finalmente dei pezzi di carne. Un po' alla volta si abitua a posarsi sulla mano al richiamo. Poi incomincia l'educazione per la caccia: si tiene il falcone ad una corda sottile e lo si slancia contro un piccione che non può volare. Più tardi lo si lascia volare libero contro un piccione capace anch'esso di volare. Intanto il falconiere gli fa sentire il grido « Hilo! », uguale in tutti i paesi e in tutti i tempi: ancora oggi lo ripetono i falconieri di Gòdòllò e gl'inglesi e i tedeschi (in Germania è sorta nel '23 una società che si propone di fare rifiorire questa caccia), e quando l'uccello, udendo le due sillabe, ritorna sulla mano del custode, l'addestramento è finito. Il falconiere regge l'uccello sulla sinistra e lo lega al braccio con una cinghia sottile, attaccata ad un piede del volatile. In generale, dicevamo, la caccia è data ai pennuti: fagiani, anitre e oche selvatiche, aironi, ottarde e gru. Pei volatili più grossi in altri tempi si adoperava il falcone d'Islanda, più grande e più forte del pelle grino. Ma per ottimo che sia il falcone, abilissimo deve anche essere il falconiere: a lui tocca scioglierlo sveltamente, levargli il cappuccio e lanciarlo in aria in modo da fargli vedere la selvaggi na. Il falcone si dà ad inseguire la l preda, e poi le piomba addosso dall'alto con la rapidità d'una freccia. Certo la lotta nell'aria tra il falcone e una gru, o un'ottarda, o un airone, doveva riuscire molto più emozionante dell'attacco a una lepre o a una pernice. Godollo e si suo signore Un buon falcone, temporibus Lilia, arrivava a costare mille ducati d'oro, e anche più; Corti e famiglie nobili mantenevano, per la falconeria, numerosissimo personale. Quando si sia incominciato in Ungheria a cacciare col falco non si sa, ma è probabile che quest'arte la conoscessero i primi ungheresi venuti nel centro d'Europa. Dalla caccia col falcone varie località magiare hanno ricavato il proprio nome. Nel 1200 si ebbero ordinanze reali riguardanti le falconerie di Corte. Da tempo immemorabile, e soprattutto all'epoca di Re Mattia Corvino, le cacce più grandi hanno amito luogo nella tenuta di Gòdòllò, oggi onorata della visita del Re d'Ita Ha e Imperatore d'Abissinia. Il castello di Gòdòllò lo costruì un signorone, uno dì quegli aristocratici che gareggiavano coi sovrani in munificenza, e a volte li superavano addirittura. L'Ungheria ne ebbe molti: ce ne furono alcuni i quali' in tutte le loro case e ville facevano continuamente cucinare,.per potersi mettere subito a tavola arrivando all'improvviso: a quei tempi che sembravano di favole, e che pur non sono così lontani da noi, telegrafo e telefono, non c'erano, sicché la misura aveva i suoi vantaggi. Il conte Antonio Grassalkovics, comperata nel 11ZS la tenuta di Gòdòllò, volle farvi costruire, dice un diario, un castello davvei'o degno d'un gran signore, e v>i riuscì in ventun anni di lavori. Non fece economia con marmi e stucchi, nè con seta e damasco, e a fianco alla chiesa privata costruì la casa per il prete, e si fece una stanza da bagno di lusso inaudito, mentre stanze da bagno allora non ne aveva nemmeno la Reggia dì Vienna. Francesco Giuseppe, lo ai sa, si lavò, finché visse, in una vasca di gomma, che dopo l'uso veniva appesa a una parete. Antonio Grassalkovics aveva la sua orchestra privata e il suo teatro, nel quale chiamava a recitare attori di Budapest, però il teatro è scomparso, essendosi dalla sala ricavate quindici stanze. Aveva, poi una cavallerizza, ed amava i cavalli al punto che alla morte della sua chinea preferita le fece innalzare un monumento, che ancora oggi dà nome ad un cortile. La sua gioia fu al colmo nel settembre del 1751, allorchè potè ricevere Maria Teresa, giunta da Budapest con tutta la Corte. Per aprire una strada, nella- selva fercf^^h,^^-^Mghezza di venti metri, e ai ìati\lrsdella strada mise ussari che reggevano fiaccole ardenti. All'arrivo al castello Sua Maestà rimase sba- c-j-^ ^"j,, bcstìe cssp). dj_ Mviae.t^tÌmm dopo lamorte, il \dìrettore delIe cJ.ce ml/i le ece lordila vedendo una fantasmagorica illuminazione di settantamila lampade, poi andò a pranzo, ed. ebbe a. servitori ventiquattro giovani nobili della provincia. Visitò all'indomani le bellezze del luogo seguita da quaranta carrozze fiancheggiate da gentiluomini a cavallo, ed assistè ad un ballo al quale parteciparono mille nobili. Il diario racconta che nel castello s'erano imbandite le mense per seimila persone, ma che per altre ventimila, non essendovi posto, bisognò far preparare nel villaggio. Maria Teresa dormì in una stanza di marmo rosso, con le pareti dorate, e ritornata da Gòdòllò a Vienna era. ancora talmente piena di ricordi che decise di far ricostruire la Reggia di Budapest, rimasta nello stato pietosissimo in cui l'avevano lasciata i turchi, e incaricò Antonio Grassalkovics di occuparsene. Battaglia di due cervi Salito sul trono Giuseppe II, i Grassalkovies diventarono principi, però gli eredi del conte Antonio non sapevano nè amministrare nè godere, e Gòdòllò passò in altre mani, e poi fu abbandonato, e poi incominciò ad andare in rovina, finché nel 1867, firmato il compromesso che eliminò, o attenuò, la tensione con gli Absburgo, Gòdòllò fu comprata dalla Nazione ungherese, per farne dono a Francesco Giuseppe. Elisabetta amò Gòdòllò per la bellezza del paesaggio, per i cavalli e per le cavalcate, e soprattutto perchè in Ungheria lei trovava l'atmosfera voluta dal suo spirito romantico. All'idillio della natura forse si aggiunse qualche idillio sentimentale. Francesco Giuseppe e gli arciduchi amarono Gòdòllò per la caccia, abbondando nella tenuta cervi, cinghiali, lepri, fagiani, pernici e uccelli da preda d'ogni sorta. Le battute reali erano magnifiche: la sera, allorchè la selvaggina veniva allineata sopra un prato, ai capi abbattuti da Francesco Giuseppe ì portatori legavano un nastro verde, a quelli di Leopoldo di Baviera un cordone verde e a quelli del granduca di Toscana un nastro azzurro. Trofei di caccia se ne ammirano, a Gòdòllò, a non finire. Ma uno curiosissimo è passato alla villa imperiale di Ischi, in Austria, dove figura nel salone da fumo: due cervi, battagliando tutta la notte, s'erano incastrati con le conia al punto che non riuscivano a liberarsi. Il forte lanciava in aria il debole, che. sulla fronte ben vantava dieci palchi, e così gli ruppe la colonna vertebrale. Il conte Festetics, sorpresi i contendenti, uccise il vincitore e fece dare il colpo di grazia- al vinto. A Gòdòllò la Corte intera sbalordì per lo stranissimo spettacolo, e non potendo o preparare cosi covi erano. Italo Zingarelli dèsss IL CASTELLO DI GODOLLO Immerso nel verde selvoso dell'Immenso parco popolato di selvaggina, luminoso e sereno paradiso del cacciatori.