FIAMMEGGIANTI PAROLE DEL DUCE a mezzo milione di persone che si addensano intorno a Piazza Venezia

FIAMMEGGIANTI PAROLE DEL DUCE a mezzo milione di persone che si addensano intorno a Piazza Venezia NEI PRIMO ANNUALE PEL NUOVO IMPERO DI ROMA FIAMMEGGIANTI PAROLE DEL DUCE a mezzo milione di persone che si addensano intorno a Piazza Venezia " Pace per noi e per tutti : per tutti se la vorranno e se ascolteranno il monito che sale dalla profonda coscienza e dall'anima del Popolo „ - I marescialli De Bono e Badoglio in testa alle colonne dell'Esercito vittorioso che sfilano dinanzi al Sovrano e al Fondatore dell'Impero GLI ONORI DEL TRIONFO ai soldati d'Italia Roma, 10 mattino. Nel primo annuale dell'Impero. Roma ha ieri assistito a una celebrazione imperialmente grandiosa. Essa ha risto concretarsi, sotto i suoi occhi, l'immagine stessa dell'Impero nel suo aspetto militare. Una interminabile, spettacolosa parata di Forse armate, quale mai si era svolta sotto il cielo della capitale, ha percorso le sue vie e le sue piazze, fiumana di ferrei battaglioni, ognuno dei quali sembrava la strofe di una possente epopea guerriera. Ma il senso della celebrazione imperiale non era dato solo dalla grandiosità dello spettacolo quanto dalla presenza di una larghissima integrale rappresentanza delle nostre unità coloniali. Roma conosceva le gesta e l'intrepido valore e la sicura fedeltà dei nostri soldati eritrei e somali e libici, Roma aveva inteso e letto più volte i nomi dei savari, dei zaptiè, dei meharisti, degli spahis, delle bande camelXate, degli ascari, dei dubat, ma non aveva mai avuto occasione di vedere queste truppe, in unità organiche, sfilare per le proprie vie. La nota caratteristica Ieri questo incontro è avvenuto. Le unità indigene, i cui nomi ricorrevano nei bollettini di De Bono e di Badoglio, gli eritrei di Pirzio Biroli, le bande di dubat che Oraziani lanciava impetuose come uragani nelle battaglie del fronte sud, la brigata Gallina che prima arrivò in vista di Addis Abeba la vigilia della conquista, la Divisione libica che strenuamente combattè nell'Ogaden tre giorni e tre notti pagando un sanguinoso tributo di fedeltà alla Madre Patria non immemore e dando un concorso impareggiabile alla vittoria finale; tutti sono passati dinanzi a noi, fieri baldi travolgenti di entusiasmo. La loro presenza è stata la nota, caratteristica della manifestazione. Lo spettacolo assumeva, da solo, un colore nuovo, un sapore di lontananza, un respiro di potenza. Molta gente aveva per la prima volta l'impressione viva, plastica di quello che è un impero, degli sterminati territori venuti sotto la sovranità del tricolore, delle genti di altra lingua, di altre razze, di altre orioini, di altri costumi, i cui destini saranno nell'avvenire associati ai nostri, nei compiti costruttivi della pace e in quelli della guerra. Nessun quadro avrebbe potuto meglio di quello di ieri colpire la fantasia di un popolo come il romano, e fargli sentire l'impero nella sua complessa realtà e nella potenza che rappresenta e nelle responsabilità che comporta. In tal senso la celebrazione di ieri è stata all'altezza della circostanza. Non è una nostra illusione: centinaia di migliaia di persone, mosse allo spettacolo sotto la spinta di una viva curiosità, ne sono tor nate con un senso di commossa fierezza nei volti. Erano andati solo a vedere; sotto stati indotti a pensare. L'impressione di forza e di grandezza che si sprigionava dalla scena era di quelle che conquistano i cuoi-i. Un anno fa, da Piazza Venezia, dinanzi al monumento a Vittorio Emanuele simboleggiante il ciclo concluso del l'unità, il Duce iniziava il ciclo della potenza italiana nel mondo. Ieri una espressione di questa potenza era dinanzi.agli occhi di tutti: non parlava più col linguaggio delle parole, ma col linguaggio dei fatti. Notte senza sonno Quando ai dice, come abbiamo detto, che alla celebrazione di ieri han preso parte centinaia di migliaia di persone, noi: si pensi a una esagerazione. Non ricordiamo evento della vita romana che si sia svolto in una cornice più imponente di folla. Be lo spazio consentisse di sostituire a queste rapide impressioni una diffusa cronaca della giornata, questa dovrebbe avere inizio dalla mezzanotte di sabato. All'ora in citi, ordinariamente, suole addormentarsi, sabato Roma si svegliava. Lo spettacolo delle case illuminate che si vuotavano, della circolazione dei veicoli che si faceva intensa, sempre più intensa, fino a in¬ gbmuncpvcarvtglcvtrlptntcurdrncbqzdpcm a i o i a e ù o e a o e ¬ gorgare le vie, richiedendo la laboriosa opera disciplinatrice dei metropolitani In ore in cui non usa passare un veicolo; la visione delle colonne, dei gruppi, dei cortei che già andavano, erano dei più. caratteristici che si siano mai visti. Comitive di romani, di ogni ceto sociale, di ogni quartiere, ma anche foltissimi gruppi di stranieri e più folti gruppi di forestieri venuti anche con i treni della notte e della prima ^mattina o con gli automobili dai centri meno lontani, tutti si avviavano nella città illuminata ed imbandierata verso i vasti recinti e le capaci tribune predisposte lungo l'itinerario della sfilata per l'anello delle strade imperiali e poi ancora per via Nazionale e per corso Vittorio Emanuele. Con quell'enorme migrazione notturna, che aveva degli aspetti tumultuosi e spettacolosi, si incrociavano spesso le colonne delle unità dell'esercito e che dalle varie caserme e dagli attendamenti disseminati per un vastissimo raggio della periferia, si recavano a raggiungere i punti di conicentraménto, tutto intorno all'imbocco del viale Aventino, nel quartiere Ostiense. All'alba la poderosa mobilitazione era compiuta. Le prime luci del giorno hanno illuminato un panorama di folla già composta nell'attesa. Il quadro era lo stesso che più tardi il sole sarebbe giunto a far risplendere dei più vivaci colori; quadro di moltitudine immensa, ordinata lungo l'anello delle strade imperiali in una duplice interminabile muraglia di umanità palpitante per tutto il digradare delle innumeri terrazze e delle tribune, quadro di moltitudine addensantesi alle finestre sulle terrazze, sulle torri smozzicate, sui campanili delle vecchie chiese, tra il verde dei giardini pensili, tra i tronchi intercolunni; quadro di moltitudine arrampicata sulle sporgenze dei ruderi, sui basamenti delle statue tra le merlature dei palazzi medioevali, ovunque una accidentalità delle strade, una emergenza del terreno, una nicchia, una colonnetta, un solido tronco d'albero offrisse un posto di osservazione, magari scomodo, magari pericoloso, magari fatico so sul passaggio delle colonne. E quale palpito di bandiere, quale sventolìo di gonfaloni, quale tessitura di drappi policromi, quale eloquente incalzarsi di scritte e di manifesti intorno a quel possente ribollire di folla in attesa. Le splendenti tribune Tutti i caratteri della scena si accentuavano e si ravvivavano sulla via dell'Impero, nel tratto che dallo sbócco di via Cavour volge al Foro dell'Impero. Qui la folla infittiva nelle colme tribune, bandiere e gonfaloni si facevano più densi, le case traboccavano da tutte le finestre e da tutte le terrazze di masse di spettatori, la più parte armati di binoccoli e di canocchiali. Era questa la zona dove erano state erette le tribune per il Re Imperatore e l'Imperatrice, pr le autorità del governo e reduci della campagna d'Africa del 1896 — bello e fierissimo gruppo di vecchi soldati, alcuni dei quali portano ancora l'uniforme del tempo e paiono usciti dalle stampe che ricordano le gesta di Galliano e di Toselli e per le famiglie dei Caduti nella campagna in A.O. I. Queste erano troppe per entrare nella tribuna loro; molte furono accolte nella tribuna della stampa, altre si accomodarono sulla strada lungo le tribune; e poiché molte mamme e molte mogli di caduti rimaste sulla strada in posizione privilegiata per vedere la sfilata, ma pessima quanto a comodità, si accese nelle vicine tribune una gran gara a chi si privava delle sedie per offrirle alle elette signore; e le seggiole scesero fin dai più alti gradini palleggiate di mano in mano fino a che ogni mamma, ogni sorella, ogn babbo non furono comodamente seduti. Erano passate ore e ore di attesa. Il flusso aveva continuato interminabile; dagli sbocchi sulla via giungeva il brusìo enorme dell'immensa folla dei ritardatari rimasti indietro quando irruppero spiR o siigli alti clamori gli squilli della Marcia Reale e poi subito le note di Giovinezza. Nella tribuna di centro, drappeggiata di ampi panneggiamenti in velluto cremisi sormontati dalla corona imperiale, apparvero il Re Imperatore in uniforme di Maresciallo d'Italia con S. M. la Regina Imperatrice, che indossava un elegante abito grigio ornato di pelliccia, il Duce in uniforme di comandante della Milizia, il Principe Ereditario, la Principessa di Piemonte che vestili» l'abito di crocerossina; e dietro, i Duchi d'Aosta e di Spoleto, il Conte di Torino e i Duchi di Genova, di Pistoia, di Bergamo e di Ancona, Ministri, Collari dell'Annunziata, Marescialli d'Italia, Ambasciatori e addetti militari. La sfilata Qualche minuto si protrasse l'applauso sempre più alto e più fervido poi l'attenzione della follai fu richiamata dall'opposto lato di] via dell'impero; la testa, delle colonne era apparsa in distanza. Dietro uno squadrone di caraibinieri a cavallo, in alta uniforme, il Comandante di Corpo di Armata generale Siciliani, anch'egli comandante di unità in A. O., veniva verso la tribuna reale per pie. sentare a S. M. il Re Imperatore le truppe sfilanti ai suoi ordini. La sfilala ebbe inizio subito dopo. Soli, innanzi a tutti, in divisa coloniale ed elmetto, avanzairono a cavullo, uno a fianco dell'altro, i condottieri Pietro Badoglio conquistatore dell'Impero, Emilio De Bono l'iniziatore dell'impreca e il rivendicatore di Adua. La rfolla li avvolse in un solo palpito dli riconoscenza, in un solo fervido applauso. Fu poi la volta delie forze e delle organizzazioni del .Regime, nerbo della Nazione. Avanzò il labaro del Partito scortato dalla colonna dei Sansepolcrislli, quindi fluttuò nell'aria la foltilssima selva dei gagliardetti federali e quella dei comandi dei Fasci Giovanili di Combattimento sormontati dalle aquile d'oro. Nella pela di quella pittoresca avanzata tli vessilli serici si mise un'altra colonna di bandiere: quelle delile unità che ieri la mano augusta del Re Imperatore decorò sul Vittoriano, lacere bandiere e stìnti gagliardetti che sentirono sulle loro stoffe il soffio della battaglia e che oggi il vento dell'apoteosi avvolge. Seguivano carne una scorta d'onore, gruppo ancora più folto e non meno glorioso, le bandiere e i vessilli di tutte le altre unità dell'Esercito i-ecati da gagliardi alfieri che, nel passaggio dinanzi alla tribuna reale, inchinavano le aste in segno di saluto. Aperta da questo proemio trionfale, la successiva sfilata non fu che un succedersi di splendidi episodi, quasi pagine del gran libro della gloria. Le bandiere erano il simbolo di tutto l'Esercito con le sue glorie le sue tradizioni formidabili, il sccplccnifrdqSFiRbgvirRtg suo superbo passato; i battaglioni che vedemmo poi percuotere in cadenza-Tasfalto della più bella e più augusta, strada d'Itaiia erano l'Esercito nella sua concreta, fisica, vivente realtà attuale: l'Esercito nìelle sue infinite svecialità. nelle sue armi possenti, nelle sue impeccabili divise, nel suo inconfondibile stile di marcia. Passarono innanzi a noi intere divisioni di Fanteria come la bellissima e quadrata Divisione Granatieri di Sardegna, la primogenita della Fanteria nei suoi tre reggimenti, il Pirimo e il Secondo di stanza a Roma, il Terzo di stanza a Viterbo; passarono i gagliardi battaglioni dell'81 Fanteria, della Divisione Cacciatori delle Alpi e le ittita alpine della Divisione Piisteria con in testa il bellissimo 3.0 Reggimento, l'S.o Genio, il 13.o Artiglieria divisionale, e l'&.o Artiglieria di Corpo d'Armata e le Accademie di Fanteria, di Cavalleria, Artiglieria e Genio e le Scuole militari di Roma, Napoli e Milano, e gli Allievi Carabinieri e gli Allievi Guardie di Finanza e i giovani istruttori dell'Accademia di educazione fisica e gli Allievi dell'Accademia navale aeronautica e le scuòle di applicazione di Fanteria, Cavalleria, Artiglieria e Genio. Soldati di ieri e di domani Soldati di ieri e soldati di domani partecipavano alla sfilata: combattenti in elmetto e decorazioni; invalidi in grigio-verde autoportati; giovani fascisti col moschetto a spaU-arm, fiumana gagliarda di esuberanti giovinezze. Poi riprendevano le unità dell'Esercito regolare: un Reggimento di Artiglieria someggiata, un Reggimento di Bersaglieri (il 2.0, trascorso via come un baleno fra il veloce oscillare delle piume al vento), il 4.0 Reggimento Fanteria carristi (rombante corteo di possenti macchine di guerra, strumenti di assalto e di rottura modernissimi) ; quattro magnifiche legioni di Milizia (in testa l'elegante gruppo dei Moschettieri del Duce, nelle uniformi nere); reparti di Milizia speciale, la intera Divisione di polizia, il Reggimento Genova Cavalleria (superbo succedersi di squadroni punteggiati dalle aguzze lance), un Reggimento di Carabinieri a cavallo al cui seguito era il nucleo Carabinieri dell'Egeo, con i piccoli eleganti copricapi a foggia di colbak, un Reggimento di Marina con i fanti del Battaglione di sbarco intitolato a San Marco in ricordo della memorabile difesa di Venezia, e uno squadrone di agenti di Pubblica Sicurezza, un Reggimento di Avieri e reparti di Bersaglieri ciclisti e Militi della Strada sulle rombanti motociclette, e i gruppi controaerei e i pezzi delle artiglierie divisionali trainati e le possenti batterie a lunga gittata a rimorchio dei poderosi trattori. La colonna delle unità metropolitane era chiusa dai reparti chimici, i cui uomini indossavano le maschere antigas, e dalle Crocerossine allineate sugli autocarri nei loro indumenti azzurri, simbolo di gentilezza e di pietà. La Principessa Maria rispondeva col sa- luto romano al saluto romano delle dame. Dopo i reparti aerostieri del Genio, che liberarono proprio dinanzi alla tribuna, reale il volo di due sferici; e le colombaie militari da cui scattarono, frusciando, folti stormi di colombi, fu la volta delle truppe coloniali. I reparti coloniali La colonna era aperta dal Bat taglione Coloniale nazionale e dal Battaglione Lavoratori d'Africa (soldati come gli altri, con in più il piccone sulle spalle) entrambi agli ordini del console Diamanti, già comandante dell'intrepido gruppo Camicie Nere così provato nei combattimenti del fronte Nord. Poi defluirono i più che diecimila soldati eritrei, somali, libici, venuti a Roma per l'occasione; e il quadro è tutto colóri, vivacità, movimento. Gli ufficiali venivano in festa sui piccoli muletti; le colonne delle truppe correvano dietro a passo bersaglieresco su ritmi travolgenti, il fucile a, spall-arm, impugnato dalla canna. Erano zaptiè in uniforme bianca con i corpetti rossi e azzurri e il piccolo fez rosso; ascari con le fasce nere e gialle intorno alla vita e i copricapi conici con i piùmetti colorati; erano artiglieri composti e lenti fra i muletti recanti i pezzi delle batterie e le casse di munizioni; erano i componenti le bande somale, soldati agili e indiavolati, un nastro intorno alla crespa capigliatura, senza scarpe; erano dubat mezzo nudi avanzanti a passo di danza, tutto un fluttuare di fascie bianche fra grida di guerra e clamori di entusiasmo; erano i libici della ferrea divisione Nasi e il gruppo meharisti (dondolante processione sugli alti quadrupedi gli uomini sdraiati sulle schiene gibbose avvolti negli ampi burnus); e savari e zaptiè a cavallo, tutta- una umanità di colori che portava su via dell'Impero un senso di lontananze africane, un respiro di solitudini desertiche, un soffio di vita primitiva. Passando innanzi alla tribuna reale, eritrei e somali impugnavano le canne dei fucili e levavano alte le armi gridando il loro «carrai»; gli arabi salutavano con il loro grido « uled »; quasi tutti avevano le decorazioni della campagna etiopica, molti le insegne al valore militare. Con gli eritrei erano un intero battaglione di soldati amhara con i quali avanzavano, sui piccoli muletti, dei sacerdoti copti avvolti in ampi paludamenti serici, il petto adorno di grosse croci smaltate. A Piazza Venezia Con le truppe indigene la- sfilata, durata oltre tre ore, ebbe termine. Le bande che avevano segnato la cadenza alla marcia dei reparti squillarono le note di attenti. Passarono, in formazioni, bellissime squadriglie di aeroplani. Un applauso si levò fragoroso, breastdmplpsmltnn soverchiante dallo schieramento delle tribune. Il Re, la Regina, i Principi, il Duce lasciarono via dell'Impero. La folla si riversò sulla strada. Una voce corse veloce nell'immensa distesa di folla.: a piazza Venezia, a piazza Venezia. E' una fiumana interminabile in cui confluì tutto il popolo che aveva assistito allo spettacolo dalle tribune e a cui si aggiunse quello che non aveva trovato posto e che aveva atteso la rottura dei cordoni fermo ai mille sbocchi. Una fi»ma-ìno, di oltre 500 mila, persone dilagò per via dell'Impero diretta a piazza Venezia. Presi nella corrente tumultuosa, giungemmo nella piazza che già era piena. Il grido: « Duce, Duce » saliva nell'aria con la violenza di un cataclisma. Nell'anniversario della fondazione dell'Impero, il popolo si era riunito ad acclamare ancora una volta il Fondatore. Le mille impressioni dello spettacolo di potenza a cui aveva assistito ancora tumultuanti, nel suo animo lo spingevano verso il Duce in un empito di riconoscenza e di amore. Il Capo fu richiamato al balcone una, due, cinque, dieci volte, infinite volte. Nessun episodio di questa indimenticabile mattinata eguagliò in potenza quello che concluse in piazza Venezia la spettacolosa sfilata delle truppe. Lo Impero sarebbe poca cosa se popolo non lo sentisse come un patrimonio suo da potenziare, da secondare, accrescere. E che il mpopolo lo senta cosi, lo potè misurare dall'alto di Palazzo Venezia Mussolini, dal fervore incontenibile con cui la folla gli esprimeva il suo animo riconoscente. Come un anno fa, quando l'Impero nacque, così questo anniversario ha rivisto ancora una volta il popolo intorno al Duce. E cosi sempre, domani. E. M. Il Capo parla Un urlo si alzava interminabile quando il Segretario del Partilo ha gridato, con tutta la sua voce: « Camicie Nere! Salutate, nel Du ce, il fondatore dell'Impero! ». Poi, come sempre, ad un cenno del Duce, si faceva il grande e ansioso silenzio dell'attesa. Il Duce dice: Roma Madre e il Popolo di tutta Italia hanno tributato oggi gli onori meritati del trionfo ai soldati ed agli operai nazionali, agli eritrei, ai libici, ai somali che hanno combattuto e vinto la nostra grande guerra africana. La celebrazione del primo annuale del nuovo Impero di Roma si svolge nel legittimo orgoglio e nella piena letizia del Popolo, sotto il triplice, faustissimo segno della Gloria, della Potenza e della Pace. Pace per noi e per hit ti: per tutti se la vorran no e se ascolteranno il monito che sale dalla profonda coscienza e dall'anima del Popolo. E per noi, che vogliamo portare a termine in terra africana la millenaria missione italiana di lavoro e di civiltà. Guidati dal Littorio, e se necessario travolgendo ogni ostacolo presente e futuro — V enorme folla grida: Si! Si! — noi ne abbiamo la coscienza e la volontà — l'adempiremo. I Sovrani, tutti i Principi di Casa Reale, insieme col Duce, assistono dalla tribuna d'onore al superbo spettacolo. ;(Telefoto)' IL. DUCE al balcone di Palazzo Venezia sta per parlare e attende che si plachi l'acclemazlone della moltitudine. (Telefoto).