VITA DI UMBERTO CAGNI

VITA DI UMBERTO CAGNI Un'esistenza avventurosa ed eroica VITA DI UMBERTO CAGNI Con Bòttego nella spedizione di San Marzano « L'indefettibile compagno del Duca degli Abruzzi dal Polo Nord al Ruwenzori -- Dallo strenuo combattimento dei pozzi di Bu Meliana all'occupazione di Pola Bisogna ringraziare Giorgio Pini per la sua Vita di Umberto Cagni (Mondadori, 1937), certo lo scritto biografico più cordiale e più vivo che sia uscito in Italia da un pezzo in qua. La Rochefoucauld, un moralista che non amava gli uomini ma pretendeva conoscerli, lasciò scritto che gli eroi sono come certi quadri, « pour les estimer, il ne faut pas les regarder de irnp près ». Giorgio Pini ha dimostrato che ciò non è vero o, quanto meno, che non è sempre vero: egli è infatti vissuto per mesi, forse per anni, nell'intimità d'un perfettissimo eroe, l'ha seguito, si può dire, giorno per giorno attraverso una lunga vita singolarmente ricca di grandi e nobili azioni, e, non contento d'essere lo storico attento ed efficace di queste, ha piegato la propria attenzione anche sui piccoli fatti e sui piccoli gesti che d'ogni esistenza, sia pure la più grande, costituiscono il tessuto quotidiano. Giovinezza in attesa L'eroe non è uscito diminuito dalla prova: al contrario, la sua figura, che aveva grandeggiato come una statua di semplici forme nel canto dei poeti, s'è arricchita d'una profonda, insospettata umanità, ha rivelato di possedere un'anima soggetta come poche agli entusiasmi e agli scoramenti, docile agli amori e ai rancori, pronta alla dedizione e alla ribellione, e, soprattutto, ha rivelato come il segreto della sua forza risiedesse nell'unità e nella coerenza d'uno spirito sovranamente chiaro ed esatto dinanzi al quale tutti gli eventi si disponevano su un unico piano e proponevano uno stesso problema: quello, noto a ogni buon atleta, di adeguare lo sforzo allo scopo da conseguire; rivelazione, quest'ultima, importantissima, in quanto, se non erriamo, proprio in questo equilibrio che gli consentiva di valutare con fredda chiaroveggenza, e, cioè, senza approssimazioni e senza illusioni, i rischi e le probabilità di successo d'un'impresa, va cercato il segno distintivo della personalità di Umberto Cagni. Certo Cagni è molto lontano dalla figura dell'eroe romantico che, inquieto, insofferente di costrizioni e di limitazioni, vede nell'avventura rischiosa un modo di evadere dal chiuso cerchio della vita « trop quotidienne », di fuggire la marea grigia e opprimente dell'umanità civile e d'affermare in pari tempo la libertà del proprio spirito, da quel tipo d'uomo d'azione, per intenderci, che, sulla fine del secolo scorso, parve trovare la sua più alta personificazione in Vittorio Bòttego, grandissimo e insonne cercatore di terre. Nè questo nome è qui fatto a caso: Bòttego e Cagni, l'uno sottotenente d'artiglieria, l'altro sottotenente di vascello, nel 1887 fecero parte entrambi della spedi zione di San Marzano e conobbero insieme quel lembo di terra africana sul quale la nuova Italia muoveva incertamente i suoi pri mi passi di potenza coloniale. A quell'epoca il futuro ammiraglio era un giovanotto di ventiquattro anni « alto, asciutto, con due occhi chiari penetranti, una breve barbetta appuntita, un'incipiente calvizie, sempre elegante ». Egli aveva già compiuto, come guardiamarina a bordo della pirocorvetta Vcttor Pisani, un viaggio di circumnavigazione durato più di tre anni, fertile in avventure e in insegnamenti, uno di quei viaggi che d'un ragazzo fanno un uomo temprato fisicamente e moralmente. In Africa, dov'erano anche suo padre, il generale Manfredo Cagni, comandante di brigata, e suo fratello Cesare, ufficiale d'artiglieria, era venuto col desiderio e con la speranza di menar le mani, non diversamente da Bòttego, il quale giungeva da una sonnolenta guarnigione della Penisola col senso di dover far qualche cosa — sono parole sue — per « non vivere come un albero ». Ma la spedizione di San Marzano, inviata contro un nemico che sfuggiva il combattimento, ostacolata nella sua azione dalle incertezze del governo di Roma, non potè risolvere, come s'era sperato e come forse avrebbe potuto, la questione africana e dovette rimpatriare senza aver vendicato i Cinquecento di Dogali. Vittorio Bòttego, però, aveva trovata la propria strada. Non cosi Cagni che, verso la metà del 1889, tornò in Italia per imbarcarsi sulla nave-scuola fuochisti Città di Napoli. Infatti, i) destino di Cagni, come osserva giustamente il suo biografo, non fu un destino precoce: quando Bòttego ha già compiuto i due grandi viaggi cui è legata la sua fama e concluso eroicamente labreve e ardente esistenza nel rapido combattimento di Daga Roba, Cagni, si può dire, comincia appena la propria carriera d'esploratore e soltanto tre anni dopo, nel 1900, l'epica marcia sulla banchisa polare che lo porterà a piantare il tricolore d'Italia a 86° 34'49" di lat. Nord, darà al'suo nome una risonanza mondiale. Senza contare che in tutto ciò bisogna fare la debita parte al provvidenziale incontro di Cagni con Luigi di Savoia, il futuro duca degli Abruzzi. Col Duca degli Abruzzi I due uomini ai erano incontrati per la prima volta nel 1889, m Venezia sulla Regia Nave Veapucci, nel momento in cui questa stava per salpare diretta in Oriente. L'incontro, come s'è detto, fu provvidenziale: esso pose di fronte due uomini d'eccezione, nati per concepire e per compiere grandi cose. Il binomio composto dal loro nomi era destinato a durare indissolubile nel tempi. Ma all'epoca della crociera della Vespucci, Luigi di Savoia, di fresco uscito dall'Accademia Navale di Livorno, non aveva che sedici anni. Dovevano passarne altri cinque prima che Cagni potesse diventare suo ufficiale d'ordinanza e suo collaboratore. Ciò, infatti, avvenne nel 1894. La nomina, a quanto pare, non andò senza contrasti: il Re esitava a mettere insieme quei due giovani « che si erano già rivelati temerari e che, esaltandosi a vicenda, avrebbero potuto combinare qualche impre- sa stravagante». Ma la regina Margherita vinse le resistenze e Cagni, che si trovava da mesi e mesi nel Mar Rosso, raggiunse il Principe a Londra senza toccare neppure l'Italia. I sei anni che seguirono superarono per intensità e drammaticità le più ardite aspirazioni del futuro ammiraglio; ma, scriveva egli stesso parlando del Duca, « se sto vicino a lui bisogna bene che viaggi, che giri, che io faccia quello che egli fa e quello che nel suo Interesse io stesso mi credo in dovere di consigliargli ». Il sodalizio di questi due uomini d'azione, entrambi energici e volitivi, non andava esente da urti e da screzi; ma si trattava di semplici incidenti dai quali la loro amicizia usciva più limpida e sicura: in definitiva, ciascun d'essi sentiva che l'altro era per lui il compagno insostituibile. « Non so comprendere » scriveva ancora Cagni nel suo diario « se sono io che porto fortuna al Principe o lui a me. Mille volte me lo, sono chiesto per quella punta di superstizione che fa corpo coi miei difetti ». La « Stella Polare » E' appena necessario, o sbagliamo?, parlare della navigazione della Stella Polare alla baia di Tepliz e della marcia compiuta da Cagni verso il Polo in compagnia delle due guide valdostane Petigax e Fenoillet e dal marinaio ligure Canepa. Chi, ancora bambino, udì parlare della grande avventura artica, e chi, giovinetto o uomo fatto, potè seguirne le drammatiche vicende, rivedrà sem- pre quel piccolo drappello d'uomini quale apparve allora alla sua fantasia e quale lo vide Giovanni Pascoli, in corsa sull' Immane ghiaccia, slmile a « un arido volo di foglie, che piccolo e solo va con la bufera ». L'impresa fu da Cagni condotta a termine a tempo di record: 753 miglia coperte In poco più di tre mesi, con una media giornaliera di marcia quasi doppia di quella raggiunta nel 1895 da Fridtjof Nansen. Lo Scandinavo era giunto a 86314'; il giorno in cui Cagni superò questo limite — 23 aprile 1900 — « il ghiaccio cigolava da tutte le parti e s'inca- valcava, e rumoreggiando ergeva dighe: canali serpeggianti si aprivano e ove altri si richiudevano nuove dighe s'inalzavano ». Mai ) quattro imperterriti esploratori dell'immensità artica avevano veduto « il ghiaccio cosi vivo, cosi palpitante, cosi minaccioso. I cani intimoriti guaivano e si arrestavano », ed essi li spingevano con la voce e affannosamente aiutavano ora una slitta, ora l'altra... Chi, dopo aver letto nella relazione di Cagni questa pagina, potrà dimenticarla? Passione nazionale Nel 1906, con la spedizione al Ruwenzori, si chiude per Cagni il periodo giovanile delle grandi av- a : i i a o n — - venture. D'ora innanzi egli si dedicherà alla Marina italiana, ai problemi della difesa navale, in breve, al suo mestiere di soldato e di marinaio. Nell'ottobre del 1900, al ritorno dall'Artide, ha preso moglie; nel 1901 gli è nata la prima figlia ed è stato promosso capitano di fregata a scelta eccezionale. L'anno del Ruwenzori è capitano di vascello. Ed ecco la guerra libica, lo sbarco e l'occupazione di Tripoli, il combattimento di Bu Meliana, « la battaglia presso la sorgente » cantata da Gabriele d'Annunzio, e la nomina a contrammiraglio per merito di guerra. Qui comincia la seconda parte del libro di Giorgio Pini, quella che ci rivela 11 Cagni meno noto, strenuo assertore della necessità d'un profondo rinnovamento della coscienza e della vita nazionale. Nella grande guerra, egli vide profeticamente il primo passo verso tale rinnovamento. E infatti, nel gennaio del 1918 scriveva a un amico: «La nuova generazio< ne, quella dei tuoi figli che lottano valorosamente al fronte, al gioco in cui la posta è la vita, sarà quella che farà l'Italia grande e prosperosa, gente d'azione e non di chiacchiere, che darà energie nuove e finora sconosciute ai nostri organi direttivi statali. In essa è la mia profonda, illimitata fede d'Italiano... ». A lui personalmente la guerra diede poche soddisfazioni: comandante della divisione incrociatori nell'Adriatico, sperò Invano di poter affrontare in mare aperto la prudentissima flotta austriaca; la grande battaglia, nella quale avrebbe potuto dare intera la misura del suo valore come ammiraglio, gli fu negata. Se ne consolò quando, il 5 novembre 1918, imbarcato sulla Saint Bon, gli fu dato d'entrare per primo nel porto di Pola. H Pini si dilunga molto opportunamente sull'azione italianissima svolta da Cagni, subito dopo l'armistizio, sulla quarta sponda: « a Pola » scrive « la figura acuta dell'ammiraglio grandeggiò agli occhi di tutti come quella di un console imperiale o di un governatore veneziano, pronto a tutto osare, qua si autonomo dal Governo schiavo del Parlamento all'interno e debo le all'estero di fronte alla malevolenza degli alleati ». La carriera militare di Cagni .ini nel 1923; ma egli non cessò _ier questo di dare generosamente .'opera sua alla Patria. Nominato Commissario straordinario, poi Presidente del Consorzio del Porto di Genova, tenne questa carica fino al 1929. In quest'ultimo periodo della sua vita, narra il Pini, gli avveniva a volte, dopo un» giornata di intenso lavoro, nei crepuscoli estivi, di sedere su una panchina di piazza Corvetto, sperso tra i pensionati, i soldati e gli operai. «Là sotto gli alberi della verde piazza ottocentesca si vedeva un distinto signore sedersi in disparte fra il rumore del traffico e le grida dei bambini in ricreazione, e scambiare parole coi vicini, tacendo sempre di sè ». Non sapremmo dirne la ragione, ma tra le infinite immagini di cui la vita di Umberto Cagni è prodiga, questa ultima ci pare la più suggestiva, Cesare Giardini «STELLA POLARE» NELLA MORSA GHIACCI Uno degli ultimi ritratti UMBERTO CAGNI