L'ultimo saluto di Cirene

L'ultimo saluto di Cirene L'ultimo saluto di Cirene Da Denta,a Barce il Duce, per- correndo l'opima disto»/! del GebelUche, a seicento metiii sul livellotdel mare ha la verdeggiante ca-,ratterisfica del nostro ApenninoAità avuto sotto l'occhio esperto il\quadro ormai perfettamente còni- posto delle possibilità terriere di \questa zona sulla quale aleggiai ancora là spirito sereno di Luigi-Razza, che de finirei il «reggente ^delle messi ». [Diretto appunto al villaggio Lui-igi Razza, il Duce ha lasciato Ci-]rene. La Litoranea si svolge fra distese verdi, frequenti di pascoli, verso l'altipiano del Gebel. Poco fuori Cirene si sono adunali tutti gli arabi, in attendamenti lungo la strada, che ripetono al Duce' l'entusiastico saluto che ancora si udiva ieri sera. Lo spettàcolo di queste cabile alla tenda, che fiancheggiano come villaggi nomadi il cammino del Duce, è magnifico. All'improvviso, ai margini della- vastissima spianata si vede avanzare una rapida striscia bianca, che di mano in mano si discerné e si distingue: sono cavalieri del Gcbcl, che calano in velocissima cavalcata sui magri cavalli nitrenti, con gli ampi baraccarti abbandonati al vento della corsa.. Passano tonatisi al Duce turbinando in audacissime fantasie, alzando alti sul capo i moschetti che scaricano e caricano galoppando. Tra il picelicttio della- fucileria, si ode il grido acuto di guerra dei cavalieri, i quali caricano staffa a staffa. Due, tre volte compiendo velocissimi cerchi, la cavalcata passa fantasticamente inumisi al Duce. Un cavaliere grida in italiano: «Viva il Duce! », e subito s'alzano cento «Duce! Duce!», mentre più fitta crepita la fucileria sopra il rimbombo cupo della galoppata. E quando il Duce, risalito in automobile, riprende la corsa, per lungo tratto, ritti in arcione sui cavalli in piif rapido galoppo, lo se guano i cavalieri del Gebel, poi dispaiono dietro un'altura. Il Duce raggiunge il villaggio Luigi Razza alle ore dieci. Sempre più fresca e verde appare la Cirenaica nel succedersi di piani e ripiani. Il villaggio sorse nel 1033, ideato e voluto ,da Luigi Razza ed ebbe nome « Primavera», nella zona Gcbcl Achdar, rinomatissima per la sua fertilità anche ai tempi del dominio della- Grecia e di Roma. Rovine, vestigia, orme di fattorie e di opere agricole di Zontaniss imi tempi si vedono frequenti e s'inquadrano entro la cornice fastosa, disegnata dalle monumentali tombe della necropoli. E per tutta la zona corrono fresche e copiose le acque della fonte « Messa », captata due anni or sono. Quando Luigi Razza cadde sulla via dell'Impero, il villaggio mutò nome e venne consacrato a memoria perenne dell'infaticabile assiduo pioniere della valorizzazione agricola coloniale. Ottanta famiglie abitano il villaggio. Sono 627 persone. Ma atamanc, anche dalle più lontane case deiU'altipiano del Gebel, sono venuti i coloni su capaci carri trainati da vigorosissimi btioi e i carri sono leggiadramente adorni di verde e di fiori multicolori e ricolmi dei prodotti del luogo; ortaglie, grano e vino, Tutto il fertilissimo borgo, che in un solo-anno registra trentasei matrimoni e sessantasei nati, e [che quest'anno ha prodotto seimt- lo quintali di grano è intorno al Duce. , Ai Villaggio' Luigi Razza Il villaggio è fatto a fpnna circolare, formato dalle costruzioni della scuola, della ■ Casa del Fascio, dall'ospedaletto, dall'ufficio delle Poste e Telegrafi, dalla. Caserma dei carabinieri, che allacciano al. centro la-bella chiesa, sormontata dal campanile, arricchito da due ali di archi o da una gradinata marmorea che sate al pronao. Tutta la popolazione è schierata attorno alla, piazza al centro della quale zampilla- una fontana I coloni sono venuti con ì loro carri trascinati da buoi possenti e dalle immense corna lunate; su ogni carro biondeggiano le messi e i cereali, e lustrano le frutta, e verdeggiano gli ortaggi. Il Duce passa davanti a questa opulenta manifestazione osservando Intensamente, da buon intenditore, i frutti della terra circostante che si allarga fino all'orizzonte ricca di alberi e di vigneti. Le macch.ne agricole, lucide e possenti, come macchine da guerra, sono radunate in un angolo della piazza e lasciano il posto, vicino ad esse, ai più bei prodotti di questa nostra italica gente: ad una fitta schiera di piccole Italia, ne e di giovani fascisti e di gagliardi avanguardisti nelle loro tradizionali divise. Terminata la rivista « agricola » il Duce sale su una pedana, immediatamente posta davanti alla fontana, fronteggiante la chiesa ed ascolta la Messa che il parroco celebra sul pronao. Dietro l'altare, fa da sfondo, la bandiera Italiana. Abbiamo raccolto nell'occhio dì più di un colono una la erimn di gioia e di commozione durante il mistico c divino sacrificio, che il Duce ha seguito con pio raccoglimento. Forse è stato questo c forse sarà l'unico attimo di silenzio con il quale la Libia Ita voluto esprimere al Duce la sua profonda religiosità, la sua fede, nel lavoro, nella Patria, in Dio. Terminata la Messa, il parroco del villaggio legge la preghiera per il Re Imperatore, al termine della quale tutta la folla alza il grido di « Viva il Re! ». Il Duce inizia poi la visita negli edifici, recandosi prima alla Casa del Fascio, ove osserva la mostra dei prodotti del luogo; di qui, uscendo ascolta l'Inno a Roma, intonato dalle Piccole Italiane e dai Balilla, che hanno tutti a i i un aspetto saluberrimo, imbruniti dal sole e dal vento dell'altopiano e del mare. Molto si compiace anelile per l'attrezzatura tecnica ed igienica delle scuole. Ritornato nella piazza, dove si è frattanto radunato il popolo dei coloni, egli sale sopra una trattrice ed accol-\ to da un appassionato applauso^ dice: « Camerati coloni, vivete e lavorate tranquilli e sicuri, voi, le vostre donne, i vostri figli. Roma imperiale e fascista vi segue, vi ama, vi protegge ed in ogni circostanza vi proteggerà ». Cessato il nuovo grande applauso, che ha salutato il suo breve discorso, il Duce scende dalla trattrice e si pone al margine della strada d'ingresso del villaggio, di qui assistendo alla sfilata dei carri. Sono cinquanta e sopra un frontale di archi verdi è il ritratto del Duce e su ciascuno sta l'intera famiglia, del colono e si vedono piccolissimi bimbi di pochi mesi protesi da lietissime madri; e non c'è volto che non esprima lietezza, salute, serenità e il grido « Duce! » domina ininterrotto. Le genti convenute a Barce Quindi, il Duce, fra, rinnovate manifestazioni di entusiasmo, riparte verso Barce. Superato il « Torrente delle Caverne », Audi El Cuf, clic prende il nome dalle innumerevoli caverne che perforano alti dirupi di natura calcarea e nei lontani tempi teatro di combattimenti, la Litoranea si svolge in un panorama sempre verde. Barce è cento chilometri distante. Fondata dai Greci esuli da Cirene nel sesto secolo avanti Cristo, fu centro di una fertilissima zona. La moderna cittadina è sede di commissariato ed è compiutamente attrezzata alla vita agricola; possiede- scuole, mercati, ufficio postale e telegrafico, ambula-', torio, Casa del Fascio. Man mano che si procede verso | la città, si Incontrano innumeri, foltissimi greggi di pecore 3 capre, immobili e compatti come plotoni,! con alla testa i pastori che salutano romanamente. Sono migliala | e migliaia, e si succedono per chi-j lometri e.chilometri, poderosa sé-' colare ricchezza indìgena. Presso I i greggi sono le tende delle cabile-, \ donde sgusciano gli indigeni e fan- j no alla- corsa del Duce una fc- ; stante ala di gesti e di grida. A quattordici chilometri eia Barce, del tutto superato l'altipiano,] appare fertilissima la pianura eo-j sparsa di bianche case coloniche,] nel mezzo di vastissime distese di grano già alto, e tagliata dal ret-\ tifilo della strada. Il Duce giunge a Barce alle ore 12. Se si potesse, io direi che Barce è l'ultima e più solenne sfida gettata alla zona desertica chesotto la bella cittadina del Gcbcll si distende. La carovana àel Capai del Governo discende dall'alt /piano su Barce, tuffandosi come in un'onda di umanità felice: una \ marea di bonini con sonagli dissimula per un momento lo schieramento degli uomini." metropoli-] toni e indigeni locali e mnssulmani fiancheggiano la strada prin- j cipale, dominata dalla patetica] semplicità del campanile della no-] atra chiesa. Tra i cespugli fiam-\ meggiano fochcrclli accesi davan-ì ti alle tende dei nomadi e volano] leggermente le fitte variopinte delle donne. Sono genti delle lontane cabile di Dorsa Bu Aerina; di Baracla Agaib; di Ahmcd; sono costieri Bagsar e Messati; sono popolazioni Anaghir-Itana e Abid-Mcssau, di Gerdcs; sono quattrocento libici venuti fuori dalle grotte di Tolemaidc, sono insomma l'espressione dell'umanità islamica della Cirenaica tutta concentrata e inquadrata da milleduecento coloni italiani che fanno rombare all'arrivo del Duce, i motori possenti di cinquanta trattrici allineate sul viale Regina Eleva che hanno trasportato, quest'anno, migliaia e migliaia di quintali di grano dai campi ai magazzini di Barce. La macchina del Duce che per poco non è travolta dall'entusiasmo incontenibile di tutta questa folla — non abbiamo forse visto un gruppo di Gal, cioè di giovani arabi littori appendersi alle spalle del Duce che sorridente lasciava che facessero? — arriva stetttatamenite al Comando del Presidio salutata dalla compagnia d'onore che gli presenta le armi e alla quale sono affiancati trenta sciumbasci ormati di moschétto c altrettanti balilla. Fra tutta questa folla smuoven tesi come una marea ecco una zona ferma e immobile, fiera e orgogliosa davanti alla quale il Duce prima di entrare al Comando rivolge specialmente la sua atten zione: sono i combattenti decorati e mutilati libici che parteciparono alla guerra etiopica. Il Duce si indugia dinanzi ad uno di essi che reca i segni di cinque ferite, due medaglie d'argento e due di bronzo dicendogli parole di compiacimento, che commuovono il fiero volto del guerriero.