MARTINI E LA SCULTURA di Marziano Bernardi

MARTINI E LA SCULTURA MARTINI E LA SCULTURA Dopo quasi ventanni che si discute d'Arturo Martini — e chi lo esalta e chi lo abbassa, chi 10 dichiara il più originale plastico dell'Italia moderna e chi addirittura lo accusa d'essere un plagiario di forme arcaiche — si finisce a doversi convincere che, contrariamente ad ogni ostentazione rozza dell'uomo e malgrado la rudimentalità della sua cultura più intuita che metodicamente assimilata, al fondamento di queir ispirazione poetica che con la varietà e l'imprevisto delle sue espressioni par fatta apposta per sconcertare gli ingenui, sta un'indole di carattere schiettamente intellettualistico. Se uno dei compiti (oggi dimenticato) della critica è lo sforzarsi di giungere a definizioni il più possibile semplici e di individuare fra apparenze confuse e spesso contradittorie le ragioni essenziali di un fatto artistico, diremo che 11 « problema Martini » è più un problema di intelligenza e di gusto che non di vera e propria scultura, e tanto meno di tecnica scultoria ; e che lo straordinario fascino ch'egli ha esercitato e tuttora esercita su molti giova ni è di natura soprattutto letteraria : dato che sempre i giovani, a qualunque arte si dedichino, sono specialmente sensibili alle suggestioni e ai richiami di ciò che in un'opera o in più opere meno è inerente e vincolato allo specifico modo espressivo di esse, ed in vana misura questo trascende per sublimarsi in quanto genericamente ed anche impropriamente si dice « poesia ». E' il loro entusiasmo che li muove a simili generose e sommarie ammirazioni : ed è noto che l'entusiasmo si basa su motivi ideali e non pratici, nella pratica considerando anche il « mestiere » dell'arte. Cosi avvenne che quando quattr'anni fa Martini scolpì il Tobiolo, stupendo esempio di valori plastici immuni da polemica, pezzo di formidabile realtà anatomica portata al massimo studio delle muscolature frementi sotto l'epidermide tesa su tutto il corpo miracolosamente giovine, luminoso, gioioso di sole e di vento marino, fu quasi una delusione e un rammarico tra le folte schiere dei martinlsti ad oltranza. I più fedeli sussurrarono rimproveri d'aver voluto il maestro rifar Gemito e gli scultori ellenistici e come a un'ancora di salvezza s'appigliarono alla testa della statua, rimasta ancora arcaica, meno veristicamente precisata e perciò ancora — dicevano — espressiva e quindi per fortuna « alla Martini » ; i puri, gli intransigenti lo considerarono invece ormai perduto « alla causa » e recisamente lo rinnegarono senza attendere a pentirsi il canto del gallo. Sconcertati, comunque, restarono tutti quanti ; e non s'accorsero che lo scultore, sazio per un momento delle ben note e forse troppe stilizzazioni, ed anche più sazio delle innumerevoli imitazioni, aveva voluto battere tutti i facili proseliti su un terreno inatteso e sul quale egli solo, fra tutti costoro, poteva muoversi da padrone, abbandonando loro il campicelo fiorito della così detta « poesia » : il terreno d'una abilita manuale prodigiosa, d'una perizia di mestiere inarrivabile. Fu il necessario sfogo di un artista giunto a piena maturità, la dichiarazione — contro quanti dubitavano delle sue capacità tecniche — del suo diritto ad agire altrimenti, ad arrivare alla scultura anche per via di sole allusioni, a continuare a camminare sul filo teso dello stile e del gusto, sfuggendo con diabolica unaziosi di vasdopoin promisugdadicsplromquvovastofarsuchteme cpeNapoo tulecmaMmalnee challe nostgimtacolotiladalachdetee susppecha nimessttapomresusipnagreduglispdastuzia da un lato all'insidia letteraria, dall'altro all'equivoco artistico di un puro e semplice plasticismo. Il Tobiolo rimase dunque un episodio; allo stesso modo che un episodio fu probabilmente per Martini il periodo dei « Valori plastici > quando aderì a quel movimento che, sotto il nome di Masaccio e di Pier della Francesca, s'iniziava a Roma subito dopo la guerra, e del quale per lui sono oggi documenti sorpassati alcuni busti di diciassette o diciott'anni fa con cui anch'egli andava ricercando il segreto dei volumi, il peso delle masse, l'impianto insomma e la sostanza della scultura: esperimenti, assaggi utilissimi alla formazione dei singoli artisti ed al ritrovamento, in genere, dei valori più propri — appunto — della plastica ; ma esperimenti e assaggi e non autentico raggiungimento d'opere; e guai al Martini s'egli, dopo averli sfruttati per quel tanto che gli serviva e che diede poi corpo al suo modellato, non li avesse decisamente rifiutati. Quasi certamente ciò che salvò Martini dal frigido indugiare in quelle forme lontane dalla vita o tutt'al più artificiosamente animate da spunti polemici che per troppi scultori (e pittori) seguitarono a rimanere legge artistica anche quando superate eran le ragioni della polemica (ma la polemica ad oltranza è in arte ciò che le droghe eccitanti sono per i fisiologicamente deboli), fu la sua accesa sensualità, il suo senso di tiochsliuinl'sdznbilccbnmdramcfialedpgsdcrmèznlpd e è u a l o l i e a i i o i o i a e o r e i e li a o il e n à, nà d a le iel ca una araldica, impennala decorazione onde il guizzo della linea si fa per lui motivo essenziale di espressione plastica ; e quel vasto, diffuso, corale lirismo che domina la folla delle immagini poetiche che spesso raggiungono in Martini il carattere di vera e propria scultura e talvolta si limitano invece quasi soltanto a suggerimenti. In questo consiste quel fondamento intellettualistico che dicevamo. Arcaismo etrusco, splendore ellenico, gravezza romanica, nervosa concisione quattrocentesca toscana sono le voci più sonore e nette che trovan eco nella scultura di questo moderno che non esita a farsi un animo antico quando la sua ispirazione lo richieda perchè sa che in arte le distanze temporali non hanno significato e che l'aura che circola a Pompei o nel Museo nazionale di Napoli può dare ossigeno ai polmoni di chi crede in Maillol o in Despiau. Ma è un intellettualismo ardente e — se così è lecito dire — emotivamente romantico, che mentre permette a Martini di assimilare originalmente quelle forme, gli concede altresì di superarle in una visione prepotentemente sua, tipica e autoritaria. Di fronte a questa sensualità che sfrutta una cultura più che altro intuitiva, la materia, nelle mani dello scultore che hanno il segreto di una felicità plastica ineguagliabile, diventa un gioco prestigioso che può permettersi gli azzardi più audaci : tanto audaci che talvolta il gioco si scopre troppo e si ha a lora, in Martini stesso, il martiitismo ; la cifra dei visi a palla con le rimproverate bocche da pesce c con gli occhi ad asola, la stilizzazione forse soverchia, quell'insistenza nel chiudere il ritmo delle linee mediante saldature assurde fra corpo e corpo delle composizioni — supremi arbitrii decorativi, ma splendidi arbitrii —, quel modo persino irritante di stirar le chiome femminili dietro la nuca a guisa di manichi. Tutto ciò ha costituito la maniera: quella ch'era comodo imitare, perchè son sempre le esuberanze, gli eccessi di uno stile — legittimi soltanto in chi tale stile ha creato — a far colpo su quelli che nascono e muoiono discepoli. Ma la differenza è che in Martini questa sua maniera è un mezzo espressivo che gli concede effetti sorprendenti perchè, da inventore, ne conosce tutti i segreti. Con agilità da funambolo può passare dalla rudimentalità possente d'una figura appena sbozzata in una gran pietra alla indicibile gentilezza d'una Visitazione delineata con sobrietà di tocchi spettacolosa, dal sublime furore d un Ulisse che impreca ai vencontrari, alla animalesca, deneteil faemprgnquziCoteinpea stditirevedecommptrsolUItco ce se so ado do ter ti omerica voracità d'un porcaro che fiuta la carne bestiale e quasi in sè ne trasfonde la bestialità, dallo scattante incedere di un'arguta nitida Vittoria, alla infrangibile unione lineare dell'Ercole che atterra il leone, destinato da Mussolini alla piazza di Addis Abeba, dalla perfezione davvero ellenistica del nudo atleta che delle sue membra fa molla per saettare verso il traguardo, alla sintesi plastica, al voluminismo cubista d'un colono che riposa appoggiato al bove. Ch'egli abbozzi o che definisca, che deformi o realisticamente precisi, che ci dia il senso di peso d'una pietra tombale romanica o che osi — terribile ardimento — rappresentarci col martirio di Minniti la più macabra ed insieme tragica delle figurazioni, sempre in lui vigila, anche quando sembra violare i limiti delle possibilità scultorie e le leggi stesse più autentiche della plastica, quel senso vasto e possente d'una poesia che pare giungergli dalle stesse misteriose sorgenti dell'arte e nutrirsi da quelle origini ad oggi, di secolari e multiformi esperienze. Marziano Bernardi pluvmmrfcDmdcfv

Persone citate: Arturo Martini, Maillol, Minniti, Mussolini

Luoghi citati: Addis Abeba, Italia, Napoli, Pompei, Roma