'600 e '700 Piemontese

'600 e '700 Piemontese In vista della grande Mostra '600 e '700 Piemontese Oggi il Podestà riceverà in Pa lazzo Carignano i rappresentati' ti dei giornali, li accompagnerà in una visita alla Palazzina di Stupinigi, illustrerà loro il programma, l'ordinamento, gli scopi della prossima mostra del Seicento e Settecento piemontese. Ma anche fuori della contingenza cronistica e delle comunicazioni di carattere ufficiale, crediamo giunto il momento di richiamare l'attenzione dei torinesi sull'importanza grandissima che nei riguardi della cultura artistica potrà avere la mostra grandiosa alla quale si è finora accennato soltanto attraverso le prime informazioni della Podesteria. Importanza grandissima: nella storto dell'arte italiana, ma. soprattutto in quella della manifestazione dello spirito artistico piemontese durante due secoli di eccezionale ricchezza creativa. Per il Piemonte, infatti, una simile rassegna è di ben diverso valore di quello che potrebbe avere per le altre regioni italiane. Quando a Venezia nel 1929 si allestì la memorabile mostra del « Settecento Italiano », il Piemonte diede un contributo larghissimo, fors'anche, in un certo senso, vi tenne un primato. Ma per la Lombardia o per il Veneto, per le Marche, l'Umbria, la Toscana, il Lazio od il Napoletano o la Sicilia, quei deliziosi messaggi che tutti ammirammo come la espressione della raffinatezza estetica più squisita erano, diciamo così, un episodio della vita artistica di quelle terre italiane la cui maggior gloria d'arte non può essere limitata no a questo, ne al precedente secolo, ma splende attraverso un ciclo di molto più vasto. Per il Piemonte invece Seicento e Settecento significano vitalità piena, prorompere magnifico di tutte le correnti della, cultura e dell'arte, grandioso dilatarsi dello spirito nel tempo veramente propizio, per forza e splendore di governo, per concomitanza di circostanze storiche, sì da, toccare un culmine — nella totalità e non nella particolarità delle manifestazioni artistiche — mai certo prima raggiunto ed in seguito non più, sfiorato. Sì potrebbe affermare che quell'esplodere stupendo dell'intelligenza in Piemonte durante i secoli XVII e XVIII.altro non sia che un preannunzio, meglio, un presagio, del compito che al Piemonte, nel successivo Ottocento, sarebbe toccato di affrontare e di condurre a termine nella rinascita del sentimento nazionale, nella riscossa per l'indipendenza italiana. A parte infatti quella rigogliosa e non abbastanza conosciuta scuola pittorica che si afferma in Piemonte già nella, mima metà del Quattrocento col Beltramo, col Jaquerio e con altri e si protende attraverso lo Spanzolti, il Giovenone, Defendente Ferrari fino al grandissimo Gaudenzio Ferrari, la più genuina gloria artistica piemontese coincide con l'epoca grosso modo definita barocca. Poco o nulla sentita qui, pei- circostanze molteplici, la Rinascenza, se si pensa che l'unico notevole monumento torinese del Rinascimento è il Duomo, di schema albertiano, su disegni di Meo del Caprina o di Baccio Pontclli. Ma non appena le forme artistiche che, con la Controriforma, a Roma ed altrove maturano, accennano anche da noi, ecco un Ascanio Vittozzi orvietano aprir la strada ai due Castellamontc, ecco il Guarini, il Baroncelli, il Lanfranchi preparare quel clima estetico che troverà la sua più pienaespressione nell'opera del grandissimo Juvarra, seguito poi dagli Alfieri, dai Planteri, dai Vittone. dai Dellala di Beinasco e via dicendo. E' l'epoca in cui le forme rinascimentali, poco capite e rozzamente assimilate dai Piemontesi, si evolvono — nel mobile, nell'arredo, nella decorazione, nell'intaglio — in quelle squisite apparizioni che recano le firme dei Botto, dei Morello, più tardi dei La Vaile, dei Plura, dei Bolgierì, dei Marocco, dei Bosso, per raggiungere il sommo del magistero artistico con ^Pietro Pif fotti, ed infine seguono il gusto dei tempi coi Galletti,, coi Ravelli, coi Vaglio, coi Varale, coi Tantardini, coi Coscia, coi Cametli, finché Giuseppe Maria Bonzanigo ed Ignazio Ravelli, affacciandosi all'Ottocento spengono il rococò nel neoclassico. Mirabilmente splendono le ceramiche (basti ricordar Vinovo, basti citare Vittorio Amedeo Gioanetti); la scultura si raffina tanto da sboccare negli esemplari insigni dei Collino; ma intanto una scuola pittorica, folta ed attiva, se pure non tocca più le altezze dei nostri quattro e cinquecentisti, provvede largamente e dignitosamente ai bisogni decorativi del tempo. Nella mostra del 1933 in Palazzo Pitti, che fu un panorama vastissimo della pittura italiana del Sei e Settecento, e riuscì una vera e propria rivelazione, di piemontesi c'erano il Moncalvo, il Cerano, il Beaumont, il Guidobono (savonese ma torinese d'elezione), Vittorio Amedeo Cignaroli, l'Olivero, Bernardino Galliari, il Rapous, il Tanzio da Varallo. Era una nobile rappresentanza; ma solo una rappresentanza. Potranno mancare questa primavera, nella mostra torinese, fra sculture dei Plura, dei Bernero, dei Clemente, del Ladatte, le tele di quell'interessantissimo e divertente descrittore della vita e dei costumi cittadini che fu il Graneri, il pittore del mercato in Piazza S. Carlo, delle fiere nei sobborghi, delle processioni, dei fasti e dei lutti torinesi? Un breve accenno, quest'oggi, e nulla più, ad una mostra che, ingegno e fortuna aiutando (e .generosità, anche, dei collezionisti)potrà riuscire di un interesse straordinario, una esaltazione splendida dell'epoca aurea dell'attività artistica piemontese. Formuliamo tre auguri: uno per il successo, anche turistico, della manifestazione; un altro, che non ci si dimentichi che al 35 aprile s'apre a Venezia la mostra del Tintoretto e pure alla fine d'aprile la mostra di Giotto e dei Giotteschi a Firenze, e che sarebbe bene evitare coincidenze che distraggono il pubblico e mettono negli impicci critici e giornali; e il terzo è che questa mostra non risulti soltanto attraente, allettante per i visitatori, ma utile alla cultura: nel senso che attraverso le opere esposte si possa leggere (e magari anche scrivere), si la storio del mobile, dell'arredo, e forse dell'architettura, ma anche la storia della pittura e della scultura d'I tei e Settecento in Piemonta, mar. ber.