«Casanova a Parma» di Alessandro De Stefani al Carignano

«Casanova a Parma» di Alessandro De Stefani al Carignano «Casanova a Parma» di Alessandro De Stefani al Carignano ve occasioni che luogo e circostanrmoao.nvernoe; alla locanda della Posta a Berceto, sugli Apennini. Giacomo Casanova, mentre stanno cambiando i cavalli alla sua « sedia », adocchiata la figlia dell'oste, le scocca frasi galanti e ardite, tentando un piccolo assaggio di seduzione. Marina ci sta. Ed ecco arriva un gruppo di viaggiatori; il signor Jefferson, il conte Paliski, e due donne, una ballerina, Manon Battini, che pare in discreti rapporti con l'inglese, e una certa Agata Corelli, che si dice maritata, e la cui professione è forse più misteriosa di quella di Manon. Altre due donne, dunque, e con Marina fanno tre, offerte ai virtuosismi del Casanova, che, per mantenersi all'altezza di se stesso, si destreggia con la più sopraffina abilità. Parla ad Agata per farsi intendere da Marina, balla con Manon per ingelosire Agata, e insomma le tiene a bada tutte quante. Intanto Jefferson e Paliski si giocano un sacco di zecchini. E così il quadro settecentesco non potrebbe essere più completo: un'osteria tra i monti, viaggiatori che vengono chi sa di dove, avventurieri e ballerine, il gioco, la galanteria, e le flirti¬ ze offrono a chi è più lesto e malizioso. Ma Casanova non approfitta gran che della situazione. Dopo aver destato nelle tre donne vaghi desideri di avventura e d'amore, se ne va con un gesto cavalleresco e quasi sentimentale: dichiara di non essere fatto per dar felicità duratura alle donne, e incarica l'oste di portare a suo nome, all'indomani, tutti i fiori lassù reperibili a Manon. Ma siccome non si è Casanova per niente, cosi all'ultimo momento Agata, avvolta in un mantello, attraversa il buio della scena, e va a prendere posto nella carrozza dell'illustre dongiovanni. Non appena la carrozza si è mossa, si odono le strida di Jefferson. Egli, affezionatissimo a una sua cassetta sempre ben fornita d'oro, ha scoperto d'essere stato derubato; anche Paliski dichiara che gli è stata sottratta una croce preziosa che, per incarico di Sua Santità, avrebbe dovuto portare in dono alla Duchessa di Parma. E tutti si trovano naturalmente d'accordo: il ladro non può essere che il cavaliere fuggitivo. Second'atto. Alla Corte di Parma durante una festa mascherato. Il Duca Filippo, spagnuolo, è piuttosto severo e diciamo musone; la Duchessa, che viene di Francia, è tutta brio, vivacità, e, sotto sotto amoroso languore. LI in mezzo capita il Casanova. E' logico che con quel temperamentino insoddisfatto, irrequieto e romanzesco, la Duchessa possa comprenderlo, e anche con simpatia piuttosto spinta. Il Duca, naturalmente, è assai meno fatto per comprendere queste cose. Sicché quando sul più bello della festa scoppia lo scandalo, il Duca sarà spicciativo e arcigno, e la Duchessa indulgentissima e amabilissima. Lo scandalo è questo: Jefferson — che tutti i personaggi sono a Parma, e più precisamente al ballo di Corte — ha denunciato il furto patito, e Casanova; e il maggiore Bertolan lo sta ricercando. Si sa che si trova li, nelle auguste sale, ma l'identificazione non è facile. Alla Duchessa viene dunque in mente di immischiarsene direttamente; si fa condurre innanzi, lei mascherata, la maschera sulla quale gravano i sospetti, ed è cosi che vengono a trovarsi di fronte la Principessa e l'avventuriero. Casanova e la Duchessa di Parma: duetto coi fiocchi, tra il roseo sentimentale ed il piccante, tra l'etichetta e la monelleria, uno di quei duetti che devono lasciare per sempre una punta di orgoglio nel cuore dell'uomo, e una punta di malinconia in quello della donna. Donna che, pur rispettando le distanze, è subito conquistata. Difaitti quando le cose si complicano per l'intervento di Jefferson in persona, e di Paliski, e di Manon, Casanova avrà nella nobile donna una preziosa alleata. Furto? Casanova ladro di zecchini? Neppure per sogno. Come potete intendere sotto quelle apparenze c'è ben altro, c'è un mistero, che dopo varie emozioni, un duello, e un assassinio, sarà scoperto all'ultimo atto. Ecco qui: quel Jefferson doveva portare al Duca dl Parma un messaggio sigillato del Santo Padre, di cui egli stesso non conosceva la gravità. In quel messaggio si avvertiva il Duca che un attentato era stato organizzato contro la sua augusta persona: attentatore quel conte Paliski, che naturalmente è un finto Paliski. Non staremo a ridirvi tutto ciò che nasce da questa situazione: fatto è che, dopo il ballo In maschera, al mattino, Jefferson viene trovato con il cuore spaccato da un colpo di pugnale. E chi gli ha spaccato il cuore è il finto Paliski, che voleva impadronirsi del documento compromettente, senza tuttavia riuscirvi perchè Casanova, con malizioso strattagemma, se ne era già impadronito prima del delitto. Casanova ha reso cosi un segnalato servizio al Duca, possiamo anzi dire che lo ha salvato, con una serie di galanti e accortissime trovatine di cui non sapremmo se più ammirare la tranquilla arditezza o l'esito fortunato. Poi riparte — malgrado la gratitudine del Duca, malgrado la simpatia della Duchessa — perchè questo è il suo destino di dongiovanni e di avventuriero... Questa commedia di Alessan¬ dro De Stefani incomincia sul tono della galante e pittoresca fantasia e finisce su quello dell'intrico; e l'Autore ha anzi cercato quel genere di curiosità e di emozioni che nasce da un'inchiesta quasi giudiziaria condotta tra casi singolari e contrastanti apparenze. Inquisitore è qui l'accusato stesso, il Casanova; ed è proprio in questo capovolgimento di situazione che si dovrebbe palesare e illustrare il suo smaliziatissimo virtuosismo di avventuriero, di uomo cui tutte le donne, ballerine o duchesse, sono pronte a offrire non foss'altro una tenera complicità. Ma alla commedia, che ha offerto l'occasione a un grazioso spettacolo, è forse mancato ih parte — e soprattutto nella seconda parte — il brio dell'azione, della sorpresa, del colpo di scena; troppe cose sono state riferite con fiorita parola dai personaggi, e previste, o ricostruite, mentre a far spiccare anche meglio l'audacia estrosa dell'avventuroso cavaliere veneziano, avremmo preferito un più serrato gioco di casi e di eventi. Comunque il disegno garbato, i tratti coloriti e pungenti, l'intreccio curioso hanno saputo dare alla rappresentazione la grazia di un divertimento leggiadro. Bella la messa in scena — regia di Anton Giulio Bragaglia, scene di Claudio Conti — e belli i costumi: delizioso quello di Laura Adani nel secondo atto. Gli attori hanno recitato con impegno; il Ricci era un • Casanova elegantemolto disincantato, e un po' languido; l'Adani una civettuola, arguta e ridente Duchessa di Parma; e gli altri, il Brizzolari, il Sabbatini, Ruggero Paoli, Giacomo Almìrante, la Magni, ia Brignone, la Maver, hanno collaborato efficacemente. Il pubblico ha gustato quadri e scenette, ed ha applaudito ad ogni atto. All'ultimo anche l'Autore è stato evocato ripetutamente al proscenio. f. b.

Luoghi citati: Berceto, Francia, Parma