STORIE DI SANGHE E DI AMORI ALL'OMBRA DI CASTELLI REALI

STORIE DI SANGHE E DI AMORI ALL'OMBRA DI CASTELLI REALI Imst missione JDalnelIi al Tana STORIE DI SANGHE E DI AMORI ALL'OMBRA DI CASTELLI REALI IFAG, aprile. Con l'arrivo a Gorgorà eravamo a metà viaggio e lavoro; ne siamo partiti verso Oriente: il nostro periplo del Tana volge dunque alla fine. Ho infatti mandato disposizioni ai limnologi ed ai preparatori di trasferirsi al più presto a Gorgorà dalla loro stazione fissa di Bahar Dar. Morandini, con le sue sezioni di scandagli sistematici e con le sue raccolte di osservazioni fisiche e di campioni, aveva sorpassato or- stquetcaqvEloladupvdmai le isole Daga e Deh verso \/Settentrione: era opportuno, per ragione di maggiore vicinanza, che il suo lavoro proseguisse avendo come base Gorgorà. Ed anche i preparatori era opportuno che cambiassero zona di raccolta; tanto più che la fauna, con (a sola eccezione degli uccelli d'acqua, nella presente stagione asciutta è relativamente scarsa, in una regione nella quale sembra che essa, ricca veramente, non lo sia mai. A quest'ora, dunque, il laboratorio di Bini deve essere già impiantato a Gorgorà., forse sotto l'ombra protettrice della chiesa, come già le nostre tende, e deve essere incominciata anche la ripresa delle navigazioni metodiche di Morandini e Penzo. A Castelli e Broilo non c'è che Gesazau*« augurare ricca raccolta di ani¬ e e , mali dalla loro nuova sede. Noi ci siamo spostati nella zona orientale del Tana, rapidamente attraversata, ma non studiata, al principio del nostro viaggio, E' un periodo, questo, nel quale i mezzi di trasporto sono impegnati intensamente per costituire depositi per la stagione delle piogge, quando gran parte delle piste diverrà impraticabile. Ho cercato, ' per questo, di ridurre quanto più possibile le nostre necessità, per non sottrarre molti mezzi al vettovagliamento preventivo della zona. Comunque, anche indirizzando a Gondar più di tre carichi di automezzi, — per la maggior parte, materiali di raccolta, — le quattro macchine con le quali ci siamo spostati da Gorgorà erano colme così, che un granello di panico in più, — credo, — non ci sarebbe entrato. Pichi continua ad^ essere il respon sabile più grave, perchè mezzo carico lo esige sempre per sé so lo. Si era aggiunta anche una scorta di dieci nuovi ascari, comandati da un buluk-basci: sì che, con i nostri, aggrappati in cima ai cumuli inverosimili delle casse e delle tende, davano alla pìccola colonna icn aspetto pittoresco, con quel fitto di tarbusc fiammanti, che si dondolavano, in alto, tutti insieme, ad ogni sob- asccngrpgrsgnseistttIprvtbsficmbcDetpgeSacgqdptsnrtSdcgbalgo per le asperità continue I della strada. Una novità: la scor-[ta è tutta quanta amhara; il bu luk-basci milita fedelmente c»jn noi da una diecina d'anni; ma ali ascari, un anno fa, combattevi ano ancora contro le nostre coli mne vittoriose. I portoghesi Alla fine della prima Ifag, ho rimandato ìndie tro due macchine, sperando che le rimanenti due, sagacemente utilizzate, potessero bastare pr.r i futuri movimenti. E le farò bastare. Curiosa impressioni % quella di percorrere nuovamente una regione che si è già attraversata! A me vien fatto di esercitare una specie di controllo sopra me stesso, per constatare se i particolari del paesaggio eia loro successione si sieno fissaUi saldamente attraverso la imrcessione visivo e la osservazione. Si, non ho ancora da lamenta ,rmi: servono bene, ancora, l'ima e l'altra. Andavo r wercando anche le tracce lascii de dalle vicende della storia ,e s alle quali sono fiorite tante delU, leggende del Bahar Tana. Sul la mediocre sommità di un poggi' j, resti di mura e, al loro centro, ruderi di un castello. Si narra c'/ie al re Lebne Dinghìl, che imperò.' nella prima metà del secolo « edicesìmo, da una apparizione si ivranaturale fosse predetto che la sua ditiastio avrebbe avuto fiede in una località il cui nome cominciava in G. E il suo nipo te Sertza Dinghìl, succedutogli — - non però immediatamente iiella sovranità, quando capitò qui, presso la sponda nord-orientale del lago Tana, in una sua spedizione di guerra contro i Falascia, e vide questo poggio, e seppe chiamarsi Guzarà, credè fosse la località misteriosamente indicata dalla predizione, e vi co- tappa,'\ struì un suo castello, che fu per qualche tempo sede delia dinastia. Per spiegare come un sovrano etiopico potesse farsi costruire liti castello, per lo meno Mrieggiante quelli della nostra Europa medioevale, bisogna ricordare come in Etiopia fossero già pjenetrati, allora, i Portoghesi. Jw» dico della penetrazione sporadica, individuale, che aveva avvito inizio già un secolo avanti, mardi quella ben più numerosa, provocata dalla invasione musulmana,-travolgente e devastatrice, di Mohamed Gragnc /UÌ al tempo di jLebrte nvnyhìl. paal Potralonqupr—novrergesetela iraGran parte dell'Etiopia sembrava essere sommersa sotto la marea, avanzante come una potente forza bruta: degli stasai figli del re, uno morto in combattimento, e unUraltro fatto prigione e tratto in schiavitù. Vennero allora, in soccorso dell'Etiopia cristiana, alca ne migliaia di archibugieri portoghesi, e la marea {musulmana, arrestata, dovè ritmisi fino al suo punto di partenza. Ma di Portoghesi, evidentemente, alcuni ne rimasero; come più tardi altrì ne sopraggiunsero, religiosi ed artigiani, per i quali l'Etiopia divenne, temporaneamente, cattolica <i, sopra tutto, la ■vegione di Gondar e del lago Tanai ricevè quella cipria, sua impronta d'arte, che ne costituisce una attrattiva tutta •particolare. Non era quello il « fj » Strana, anzit, la contemjjoraneità di queste manifestazioni d'arte — di un'arte, però, nhe si diprebbe come stpaesata —. e di una vita umana, che non avrebbe potuto essere più incivile ,più barbara, nelle stesse vietnde truci e sanguinose della diwistia. E' difficile seguirle, del nssto, nelle incerte tradizioni, che ne sono rimaste, tramandate di bocca in bocca e in qualche cronaca poco conosciuta, frisino a noi. Sertze Dinghìl, il 'fond atore di Guzarà, ebbe la proprio, successione conti-astata tra Zìi Dinghìl e il proprio figlio Jacob V; ma Ze Dinghìl morì — sembra — di veleno, e Jacob ucciso in guerra contro Susìnios, un lontano cugino, pure aspirante al trono, che potè così, con le arni.i, riuscire ad afferrare. E' una storia — a volerla seguire — piuttosto complicata. Dei nfbicinlunindilitgkbaguRSnpzaAcdtrufee fovvsibsadsmgnpcugdbbtmtdquattro figli di Leone Dinghìl, f'dpdue avi ivano avuto troncata la propria, discendenza per la morte trovata combattendo contro i musulma ni; uno, Minas, fatto prigione, eiopo lunghe vicende avventurose ' era tornato ed era salito al trono: padre e predecessore di Se-rtae Dinghìl. Ma questi, temendo, di avere un competitore nel cu/jino Fasìl, prole del quarto figlio di Lebne, gli fece propinare v.n sottile veleno, capace di to- I giiertjli ogni ben dell'intelletto, [Fasìl, il Mentecatto, ebbe però un i o e e , i i ! a i e , e a e r i o i e o i ò a - figliolo, e fu Sosìnios: il quale, per vendicare il padre e soddisfare l'ambizione propria, mosse all'assalto del trono poco saldo di Jacob V, uccise il re durante un combattimento, e si conquistò così lo scettro del potere, insediandosi egli pure in Guzarà. L'esempio, però, dei suoi due ,'\predecessori non doveva essere Nttroppo incoraggiante: non più che una diecitio d'anni di regno in due, e fine violenta o per veleno od in combattimento. Venne il dubbio, a Sosìnios, che Guzarà non fosse veramente la località predetta al suo pro-avo Lebne Dinghìl, come sede gloriosa della dinastia. Consultò stregoni ed indovini, ebbe rafforzato il dubbio, e abbandonò castello e torri di Guzarà, che da allora caddei'o in rovina, e sussistono ancora, soltanto come ruderi arcigni intorno ai quali aleggia la leggenda, qui nell'Enfràz, sul poggio bagnato ai piedi da un affluente dell'Amò, in vista del Tana immenso. Sembra, — questo storia leggendaria degli antichi re del Tana, — uno lunga novella da fanciulli. Ecco Sosìnios, il grande re vittorioso, abbandonare dunque Guzarà e andare in cerca d'altra località, il cui nome cominciasse in G. Capita nella località di Gomneghiè, la crede quella della lontana predizione, vi costruisce un castello, e vi si insedia. Ma nemmeno Gomneghiè era la capitale predestinata per la gloria della dinastia. Riprenderemo, però, questa storia un'altra volta, proprio come fosse una novella per fanciulli. La storia di re Sosinios Ve n'è un'altra però, che, — non cosi lunga, e intrecciata soltanto alla persona di Sosìnios, — sembra au'ere una iinportanza tutto efmprtsitleidmpudolre—dicsc particolare per chi abbia interesse al Tana. E' stata, raccontata al Pollerà, — uno dei più meritevoli tra i nostri così detti « vecchi cooniali », i quali hanno avuto, tutti quanti, meriti grandissimi come preparatori silenziosi dell'Impero, — è stata raccontata da un lontano discendenti} di quel grande sovrano, del quale però ben poco ha ereditato. Nu,rra, dunque, la leggenda che, quando Sertze Dinghìl seppe che il cugino Fasìl, il Mentecatto, stoma per divenire padre, a futura 'madre, per sottrarsi alla ira sanguinaria del re, se ne fugai Uro tribù selvagge oppur ribèlli. E svdsdndrfmspsnfllo Scioa. E qui nacque il barn-, bino, e crebbe forte e coraggioso, Wcimentandosi nei rischi delle cacce j «nlle fiere c dei combattimenti con-\msdlntspsdvlbun g'ìmrno, mentre se ne correva in uv,a delle sue avventure piene di rischi, incontrò un eremita solitario, che gli predisse il raggìungknento del trono, se avesse abbandonato la propria fede per seguire, invece, quella che aveva in Roma- il suo supremo gerarca. E Sosìnios promise: cattolico, appena raggiunto il trono. L'eremita, a rafforzare la propria promessa e la propria predi-, zione, aggiunse dell'altro ancora: sandasse, Sosìnios, sul mercato, ed\Acquistasse per ventotto grani d'oro una cavalla che vi avrebbe trovato. La cavalcasse: e tosto una intera folla lo avrebbe seguito fedelmente, pronta a combattere e vincere nel suo nome. Tra la folla dei seguaci, cercasse un giovane, di nome Jelos: sarebbe diventato il suo porta-scudo e il ino sicuro protettore nel furore delle battaglie. Poi, finalmente, sposasse quella fanciulla di nome Uoldesahala, che incontrasse lungo il suo cammino: sarebbe divenuta madre di una discendenza forte e generosa. E tutto si avverò: Sosìnios battagliò di qua e di là, sempre vittorioso; vinse ed uccise anche il lontano cugino, Jacob V, usurpatore del trono in quanto figlio illegittimo di Sertze Dinghìl; divenne, lui, sovrano, e continuò a battagliare, vincendo nemici e debellando ribelli. E dove' finalmente, dopo già molti anni di regno, mantenere fede alla promessa fatta all'eremita, che non mancava di comparirgli innanzi per rinno- fargliene la memoria. Si convertì 'dunque, al cattolicesimo, e lo impose anche a tutta la sua gente I Ne ebbe, come conseguenza, rivai- te che scoppiavano in una parteo o e nell'altra del suo impero e gli fecero passare travagliati gli ultimi anni del regno, finché, per aver pace, dovette abiurare la nuova religione e rimettere in onore l'antica. Porte aperte all'arte Vi fu, però, anche un'altra conseguenza, che ha certamente più interesse per noi, moderni visitatori del Tana. Perchè Sosìnios apri le porte del suo regno a religiosi europei, anche ad artefici europei, i quali, — continuando quella tradizione che già era venuta formandosi dopo la penetrazione dei primi Portoghesi, e secondando una certa indubitabiie tendenza del sovrano a farsi promotore di opere appartenenti al dominio della mente e dell'anima, — suggerirono e costrusserò ville e castelli, esempi, — se non sempre modelli, — a quelli che abbellirono più tardi Gondar, la futura capitale. E' infatti del tempo di Sosìnios quel castello, — o come altri preferisce, chiesa, — di Ghembì Mariani, in vetta al mediocre promontorio che sfrangia verso il Tana la penisola di Gorgorà. Esempio, ma non modello, ai castelli di Gondar, perchè nessuno di questi ha la minima traccia delle scolture ornamentali che a Ghembì Mariani ornano la grande sala delle feste e specialmente la uicina alcova nelle pareti, nei pilastri e nella volta. Così le rovine di Guzarà suscitano reminescenza di storie e di leggende. E si continua la via, attraverso l'Enfràz, superando poggiate morbide, attraversando brevi piane, mentre sulla sinistra si leva, a distanza non grande, la parete vertiginosa dell'altipiano superiore del Beghemedèr, la cui uniformità di linee — verticale, quasi, nella faccia rivolta verso il Tana, quasi livellata nella superficie che la culmina — è rotta, qua e là, da strani spuntoni di trachite, dritti ed isoiati come pan di zucchero, come diti giganteschi, quasi volessero ribellarsi, con la pienezza del contrasto, alla uniformità regolare, quasi semplicista, del paesaggio montuoso circo- stante. Dò un'occhiata dietro alla vettura, per sorvegliare la marcia delle macchine; i miei ascari passano indifferenti, davanti a rovine di castelli, ad altipiani, a spuntoni rocciosi stravaganti: stanno dormicolando là su, in cima ai carichi, e le piccole selve di tarbusc fiammanti pendono melanconicamente da una parte, salvo a riscuotersi d'un tratto ad un balzo più forte su le asperità della pista ineguale. Dove l'amore si consuma Si attraversa una piccola piana, ntsipA . _ „. , , Werta verso u Tana. Nel lago, «»?» isoletta, tutta alberata. E mtre,'à Muri&m, con la sua chiesa, nella quale numerosi fra i re di Gondar ebbero sepoltura. Ma la chiesa è in rovina; e di tombe ne son rimaste due soltanto, punto regali. Vi è però un cosci che sa, che ricorda e che racconta. Si supera una nuova zona di poggiatene, tutte roveti; poi si scende, e si attraversa la piana dell'Amò. Anche questa, aperta verso il Tana. Ed- anche qui, nel lago, due isolette ed uno scoglio, biancheggianti di guano. Ahimè, : , . .. , snPer chf è ,JlMn°J toJ>b? Poes}a clle verrebbe da tutto quel cti luccicare che par d'argento, in mezzo all'azzurro vivo del Tana. Toglie anche tutta la poesia alle due isolette, che hanno, anche esse, la loro storia leggendaria. Era una principessa della corte di Guzarà, che ardeva d'amore, riamata, per un giovane cortigiano; ma di un amore infelice, perchè avversato dal re. E i due, allora, pensarono di fuggire: il Tana, — che avranno tante volte visto rilucere sotto il disco d'argento della luna, — dovè invitarli, ed invitarli anche, come rifugio sicuro e solitario, una delle isolette allo sfocio dell'Amò. Ma il Tana li tradì: si levò in tempesta, li fece naufragare, li separò, sospingendo l'unu e l'altro sopra due isole diverse. E lì attesero, in lenta consunzione del corpo e dell'anima, la morte. Una delle due isole si chiama infatti Fechèr Mecerrescià, cioè « dove l'amore si consuma ». Si lascia dietro di noi la piana dell'Amò: nuovamente una zona di poggiate, ma più alte e più rotte, con vallecolle e piccoli ripiani. Ma quando si è sul culmine e poi durante la discesa sul versante I opposto, una pianura immensa si ìdistende ai nostri piedi. Si disten¬i i de immensa parallelamente al Ta na, ma anche penetra profondamente dentro l'altipiano del Beghemedèr, che in sua corrispondenza sembra rotto nel suo ciglione e nella sua parete. E' la pianura del Fogherà. Rapida discesa. Poi, ad un tratto, presso al limite della piana, un fitto di capanne distese giù per il pendìo. E' Ifag: il nostro nuouo campo. Giotto Dainellì

Luoghi citati: Etiopia, Europa, Gondar, Roma, Scioa