La leggenda di Giotto

La leggenda di Giotto S' APRE A FIRENZE LA MOSTRA GIOTTESCA La leggenda di Giotto La grande mostra giottesca agli Uff izi che, presente il Re, oggi si inaugura con un'orazione di Ugo Ojetti dando inizio al «Maggio fiorentino » ridona attualità, nel sesto centenario della morte del patriarca della pittura italiana, al- la favola di un Giotto così meraviglioso imitatore della natura da gareggiar con questa nella rappresentazione di tutte le verità ap- parenti del mondo — e alla leggenda di un Giotto che d'un tratto, quasi per miracolo, « inventa » la nuova realtà visiva nell'attimo stesso in cui Cimabue lo scopre, fanciullo, ritrarre sulla levigata pietra le pecore pascenti del suo gregge. Bellissima e antica favola, quella, del « buono imitatore della natura » al quale il Boccaccio scioglieva un inno perchè « molte volte nelle cose da lui fatte si truova che il visivo senso degli uomini vi prese errore, quello credendo esser vero che era dipinto » : massima lode, del resto, che a quei tempi (e per molta gente anche al giorno d'oggi) si potesse fare a un pittore. Suggestiva leggenda, questa, di un Giotto che prodigiosamente apparendo nel cielo dell'arte dove, come costellazioni al tramonto, declinano stanchi i simboli teocratici dell'estetica bizantina, crea dal nulla o dal quasi nulla, per sola intuizione del genio, la pittura moderna, d'un subito quel cielo riempiendo di forze umane, veramente umane la cui potenza sentimentale conferisce però loro immediatamente carattere d'universalità e quindi privilegio di immortalità. Favola e leggenda, ad ogni | modo, che dal Ghiberti al Cennini, dal Villani al Vasari, dal Boccaccio al Poliziano (si ricordi il suo epitaffio inciso in S. Maria del Fiore: Naturae deerat nostrae quod defuit arti) continuarono ad esser trasmesse, come un patrimonio di cultura, di generazione in generazione tenendo vivo fin quasi sull'inizio del nostro secolo il vecchio luogo comune di un Giotto cosi abile falsificatore della natura da far creder vero, appunto, ciò ch'era stato da lui dipinto: falsa visione dell'arte giottesca rimasta immobile per stupefacente forza d'inerzia. U'tt 'è t i Un'attenuante c'è a questa interpretazione taumaturgica delia azione di Giotto sull'arte italiana: un'attenuante che ha un 3uo incanto pittoresco, una sua sottile venatura poetica. Tutti rammentano il grazioso racconto vasariano di Cimabue che andandosene «per sue jbisogne da Fiorenza a Vespigna- jno », trova « Giotto che mentre lejsue pecore pascevano, sopra una lastra piana e pulita con un sasso un poco appuntato ritraeva unapecora di naturale, senza avere imparato modo nessuno di ciò fa- i re da altri che dalla natura», ed : entusiasmato per codeste facoltà: native chiede al contadino Bondo- ; ne di affidargli il figliuolo per far-Ine un grande artista. Che impor- ta che la critica moderna faccia nascer Giotto nel 1267 non a ColleI di Vespignano ma a Firenze nel sestiere di S. Pancrazio, popolo di S. Maria Novella, da un fabbro oriundo dal Mugello? Forse ancor vivo Giotto l'aneddoto a poco a poco baratta la sua troppo esile verità storica con una più legittima verità ideale: il logico, inevitabile trapasso della vecchia arte legata agli antichi schemi ellenistici glorificanti Iddio fuor dalla sfera dei sentimenti umani e impersonata da Cimabue, nel nuovo impeto rappresentativo che il giovane Giotto trae dalle ga gliarde fresche forze naturali, le medesime forze che tra i fremiti del popolo raccolto nella nuova souietà comunale preparano quella morale umanistica cui Masaccio un secolo dopo spalancherà trionfalmente le porte dell'arte. E' questo il clima in cui matura il genio giottesco, e giustifica dunque in certo qual modo la leggenda; ma non è impastoiarsi di positivismo sollevar dubbi intorno ai così detti ■ miracoli dell'arte per porre invece il clima in rapportocol genio, restituendo a questo, co-Isì, prima sradicato dal mondo eI dal suo ambiente, tutta la sua pre-' potente umanità, la sua facoltà disintesi, il suo dono di antiveggen-za, insomma la sua personalitàcompiuta e definita. Lasciamoin disparte, per non venir traJscinati troppo lontano, anche seè al centro d'ogni studio sulla for-mazione giottesca, il problema deirapporti Pietro Cavallini-Giotto• i- « i t /-. i_ , .pei quali lo stesso Cecchi, benchéa malincuore, non può far a me-no di riconoscere « la comune pre-dilezione, nei due artisti, per tipid'intensa plasticità, e il comune ri-flesso dei modelli classici » accen- nando anche a « effettivi traspor ti, da Cavallini a Giotto » : del 1293 sono gli affreschi cavalliniani di S. Cecilia in Trastevere — Giot to aveva allora ventisei anni — e che questi affreschi egli abbia vi sto e certo ammirato accompa gnando a Roma Cimabue sembra oggi fuori dubbio. Accontentiamoci di osservare — non certo per lilimitare ma per elevare anzi la statura di Giotto —- che leggendaria, puramente leggendaria è la sua pretesa apparizione sfolgorante ed in tutto innovatrice in una creduta notte profonda. Innovatore formidabile si: ma in un clima intellettuale propizio ad ascoltare e ad intendere grandi parole concrete ed umane, veritiere e popolari: — in un clima intellettuale fatto ormai cosi fervido e sensibile dal vario intrecciarsi, da Firenze a Siena, da Roma ad Assisi, dell'attività dei maestri, che l'opera del genio si presenta come una forza naturale, come un logico epilogo da tempo atteso. Lo stesso si può dire del suo preteso « verismo », almeno inteso alla Vasari. Il giudizio riassunto nella frase: «il visivo senso degli uomini vi prese errore », non dipese forse, presso i contemporanei medesimi, da un equivoco intorno alle straordinarie e del tutto nuove facoltà evocatrici di Giotto, atte — anche più che a far apparire i suoi dipinti, com'essi credevano, più vivi del vero — a concentrare in pochi atteggiamenti elementari la maggior somma possibile di potenza espressiva dei sentimenti primordiali dell'uomo, di quei sentimenti cioè che sono base ad ogni ulteriore sviluppo psicologico? In questo consiste il vero realismo di Giotto, per cui i contemporanei sbalordirono « quello credendo esser vero che era dipinto », onde sorse la ingenua teoria del « buono imitatore della natura ». In questo, e soltanto in questo, Giotto è paragonabile a Dante: per la facoltà d'entrambi — insuperabile — di sintetizzare l'atto, e nell'atto la rappresentazione che da esso sorge, fino a farne l'esempio unico, il simbolo, il mito. Rli di Gitt lit Realismo di Giotto analizzatore di minuzie veristiche? E i suoi contemporanei senesi, allora, Duccio, Simone Martini, Pietro ed Ambrogio Lorenzetti, il beniamino quest'ultimo, Giotto ancor vivo, del gusto del pubblico ? Si pensi all'Entrata in Gerusalemme di Duccio (1311) nella quale il Berenson ha potuto scorgere erbe, j foglie, rami, cespugli, tutta la naj tura fedelmente riprodotta, precijsata, definita; e si pensi all'Entra- ta in Gerusalemme di Giotto all'Arena di Padova (1305), sempli- !ce al confronto, scarnita, quasi di \ messa, coi suoi due umili gruppi di figure divisi dalla testa bona I ria dell'asinelio, con le torri tropjpo piccole, coi fanciulli spropor ; zionati agli alberi, con la incerta j definizione del lontano! Eppure il verismo miniaturistico di Duccio j resta la concezione di un primitivo, 'mentre la scabra e persin rustica j sintesi di Giotto fa di lui un con¬ temporaneo di tutte le età. Il fatto è che il preteso realista Giotto, quegli che secondo gli antichi faceva creder vero ciò ch'era dipinto, altro non fa che scegliere, semplificare, chiarire per giungere all'infallibile determinazione di gesti ed atti esprimenti ì sentimenti-base della vita dello spirito, a un'essenzialità primigenia e quasi mitica della rappresentazione. Questo è il segreto massimo I dell'arte giottesca, la ragione per o a i r o cui l'artista, liberata la scena da ogni superfluo, concentra ogni suo potere evocativo sulla figura umana per strapparne tutte le confessioni; questa è la straordinaria innovazione ch'egli apportò ai suoi contemporanei, e che infatti apparve meraviglia, la profonda umanità sgorgata tanto dal suo temperamento quanto da un ambiente che chiedeva finalmente il ritorno dell'uomo sulla terra, la liberazione degli affetti dagli schemi convenzionali di un'arte teoIeratica in cui il collettivismo som- - j mcrSeva 1 individualità. e' Perciò l'arte di Giotto procede - Per parole dominanti, quelle che, i con qualunque mezzo, anche i più - I rudl' """porta far risonare alte e à1 poss(:ntl: con ,a 1,nea compositio \aPiu c°nclf che £ilmSe irrcsi" J stibiimente al suo effetto: con la e collocazione delle figure nello spa- C»nr e<Jul lbr.ando *u/Sgrupi1 ^„ V'SrLX a< f" , f*'™ "fj bHA'SLem^0Be .essenziale — si che dopo sei seé coli „, Mperlenza artistica la rap- presentazione plastica della vita -;umana ha ancoyra bis del SUQ i1 esempio, -1 -1 Marziano Bernardi IL BACIO DI GIUDA, particolare della CATTURA DI CRISTO (Giotto: Cappella Scrovegni, a Padova).