IL PAESE DOVE VIVE IL RINOCERONTE BIANCO di Mario Bassi

IL PAESE DOVE VIVE IL RINOCERONTE BIANCO IL PAESE DOVE VIVE IL RINOCERONTE BIANCO (Da uno dei nostri inviati) goba', marzo. Riprendemmo il volo da quel non preventivato scalo di Lammascillindi, nel pomeriggio, precisamente alle quattordici e quindici. Il tempo s'era un po' ristabilito! le nuvole diradate; ma il vento, a raffiche disordinate, disturbava tuttavia la navigazióne. E il nostro — CA - 133, — con tutta la sua mole e la potenza dei motori, ballava allegramente, sbandando e sobbalzando come un naviglio per mare tempestoso. Il che non c'impediva di filare veloci, a circa duecento chilometri all'ora: rotta per trecentoscssanta. gradi, esattamente al settentrione. Ci lasciamo sulla sinistra e dietro l'Ucbi; Gestro; traversiamo tra la desolata regione del Scràr, a destra, e le propaggini sciroccali dei Monti Aùdo, a sinistra. Alle quindici e cinque, avvistiamo, sulla nostra destra, l'UabiUebi Scebeli. La deriva ci ha portati discretamente verso oriente. Correggiamo la rotta, andiamo risalendo il fiume, tagliandolo dall'alto per più riprese, in quel suo corso serpentino e tortuoso, con quante mai curve e controcurve e anse e giravoltole, tra le pianeggianti rive, coperte in continuazione di boscaglia, e bosco. Ciascuno la sua fata Morgana Ecco un'ansa cosi pronunciata, che quasi il fiume ritorna circolarmente, su, sè stesso; e un'altra, sùbito accosto, per cui il fiume torna veramente all'incontro di sè; e quella forma di conseguenza, come si dice, un braccio morto. E siamo su Imi; e atterriamo al campo, alle quindici e venti. Sul campo ci aspettava il Colonnello-brigadiere — allora, ma oggi Generale di brigata — Vittorio Berio, comandante del presidio, e con alcuni suoi ufficiali. Montiamo in automobile, per recarci alla sede del Comando, che dista dal campo sette od otto chilometri. Ricordiamo con l'amico Berio che l'ultima volta c'eravamo incontrati a Brava, nel Febbraio dell'anno scorso, quando sbarcava la Divisione Libia, di cui egli è vice-comandante; e Graziani era venuto a passarla in rivista, accolto da frenetiche dimostrazioni de' suoi Libici. E prima, era dal '28, che non ci vedevamo; quando Sua Altezza Reale il Duca d'Aosta, allora Duca delle Puglie, m'aveva fatto l'onore di portarmi con sè, in un viaggio per il Gebèl tripolino e nella Tripolitania occidentale; e Berio ci aveva accolti e ospitati a Nalùt, dove comandava il presidio. E prima... Ma no: tregua ai ricordi; che qualcuno potrebbe sospettarci chissà qual età, a Berio e a me. Coloniali non di adesso: quest'è tutto. E poiché, come ci siamo accorti da tempo, siamo poi sempre gli stessi a vagabondare per nuove terre e a giostrare, accade cosi che di trati'in tratto ci ritroviamo, quasi sempre gli stessi, facciamo un pezzo di cammino assieme, ci riconosciamo qualche capello grigio di più, qualc'acciacco, magari la cicatrice di qualche buco di più nella pelle. Ma l'animo è ancora del giorno che siamo partiti per questa vitaccia, tribolata e suggestionante com'unu passione amorosa, logorante e irresistibile: un animo ventenne, con sete d'avventura e nostalgia di lontananze, con ardore di rischio e di fortuna, e inseguendo ciascuno un miraggio di Fata Morgana, che ondivaghi veli d'azzurro discioglie e agita per incogniti e sempre più remoti orizzonti. Finché l'ultimo orizzonte, estrema Thulc. E amen; La vergine foresta tropicale Alto e fitto e aggrovigliato si stende il bosco per questa plaga di Imi, sulle due rive dell'UabiUebì Scebeli. E proprio qua l'Uabi, come il fiume viene chiamato nel suo corso superiore, o Uebi Sidama, prende nuovo nome di Uebi Scebeli, per il corso inferiore. E qua il bosco offre gli aspetti tipici e più pittoreschi e impressionanti della foresta, tropicale, foresta, vergine; e confrontabile, tra quelle che conosco, alla fascia di vegetazione lungo il Giuba, in questa stessa Somalia, e in misura ridotta, alle stupende e paurose foreste del Brasile. Una massa, unita di tronchi e di verdura, di legname e di fogliame, d'alberi giganteschi e di piante parassitarie; e le liane s'attorcono ai tronchi e pendono dai rami, quasi un cordame indistricabilmente confuso; e s'espandono felci enormi, crescendo dal suolo o rivestendo i vecchi tronchi; e 7nuschi e borraccine spiegano molli velluti di verde; e si mischiano e s'intrecciano e si sopraffanno cento e cento famiglie e spcci d'arbusti e d'erbacee, d'ogni maniera e proporzione e foglia. Grandi piante cadute per l'età secolare, disfacendosi il legno, e l'ammasso continuamente replicato delle fronde morte, riunirono alimentano incrementano la straboccante vita vegetale, nell'ombra umida che permane sotto la spessa e compatta volta, come la compongono le chiome, inframesse a vicenda, dei più alti alberi, e attraverso cui il Sole non penetra, se non filtrando con qualche filo di raggio, alle ore meridiane. Pressoché inaccessibile all'uomo, che dovrebbe aprirsi il passo con incessante lavoro d'accetta, la foresta alberga altrettanta vita animale, le bestie più diverse, in quantità smisurate: dai felini feroci, che vi s'appiattano, alle innumerevoli scimmie; dai volatili, pennuti di tante sorta, da indurre in impaccio un ornitologo, alle miriadi e miriadi d'insetti, dai minutissimi ai colossi della classe; e dai rettili, innocui e letali, ai grossi pachidermi. Qua, ancora rinoceronti in buon numero: e mi affermano persone degne di fede, anche il rarissimo rinoceronte bianco. E ho riconosciuto, che taglia il folto della macchia, la strada, degli elefanti, quella che in mandria essi s'aprono, nella' travolgente ruìnosa trottata. E affacciandomi sul fiume, per più appartati recessi, ho sorpreso gli ippopotami, che affioravano bonaccioni col mostruoso muso e i bruni dorsi dall'acqua, e presti si tuffavano; mentre qualche coccodrillo, disteso sulle rive, la corazzata sagoma, che appena risaltava dal consimile colore motoso del terreno, si beava al Sole, forse digerendo,, immobile. Dove il bosco, poi. che si prolunga sul fiume, con profondità variabile, ma senza, superare i tre, forse quattro chilometri; dove trasmuta in boscaglia e si perde nell'inaridita distesa pianura, scorrazzano antilopi e struzzi, a gregge e branchi, e gazzelle in più numero; e .si rintana il facocero, il cinghiale affricano, e fuggono le lepri, e sgambettano senza fine a zigzag i digdìgh; e pascolano e si levano a. stormi otarde e faraone, pernici e francolini, tortore e colombi. L'aquila l'avvoltojo il falco, altri uccelli da preda, sopì a descrivono loro voli concentrici, in ampie volute. A notte, escono e squittiscono gli sciacalli, urlano lugubri le jene. La Mecca dei cacciatori sarebbe Imi, e per tutt'i gusti e per tutte le specializzazioni. Per adesso è la Geenna delle zanzare, e il connesso contagio malarico, d'una delle peggio, più perniciose malarie del mondo. Qua si sono constatati casi di gente in cui il male si manifestò, per esempio, verso le due o le tre del pomeriggio; e tramontato il sole, l'individuo era morto. Ah, non ci si mette molto a crepare in questa plaga di Imi: un par d'accessi febbrili, febbre che sorpassa i quarantun gradi, che sale ai quarantadue; e uno non ha tempo di ri- cever gli Oli Santi, che se h'è bel- Ve ito. Conciossiacosaché, scendendo a Imi, mi son ingollate, una sull'altra, mezza dozzina addirittura di pastiglie di chinino. E ripensandoci, alla notte, quando mi coricavo nel capanno di canne e frasche e paglia, pur con quel ronzio persistente nelle orecchie, mi sono mandato giù il resto del tubetto; e sopra, due o tre sorsate di vigorosa grappa, piemontese, dalla fiaschetta di scorta, da buon vecchio nomade affricano. Senza scherzi: la pelle fa uno. e la. paura fa novanta; che è un ambo dei favoriti. Enrico Bàudi di Vesme Noi abbiamo effettivamente occupata Imi sul. finire della guerra, fuggito il presidio abissino. Ma Imi si deve considerare italiana da onnai quasi mezzo secolo, per il diritto degli scopritori e pionieri: dacché Italiani furono i primi uomini della nostra civiltà che qua s'inoltrarono, il Capitano di- Fanteria Conte Enrico Bàudi di Vesme, e il suo compagno Giuseppe Candèo. Attratto dal fascino dei viaggi in regioni sconosciute e da giusta ambizione di fama, e soprattutto da quello che il BacchelU ha propriamente definito « mal d'Affrica », con uno bellissimo tra' suoi bei libri; il Bàudi di Vesme, d'antica e reputata famiglia piemontese, come ognun sa, s'era proposto di penetrare addentro la penisola dei Sòmali, in quell'ultimo venticinquennio dell'Ottocento ancora quasi completamente inesplorata. E s'internò da Bèrbera, nel 1888, per duecento chilometri in direzione di scirocco, fino alla catena dei Bur Dap, o Bur Oàb, nell'attuale Somalia Britannica; dove fu, arrestato dall'ostilità delle popolazioni, e costretto a retrocedere. Egli, non punto deluso né scosso dallo scarso successo di questa prima spedizione, anzi confortato dall'esperienza; indi incoraggiato dal Generale Luchino Dal Verme, un dei pochi, pochissimi competenti nostri, allora, di problemi affricani e coloniali, e uomo di superiore chiaroveggenza; e patrocinato e sovvenzionato dalla Reale Società Geografica Italiana, come lo sarà successivamente il grande Bottega; egli dunque, il Bàudi, sbarca nuovamente a Bèrbera, sui primi del. '91, insieme con Giuseppe Candèo, da Noale, incontrato ad Aden, e che gli s'era profferto compagno. E organizzata uno. sua carovana, s'internava nell'ignoto paese, in direzione approssimativamente di libeccio, prima, ad Hargheisa; poi direttamente al sud, attraverso l'Ogadèn: quell'Ogadèn ch'egli nominava — il Paradiso dei Sòmali. — Ma avendolo io visitato, ancor testé, percorso e ripercorso, salutamelo, direi, il paradiso; che m'e apparso una landa delle più uggiose e aspre, per la massima parte, inospite e selvatica. E tant'è, che il Negus, all'ultimo, si sarebbe magari acconciato a cederlo, per sè stante; mentre l'Inghilterra accentuava ch'avrebbe fatto anche lo sforzo di lasciarcelo prendere, senz'opposizione, se di quello ci fossimo contentati. Figuratevi che roba può essere. Ma Colui che vede sempre perfetto, anche a ottomila chilometri di distanza, tagliò corto, dichiarando che l'Italia non mirava a far collezione esclusivamente di deserti. Oggi, per l'Ogadèn, ci passiamo attraverso con le strade, dal Benadir all'Hararino; e basta. L'ombra placata Ma imperituro merito del Bàudi di Vesme è aver raggiunto questa regione dei Caratile, sul medio Uabi-Uebi Scebeli, con una marcia di forse milleduecento chilometri, jdelle più faticate e dÌ8avventurose\e pericolose: raggiunto qua, Imi o Ime, o /mei, o Hinna, allora centro demografico e politico specialmente importante, e di produzione e di traffici; e avere fatto cosi progredire d'un gran passo la conoscenza dell'interno della Somalia e del corso dell'Uabi-Uebi Scebeli. Oggi inoltre si rileva, a suo preclaro onore, che non solo egli compì opera rilevantissima di scoperta, per il campo geografico; ma a più pratici effetti, in servizio del suo Paese, strìnse accordi e concluse trattati coi capi della regione, che riconoscevano all'Italia diritti di precedenza, rispetto agli altri stati europei, e quasi un ideale protettorato. Sennonché — tali erano quegli] anni della politica italiana. — toc-' nato in Patria, il Bàudi fu diffidato dal. Governo, presieduto allora da quella sciagurata e nefasta maschera che fu il Marchese Di Rudinì, fu diffidato che non pure potessero essere fatte valere le at¬ tenute convenzioni, quei risultati efficenti della sua spedizione; ma che nemmeno non dovesse trapelarne notizia. E gli furon ritolti i documenti, e nascosti e sepolti negli archivi segreti del Ministero degli Esteri. Ond'egli amareggiato e umiliato, abbandonava anche la carriera militare; e si ritirò a \ vita privata, in dignitoso e sdegnoso isolamento e silenzio. Finché mori, a Torino, povero e oscuro. Bandiera, italiana, conquistatrice d'impero nel segno del Littorio, sventola oggi su Imi. L'ombra del Capitano Conte Enrico Bàudi di Vesme, antesignano e pioniere, ritorna agli Elisi, placata. Mario Bassi IL PONTE DI BARCHE GETTATO SULL'UABI-UEBI SCEBELI, A IMI DAI NOSTRI PONTIER.(.Fotografie Mario Bassi) IL NOSTRO COMANDO DI PRESIDIO, A IMI