IL TABARINO GITANO

IL TABARINO GITANO IL TABARINO GITANO e a e _ ì i n o (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) BUCAREST, maggio. — E' stasera? — Stasera, andremo a divertirci! — Dove? — In un tabarino. Ogni volta che mi capita di arrivare in una città straniera, incontro immancabilmente un amico benevolo, il quale, per tarmi divertire, non trova altro di meglio che portarmi ad annoiare in uno dei cusidetti luoghi notturni di piacere. In proposito, Parigi ha fatto scuola, e detta legge. Un po' do •inique e specie nelle capitali della Piccola Intesa, si trovano minuscoli locali dove il divertimento è soltanto nel programma e nel prezzo. Si balla in cinquanta entro uno spazio che potrebbe contenere dieci coppie il massimo e, quando non si balla, per divertirsi, si guardano i bicchieri gli specchi, le lampadine elettriche, oppure si gettano stelle filanti a qualche donna mercenaria la quale aspetta soltanto questo fragilissimo laccio e, forse, neppure per precipitarsi alla tavola e scroccare una o più bottiglie di sciampagna. Piccolo censimento Questa sera, con l'amico di Bucarest io finisco, dunque, per affacciarmi a un ritrovo del genere. L'orchestrina l'hanno rintanata in un angolo per lasciar posto alle coppie, mentre sei o sette dì « quelle signore », al nostro apparire, alzano il capo e ci saettano con gli sguardi e coi sorrisi pronte a lanciarsi all'arembaggio. Ebbe? Non c'è niente di più interessante nella Parigi orientale ? Presuntuosi e cortigiani nello stesso tempo, i compatriotti di Titulescu chiamano la loro capi tale così. L'amico mio medita alcuni minuti: Potremo vedere al quartiere gitano... — Andiamo subito a vedere! Per averlo letto non mi ricordo dove, so che Bucarest possiede un quartiere gitano abbastanza va sto, la Rumenta essendo il paese dove vive il maggior numero di inguri: da- 250 a S00 mila, un buon quarto dell'intera razza. Benché, data la loro instabilità, il censimento degli zingari sia impossibile e le statistiche difficili, ad occhio e croce, si crede che essi tocchino il milione. Alla Rumenia, come numero quantitativo, seguono l'Ungheria con 150 mila unità, la Russia con 75 mila, la Spagna con 50 mila, la- Cecoslovacchia, la Polonia, la Jugoslavia con 30-JiO mila rispettivamente. Molto staccate, l'Austria, la Germania, la Francia, l'Inghilterra, l'Italia e l'America. I S00 mila zingari rumeni, però, non sono tutti nomadi ed, in conseguenza, puri: sedentari o semi-sedentari, molti di essi vivono misti agli strati inferiori della popolazione indigena o agglomerati nei quartieri bassi della città. E la cosa si spiega. Perseguitati, torturati, uccisi negli altri paesi d'Europa, gli zingari in Rumenta, o precisamente nell'antica Moldavia e Valacchia-, vennero tenuti in ischiavitù. Ogni boiardo, ossia grande proprietario terriero, possedeva un certo numero di zingari-schiavi, che vivevano ammucchiati in quartieri speciali come i negri di America e che, come questi, su-bivano gli stessi tarttetmenti. In Moldavia e Valacchia, però, nessuno aveva, il diritto di vita e di morte sugli schiavi: lo proibiva il vecchio codice moldavo dichiarando che gli schiavi non erano «.cose», ma «uomini» e che potevano in conseguenza appellarsi alle leggi contro il padrone troppo crudele. Ciò non impediva che gli zingari e le zingare fossero venduti nei pubblici mercati oppure scambiati fra l'uno e l'altro proprietario con i terreni, il bestiame, le case e le scorte di viveri. Ancora verso il 1850, si potevano leggere sui giornali di Bucarest annunzi del genere: «I figli ed eredi del defunto sirdar Nika- mettono in vendita 200 famiglie zingare. Non si vendono meno d\ 5 famiglie la volta. Chi he compera almeno SO ha ino sconto notevole. Facilità di pagamento ». Costretti alla vita sedentaria, gli zingari-schiavi morivano con facilità allarmante. Coloro che sopravvissero, però, vi si adattarono e restarono sedentari anche a libertà raggiunta. Ma le caratteristiche spirituali della ra-zza ne soffrirono, pur essendone rimasto inalterato il tipo fisico. « Attenti ai ladri » Finiamo di trovare ti tabarino soltanto dopo infinite ricerche in viuzze sordide e buie. Raggiungerne la porta, sbarrata com'è da un duplice cordone dì mocciosi e di mocciose, costituisce subito un problema grave. Diversi tentativi per prenderla di fronte naufragano miseramente. Una finta a destra e un'abile manovra diversiva a sinistra ci permetteranno, infine, di insinuarci di fianco, pur dovendo trascinare con noi fin nel vestibolo alcuni disperati difen sori. Il colore gitano, in ogni modo, c'è; ma, purtroppo, solo alla por¬ ta. Dietro, il locale si presenta ab- bastanza pulito, con una doppia fila di tavole e panche ai lati, non¬ che un minuscolo palcoscenico sul fondo. Alcuni palloncini colorati, qualche secchio di ipotetico inno sciampagna, un pàio di « ?-iseruato » posti furbescamente qua e là sulle tavole si sforzano di dargli un aspetto di caffè-concerto. Ai muri, fra oleografie pubblicitarie e specchi appannati come gli occhi dei ciechi, io leggo con meraviglia questo cartello ammonitore: «Attenti ai ladri! ». — Che ne dici? — mi domanda l'amico mio indicandomelo con una spinto sotto il braccio. — Dico che i padroni di questo locale sono dei rinnegati... — Cosa? cosa? — Dico che fanno malissimo a denunziare tanto vilmente una- delle più spiccate caratteristiche della razza. E, poi, perchè togliere al forestiero la lieta sorpresa di trovarsi all' uscita con le tasche vuote?... — Gli spettatori, però... — Sono spettatori d'occasione, codesti, ma d'occasione combinata! Come gli apaches dei bals-musette parigini e come i gangsters dei film americani, gli zingari lì presenti sono dunque clichés, vale a dire, truccati? No, sono zingari autèntici, ma assoldati per creare il colore. Lo intuisco subito dalla loro compostezza, malgrado che qualcuno abbia la faccia ferocissima, e che abbondino i vestiti strampalati, i comici « risotti » inclinati sull'orecchio, i colletti alla diplomatica su camicie rosa o verdoline. Le sei o sette donne, poi, che circolano per la sala a predire la ventura, esibiscono costimi' gitani così vistosi da confermare ogni sospetto. Gli sforzi dell'amico, che. di tanto in tanto, mi indica un particolare, una scenetta caratteristica, o un tipo strambo', non valgono perciò a rimettermi dalla delusione che provo per gli spettatori, il locale e la direzione. Ad un certo \punto, un cameriere, sbucato non so di dove, viene a servirci due bicchierini di zuica, il liquore nazionale rumeno. La « tanada » l , o à i i e i a a o a e i e , s ì e i e e i a , ' e o e o n — Cinquecento lei! Il prezzo smoderato e il pagamento alla consegna alzano di alcuni punti nel mio pensiero le azioni del locale, azioni, tuttavia, che precipitano di nuovo non appena le ballerine appaiono sul proscenio. Queste ragazze sono gitane pure. Aggiungo che sono anche belle. Ma ahimè, ballano troppo bene, tanto bene che sembrano farlo su ordinazione, come gli spettatori, ad ogni calar di sipario, sembrano applaudire su misura. Non ridono, non gridano, non fanno baccano, costoro. Si annoiano come quelli dei locali alla moda parigina. Nè le zingare che mimano sul palcoscenico, nè quelle che sì trovano nella sala fanno vibrare gli zingari-spettatori e quelli dalla faccia ferocissima e quelli dai colletti alla diplomatica su camicie rosa o verdoline! Le volgari zingare degli accampamenti fanno vibrare i loro uomini con risorse artistiche ben minori. Ormai, sono « europeizzati» questi zingari di Bucarest. L'organizzazione razionale per sfruttare il forestiero ha smorzato loro le ali soffocato gli impulsi atavici. I piaceri, ch'essi offrono, però, non sono ancora europei e non sono più gitani, ma qualcosa di mezzo, di ibrido, e, perciò, come tutte le cose ibride di pochissimo valore. Ad un tratto, due donne di ragguardevole età saltano in mezzo alla sala, cercando di suscitare l'orgia con grida provocanti e con contorcimenti del corpo. Una, anzi, mi afferra trascinandomi in alcuni giri vorticosi. Ma tutto finisce lì: la sala non risponde. La musica, la danza e l'alcool non fermentano col desiderio e con l'istinto, non creano la pericolosa eccitazione dell'ebbrezza, la gioia tumultuosa, che io vidi tante volte negli accampamenti gitani lungo le strade e .che, ogni volta, per placarsi abbisognava di grida, sfide e bravate. E anche quando le ballerine ufficiali, giunte all'estremo limite legale in fatto di abbigliamento e un po' più in là, attaccano una convulsa danza, questa appare troppo oscena- per essere spontanea e, non essendo spontanea, resta troppo fredda per comunicarsi agli spettatori. Eppure la danza in parola è — come dire? — la danza nazionale gitana. La chiamano la tanadà. Le madri affettuose la insegnano alle bimbette fin dalla più tenera età. E le zingarelle, che a due anni sanno già chiedere l'elemosina e rubar a tre, a quattro mimano già le difficili contorsioni che la danza comporta. Donne, esse laeseguiranno, d'impulso, non appena a sera trillano i primi accordi dei violini e schioccano i primi battimani d'accompagnamento. Sorpresa finale Nelle mie soste jrresso gli zingari nomadi, puri di razza e di costumi — puri appunto perchè nomadi — io l'ho insta sempre sprizzare così la danza folle, disordinata e convulsa, la danza fat ta di slancio, di contorcimenti ed ondulazioni, la danza che alterna, incrocia e combina la veemenza brutale e la leggerezza soave. Mai ho veduto trucchi di m3ssinscena, calcoli e studiata misura. Quindi, nessuna visione oscena, nessun pensiero lubrico. Nella tanada, la zingara nomade mima l'amore, ma non l'amore carnale. Attraverso i gesti e von i gesti, ella esprime il proprio fuoco intcriore la gioia selvaggia dell'amore, canta- la tormentosa seduzione dell'ignoto, l'inquieto mistero del domani e le desolata malinconia degli uomini condannati ad errare sempre. Con l'amico di Bucarest, esco dal tabarino gitano quasi dìsgu stato. Il cameriere, pagato in un ticipo, non è venuto a chiederci una mancia soprannumeraria; nè il padrone ha imposto un supplemento per lasciarci andare in pace. E' tardi. Tutti, adesso, se ne vanno a casa in fretta. I mocciosi e le mocciose, di guardia alla porta, se ne sono andati da tempo. Mentre noi due si gira alla ricerca disperata d' un tassi, io esclamo: — Questi singarì, amico mio, non sanno più diueittrsi e divertire. Hanno perduto tutte le belle qualità della razza. Con un cartello avvertono persino di stare attenti ai ladri!... Così dicendo, d'istinto mi tocco in tasca: il portafogli è scomparso' Paolo Zappa mtimnotasthostSdevolaciloaldeLmdizachsovppsctedl'dfeovtactil'ctcrpccsvcnmrlrssdtcgmivannrmCdmqdddsEmsmspl BIMBE CHE SI ALLENANO

Persone citate: Donne, Paolo Zappa