GLICINE FEDELE

GLICINE FEDELE GLICINE FEDELE Forse era morta, benché, a barlumi, si avanzassero, a quando a quando, nella sua mente i ricordi degli anni turbinosi. La fuga di casa, la vita di danzatrice, il fulmine d'una malattia spaventosa, il ritorno in casa. Lo stesso letto di quando era fanciulla, lo stesso balcone alto sui tetti della città!... Da quanto tempo, ora, con il capo abbandonato sui guanciali, riguardava quei tetti? Ed erano gli stessi su cui mille e mille volle si erano posati i suoi occhi di fanciulla? Ma giaceva, poi, davvero così distesa, ed era quello un balcone, e quelli eran tetti? Quei tetti erano bagnati di pioggia o velati da nebbie o asciutti sotto un pallido sole : ora fumavano nei camini, ora scomparivano nel buio. Ma potevano essere cento altre cose : distesa di montagne sotto il maltempo, sabbie del deserto, steppe, immobili strati di nubi basse. Talvolta le sembravano la crosta della luna, crateri di vulcani spenti, fango emergente da paludi. Provava la sensazione di essere lontanissima, e di guardare con un canocchiale. Anche le persone che le si aggiravano intorno venivano, avanzandosi verso di lei, da una profondità grigia che non ^ aveva fondo, e recavano con sè l'inesplicabile qualità di quel grigiore. Le loro parole piombavano pesanti come se, uscite dalle loro bocche, diventassero di metallo, e sprofondassero con tonfi sordi, in pozzi che ne rumoreggiavano. Comprenderne il senso era impossibile, perchè si riferivano a cose d'un mondo al tutto estraneo. Venne un periodo in cui non avverti più nemmeno il fastidio di quei tonfi di parole. Un silenzio d'eternità fu attorno a lei. Era morta, di certo, ora. Ma ecco che un mattino... Mattino? Non era forse la luce del vespero?... Non potè mai saperlo. Per quanto, più tardi, si sforzasse di ricordare, non vi riuscì mai. Gli occhi aperti, che si sapevano morti, perduti alla luce, ricominciarono a vedere. Essi riflettevano, traverso la pupilla, nella retina, qualcosa di vivo, che si attorcigliava attorno ad una delle sbarre di ferro del balcone. Pareva che questo non so che avesse una testina verde che volesse spingersi sempre in su, e ci riusciva, ma con un moto lentissimo, mentre lo stelo si adornava come di alette che rabbrividivano a quando a quando. Certamente l'inverno doveva essere finito, se il balcone rimaneva costantemente aperto. Ma l'ammalata, priva d'ogni possibilità di riflettere, concentrava le energie di cui poteva disporre soltanto sul rampicante dalle alette verdi, e pian piano immedesimava la sua vita con esso, al punto di sentirlo crescere, come se crescesse lei stessa. Traverso questo sentimento, avvertì, di nuovo, il moto delle persone attorno a sè ; perchè fu presa come dal timore che qualcuna d'esse, avvicinandosi all'inferriata del balcone, potesse far male alla tenerezza della pianta. Così, istintivamente, fu spinta ad emettere un grido; tuttavia, come avviene nel sogno, la voce le mancò in gola più volte. Le riuscì proprio quel mattino o quel vespero che rimase imprecisabile nella sua memoria. Di tra le foglie, ecco un fiore di glicine. Le balzò il cuore. Se lo sentì, il cuore, dòpo tanto tempo. Le giunse alla gola. Con le sue orecchie stesse, udì il suo grido, la sua voce. Viva! Era, dunque, viva! L'aria che faceva tremolare il fiore, le giunse al seno scoperto ; per la prima volta, dopo tanto tempo, la sua epidermide si sentì carezzata dall'aria. E aria respirarono le narici sino al profondo petto, recandovi l'odore del mondo, gli effluvi della primavera, gli aliti del cielo che s'imperlava ora di stelle o piuttosto trascolorava, facendole svanire nel principio del giorno. Da quel momento sentì di dormire, sentì di sognare. Il sangue che le scorreva nelle vene le divenne fresco come acqua di ruscello. Quando si svegliò, cominciò a capire il linguaggio degli uomini. — Come stai, Anna? — Stai bene ora? — E' vero che ci riconosci? — Chiamaci per nome. — Sono la mamma, non mi vedi ? — Sono tua sorella Bianca. — Ed io sono Lidia. — Ed io Lisa. Ma l'ammalata continuava a guardare l'inferriata, intorno a cui il glicine, attorcigliandosi, esprimeva la sua tenerezza con la nota vivace del suo fiore. Apriva le narici l'ammalata ed aspirava forte. — L'ha visto ! Ha visto il fiore — esclamò Lidia. — Ne aspira il profumo! E' salva ! E' salva ! — disse, felice, Bianca.- ldcznLatcprdLIapfadfeglrptgcdmcsQpaetgdtldtgumemrdmsntgmvmdsuddvgdcopmrllvdlca Ma la madre, per la quale l'ammalata era la pecorella smarrita tornata all'ovile, non lasciò sfuggirsi l'occasione propizia. Si curvò sulla figlia distesa, la fissò negli occhi : — Sai di chi è la pianta? chi l'ha fatta crescere dal balcone di sotto fin quassù? Non ti ricordi più di Lorenzetlo? Lorenzetto che giocava con te e suonava il flauto per farti piacere? Lorenzetto ha aspettato. Ha aspettato con tanta fede, con tanta pazienza ! Quando noi di casa, dubitavamo se vederti mai più, egli ripeteva : « No, tornerà!». Lorenzetto! Te ne ricordi? E' suo il glicine. Lui l'ha fatto crescere, l'ha guidato fin quassù !... Gli occhi dell'inferma vagano nel vuoto, come cercando un'immagine. E, nella ricerca, esprimono una crescente ansietà. Quand'ecco, d'improvviso, vellutato, morbido, giunge dal balcone di sotto il suono d'un flauto. L'inferma ascolta. Nè la madre, ne le sorelle fiatano più. E, d'un tratto, l'inferma ha un sussulto. Ha trovato l'immagine che cercava. — Lorenzetto — mormora — Lorenzetto Poi s'abbandona con un sorriso di beatitudine. Rosso di San Secondo

Persone citate: Lorenzetto