Swinburne

Swinburne Swinburne 1837-1937 Di Algernon Charles Swinburne, che per noi Italiani è soprattutto il poeta dei Songs beforc Sunrisc, solennemente investito da Mazzini della missione di Aedo della Libertà, si celebra molto più volentieri il centenario della nascita che non quello della morte. Poiché tra il vecchio signore sordo che morì di polmonite in una borghese villetta di Putney il io aprile 1909, e il meraviglioso rampollo nato il 5 aprile 1837 daU''ncro' ciò di due nobili stirpi di guerrieri e di cortigiani, gli Swinburne e gli Ashburnham, è passato, si direbbe, il rullo compressore dell' età vittoriana. « Credo che mi concederete che, quando la mia razza si decise infine a produrre un poeta, sarebbe stato, a dir poco, curioso se egli si fosse contentato di scrivere null'altro che inni ed idilli destinati a esser letti da ecclesiastici e da giovinette in oratori e salotti ». Infatti, la prepotenza del sangue illustre e ribelle era troppo gagliarda perchè l'età vittoriana riuscisse a soffocarla o incanalarla di primo acchito. Il blasone degli Swinburne recava il motto : Semel et Sempcr, « Una sola volta, ma per sempre ». Come l'agave, una sola volta la stirpe avrebbe espresso dal suo duro cesto un fiammeo fiore, un poeta, e per una volta sola, e per sempre, il poeta avrebbe sfidato il secolo borghese, con lo scandalo dei Poems and Ballads del 1866. Ma l'età vittoriana avrebbe avuto la sua rivincita. L'anno prima che nascesse il prodigioso fanciullo dalla fiammea chioma in un'aristocratica casa di Belgravia a Londra, era nato da un notaio di paese, in fondo a una provincia (il Norfolk), il predestinato addomesticatore, lo strumento di cui l'età vittoriana si servì per potare e normalizzare il prepotente germoglio di poco decente forma e di troppo vistoso colore. Ed eccoli alla fine del secolo, Theodore Watts-Dunton e Algernon Charles Swinburne, il domatore e la fiera mansuefatta, a crogiolarsi al sole nel suburbano giardino di The Pines, Putney. Affrontati, seduti su seggiole dal dorso traforato di gusto indiano, esattamente collocate nell'erba del praticello allo stesso angolo, vestiti di giacca scura e pantaloni chiari entrambi, ed entrambi recanti in capo il tubino, lo Swinburne e il Watts-Dunton differiscono solo in questo : che il tubino del primo è nero ed ha la falda arcuata, mentre quello dell'altro è grigio ed ha la falda rettilinea e rigonfia; il primo ha la barbetta, il secondo baffi canuti a spazzola ; il primo accavalcia le gambe, l'altro no. Tengon le braccia tra le ginocchia nello stesso modo, e si guardano ; un'altissima siepe perfettamente educata dalle cesoie del giardiniere preclude ogni vista. Così visse gran parte della sua. vita, a un ritmo Tonfante di convalescenziario, il poeta di Dolores e di Anactorìa. Ed è certo penoso confrontare questa fotografia con i quadretto di George Richmond, datato 1843, che ci presenta i" vispo fanciullo in sottanina tra le sorelle Alice e Edith; quella Alice che una fotografia della fine del secolo ci mostrerà zitella di minute fattezze con un pappagallo sul ginocchio, e la donnetta liscia e adunca nel sof fice abito rigonfio, e l'uccello li scio e adunco nel rigonfio più maggio, hanno un'aria di fami glia che sarebbe buffa se non fosse terrificante (accanto, sul tavolino, c'è una statuetta di Saffo con la lira)... Vittoria Re: gina li ha domati tutti, livellati tutti, normalizzati tutti, provinciali e aristocratici, poeti scandalosi e avvocati con velleità letterarie, zitelle e pappagalli : alla fine del secolo han tutti una posa, una cifra, un inconfondibile stampo. Se li metti contro luce, intravedi il volto arcigno, la crestina di velo bianco, e la pettoruta imponenza della vedova di Windsor. Celebriamo, piuttosto che il vecchio signore sordo che ci volge la schiena nel ritratto fin di secolo, il fanciullo in sottanina che ci presenta il volto d'uccelletto un po' grifagno. Non è un volto di bimbo dietro a cui immagineremmo ali di cherubino; ma ancora l'innocente non ha provato alcuna strana eccitazione alla lettura delle torture dei martiri nelle Vite dei Santdi J. P. Neale, e lontano è itempo in cui la Justine del Sade lo manderà in visibilio. E' un vispo bimbetto che saltella, ebbro d'aria di mare, sull'erba della Bonchurch Down nell'isola dWight, e una bimba del suo stes so sangue lo chiama : « Cousin Hadji! ». Più tardi quella bimba scriverà : « Le nostre madrerano sorelle; i nostri padri cu gini in primo grado, e per guste carattere più affini, e per intima amicizia più legati, di moltfratelli; inoltre le nostre nonnpaterne — due sorelle — erano cugine in primo grado alla nostra comune nonna materna ; sic che i nostri padri erano anchcugini in secondo grado dellloro mogli ». E forse la chiavdella peculiare sensibilità dellSwinburne sta tutta in questMorccding, in questo generarrcPpmdcbalspatrdeaqIO nell'ambito dello stesso sangue, fino all'esaurimento e alla sterilità. Non sono ali di cherubino dietro la tcsla del bimbo un po' grifagno, ma delle ali, sì, ce ne sono, ali per distaccarsi dalla terra, in ogni modo, chi sa verso che strano cielo o che abisso. Poiché lo Swinburne, uomo e poeta, non è di questa terra. Come la sua Fedra, egli potrebbe dire : Uom, cho m'Importa di te, del [pudori1.? Io non son dell'avvisò degl'iddìi. Son lor parente, ho strano sanIgue in me, Non a imngine loro o a tua son 1 ratta: Le mie vene pon miete, ond'io con [folle, Ardo e mi volpo contro la mia [carne Per questo... Ed ecco infine perchè colui che la compianta Alice Galimberti chiamo in un libro del 1925 a lui dedicato « l'Aedo d'Italia » lo straniero a cui il nostro Risorgimento ha ispirato forse più poesie che allo stesso Carducci, a cui la bellezza della nostra terra ha dettalo un acceso ditirambo da disgradarne le Laudi dannunziane, è così poco noto e amato tra noi. Se ne è parlato a più riprese; se ne riparlerà in questo centenario; ma i Songs 5 ù , a i o o n s before Sunrise non s'acclimateranno mai fra noi. E' forse l'Italia in essi cantala l'Italia che noi conosciamo, la Liberia per noi invocala dal poela quella stessa per cui combattevano i nostri padri? Tra il brusio dei ritmi orgiastici tentiamo di cogliere una voce che ci tocchi il cuore, tra la cangiante nebbia delle immagini tenfiamo di vedere il volto dell'Italia, della Libertà. E quel volto... è lo slesso volto di donna fatale e crudele di cui lo .Swinburne anelava ad essere the powerless. victiiii. 11 volto che egli cercava Ira le sanguinarie regine dell'antichità, e tra le « consolatrici » di certe case presso Kegent's Park. 1 canti politici dello Swinburne non ci rimandano a una storia del nostro Risorgimento, ma agli Scandales de Londres dèvoués par la Pali Mail Gazette e allo studio di Georges Làfourcade s\i\YAlgolagiùc de Swinburne (in Hippocralc, numeri 3 e 4 de! 1935) ; la figura di Santa Caterina evocata entusiasticamente nel poema su Siena avrà commosso lo Swinburne pel conforto dato in carcere al giovinetto omicida, che in punto di morte la volle dappresso, chiuse le sue nelle bianche mani virgi- nialgar«cmIncslgtssgudhgg ncc, ed ella « in pure mani tolse il capo tronco, e con pure labbra ancor vermiglie baciò le morte labbra » ; e Dio sa quale immagine di dilettazione morbosa ayran suscitato nel poeta le parole di Mazzini sul martirio : « La Fede per la quale uomini così fatti cercano la morte come il giovine l'abbraccio della fidanzata... ». Per questo noi Italiani abbiam sempre inchinato il poeta dei Canti Antelucani, ma abbiam girato largo, sentendo istintivamente che tra le vice ànglais e il nostro Risorgimento non c'era nulla da spartire. E l'epigrafe del poeta resterà per noi quella che egli si scrisse da sè nel carme Oh the Cliffs (del 1879): «Le gioie, gli amori, i travagli da cui gli uomini raccolgono precoci frutti di speranze e di timori, non li ho falli miei ; i miei giorni migliori sono stati come quei leggiadri sterili capricci dell'estate, quegli smarriti scherzi d'acqua che sol guida il vento marinofiocchi d'ebbra spuma, fiori dvie senz'orma, che al loro momento prendono il vento e isole, e quando il vento vuole, iloro momento non è più ». Mario Praz

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