IL RIBELLE SABRE' MARIANI ucciso in combattimento

IL RIBELLE SABRE' MARIANI ucciso in combattimento IL RIBELLE SABRE' MARIANI ucciso in combattimento Beienè Mered e altri capi, che si erano sottomessi e poi avevano tradito, catturati e passati per le armi Il Maresciallo Graziani e il generale Liolta migliorano Le colonne Natale e Tucci nella regione dei laghi ADDIS ABEBA, 22 notte. Nel combattimento sostenuto il 20 corrente dalle truppe delle colonne Natale e Tucci nella regione dei laghi è rimasto ucciso il degiac Cabrè Mariani che comandava le forze ribelli. Il degiac Beienè Mered e gli altri capi catturati nel combattimento stesso sono stati immediatamente passati per le armi. La fine di un traditore Con l'epurazione effettuata dalie colonne Natale e Tucci si conchiude un. altro episodio della lotta intrapresa dalle armi italiane! ccontro le residue manifestazioni pdei banditismo etiopico. E' una i taGLml'pcaaLnscdHfttleisssiinlotta che non ,ha tanto per fine la difesa di una sovranità italiana, che non ha più nulla- da temere dalle gesta di una masnada di fuori legge, quanto 'la tutela della tranquillità e il benessere delle stesse popolazioni abissine contro cui si accaniva il bieco furore dei vinti spergiuri. Gabrè Mariam, antico governatore di Harrar, era un traditore. Egli aveva mancato al giuramento di sottomissione e la morte che lo ha colto fuggiasco è stata opera della giustizia di Roma. La sua fine priva Ras Desta di uno dei consiglieri più sinistri e di una delle volontà più salde del suo seguito. Ormai, anche per lo sconfitto di Neghelli, la resa dei conti non può essere lontana. Insidie e provocazioni La morte di Gabrè Mariam segna la scomparsa di uno dei più insidiosi e accaniti nemici dell'Italia in Africa Orientale e, al tempo stesso, come abbiamo detto, la fine di un traditore. Egli ha par gato con la vita una lunga serie di spavalderie, di provocazioni, di agguati contro i nostri e, per ultimo, il tradimento. Gabrè Mariam — non va dimenticato — fu il primo capo abissino che marciò armato contro gli italiani quando i rapporti tra l'Italia ed il governo etiopico di allora erano, almeno formalmente, di buon vicinato. Il suo accanimento contro l'Italia derivò in gran parte dall'insuccesso che concluse quasi tutte le sue imprese. Negli scorsi anni, infatti, ogni volta che egli lasciò la sua sede di Harrar per scendere baldanzoso nell'Ogaden, dovette sempre ritornare battuto. La prima prova dell'attività di Gabrè Mariam si trova in una lettera da lui inviata nella prima decade del maggio '31 ai consoli italiano, francese e inglese di Harrar. In tale lettera, Gabrè Mariam faceva sapere che, essendosi rifiutate le tribù dell'Ogaden di pagare i tributi e muovendosi continuamente guerra l'una all'altra, egli era costretto a scendere con un esercito nella piana per ristabilire l'ordine e la pace; chiedeva, perciò, che tutte le tribù soggette ai tre Pae si, che eventualmente si trovassero per pascolo in territorio etiopico, fossero richiamate entro i confini prima del 22 giugno. La cosa non apparve troppo chiara, tanto più che il fitaurari Tafassè, capo dell' Ogaden, manifestava propositi di vendetta contro le cabile sòmale che si erano rifiutate di festeggiare l'incoronazione del Negus e che pareva accertata la intenzione di Gabrè Mariam di istituire posti armati confinari di fronte a quelli italiani nell'Ogaden. Venne, perciò, una richiesta di chiarimenti e Gabrè Mariam fu chiamato ad Addis Abeba, onde dare le più ampie assicurazioni. Queste concesse, dopo un'ispezione fino a Dagabur, il degiac parti il 20 luglio 1931 alla testa dei suoi uomini scendendo lungo la riva sinistra dell'Uebi Scebeli. In breve, però, la spedizione assunse un aspetto imponente per la partecipazione delle forze del Baie e del Sidamo, che seguivano la riva destra dello Scebeli. Apparve allora come la componessero circa tredicimila uomini e come le sue intenzioni fossero chiaramente aggressive. Il 16 settembre, infatti, mentre il fituararì Tafassè si accampava di fronte al posto italiano di El Furugh, le forze di Gabrè Mariam mettevano le tende a poca distanza da quello di Mustahil ed il degiac faceva sapere di voler proseguire fino a Belet Ueri « per discutere del confine con il Governo italiano Alla frontiera somala Apparve chiaro che il deggiac minacciava di invadere il nostro territorio, certamente d'accordo col negus c approfittando della sorpresa dei nostri presidi. La risposta italiana fu immediata ed energica: concentramento di tutte le allora scarse forze militari a Belet Uen, ordine di opporsi con le armi a qualunque sconfinamento, perentoria protesta ad Addis Abeba. Il negus capi subito che il colpo era andato male e ordinò a Gabrè Mariam di far macchina indietro. La spedizione dovette, a malincuore, rientrare ad Harrar. Dei propositi di pacificazione che lavevano apparentemente consigliata non si vide naturalmente traccia alcuna. Unico risultato fu la costituzione di posti armati lungo tutto il confine dvenfbdlslIsdccdbdMaIgddlDpmdav con una razzia e controrazzia di pastori, per sedare la quale il fi taurari^ Mezlechià scese nel paese a Bur Dodi, Danane, Dagamedò, Gallalo, El Der, Lamma Scillindi. L'Italia, ad ogni modo, sapeva ormai con chi aveva da fare nell'Harrar e nell'Ogaden. Dopo il fallimento dell'impresa pareva che Gabrè Mariam fosse caduto in disgrazia. Invece, ecco, alla fine del giugno '32, il Negus affidare al degiac la guardia di Ligg Jasu. Gabrè Mariam divenne, così, il carceriere crudele dello spodestato imperatore che fu rinchiuso, come è noto, nella gabbia del Gara Mulata, poco distante da Harrar. L'incidente di Ual Ual Il degiac si vedeva cosi posta fra le mani un'arma potente contro il Negus da cui la sua potenza traeva nuovo vigore. Memore dell'instlccesso dell'anno precedente egli, però, nel '32 non prendeva iniziative militari. Si preoccupava soltanto di rendere più armate le sue truppe e di migliorare la rete stradale fra Harrar, Giggiga ed i centri dell'Ogaden: una lenta, ma indiscutibile preparazione bellica. La prova, del resto, lt s ij nel anno in cui s incomincio degli Sciaveli, dove signoreggiava il sultano Olol Dinle-, più tardi efficace e leale collaboratore delle nostre truppe, I rapporti fra i due furono subito aspri, si venne a battaglia ed il sultano sconfitto e disarmato riparò in Somalia. Mezlechià ne chiese l'estradizione e lo sostituì nel comando degli Sciaveli ccn il fedele Maometto Hassan It, ma Olol Dinle tornò improvvisamente nelle sue terre, riunì i fedeli e, insensibile ai lusinghieri richiami del nemico, riprese la lotta con tale violenza che Mezlechià dovette battere in ritirata e la bandiera abissina fu ammainata dal fortino di Bur Dodi. Allora entrò in scena Gabrè Mariam stesso, giacchè la cosa era attentamente seguita dal Negus. Il deggiac scese con soldati, mitragliatrici e un cannone a Bur Dodi, da dove tentò di provocare incidenti con le truppe confinarie italiane, ma senza risultato. Olol Dinle, intanto, continuava a guerreggiare, e chi le pigliava erano gli armati del possente deggiac Gabrè Mariam tentò allora di tirarlo in trappola invitandolo a parlamentare, ma il sultano non ne volle sapere. Ci si accorse intanto che il Governatore si preoccupava, più ancora che di combattere, di arruolare soldati, di cercare spie sòmale e di studiare il modo di attaccarci in prosieguo di tempo. L'episodio più clamoroso fu provocato dal deggiac un anno dopo: a Ual Ual. Gabrè Mariam aveva adempiuto alla sua missione provocatoria è poteva dire ultimata la organizzazione del suo esercito ascendente ormai a 15.000 uomini. Al profilarsi della guerra, le sue divergenze di vedute con Wehib Pascià ed i due scacchi subiti nelle spedizioni dell'Ogaden l'aveva- , però, posto in poco felice luce dinanzi al Negus, il quale, desiderando tra l'altro affidare un alto posto al fido Nassibù, nel maggio del 1935 lo destituì. Gabrè Mariam non potè, cosi, all'inizio, combat tere quella guerra di cui era sta to il provocatore principale e più accanito. La disfatta di Ras Desta \_ presentò l'occasione di riprendere il comando. Intanto le sorti di Tafari precipitavano. Gabrè Mariam finse di accettare l'invito a sottomettersi lealmente rivolto dall'I talia a tutti i capi abissini dopo la conquista di Addis Abeba, ma cercò nello stesso tempo di riprendere le operazioni centro i nostri soldati, iniziando una disperata guerriglia, e mentre giurava fedeltà all'Italia, attaccava di sorpresa nostri reparti, fino a quando, scaduto l'ultimatum di Graziani, non veniva la resa dei conti. Non molto migliore è la figura di Beienè Mered e degli altri capi. Anch'essi si erano sottomessi all'Italia ed avevano tradito unendosi di nascosto alle forze ribelli di ras Desta e tentando di sor prenderci. La punizione — solen nemente promessa da Graziani ai traditori — è stata quindi non solo meritatissima ma inevitabile, La Legazione dell'Iran a Roma estende la giurisdizione all'A.0.1 Roma, 22 notte. Il Governo imperiale deU'Iran ha deciso di affidare la 'cura de: gli interessi dei sudditi iraniani in Etiopia alla sezione consolare della Legazione dell'Iran in Roma, la quale pertanto estende la sua giurisdizione al territorio dell'A frica Orientale Italiana. L'attentato di Addis Abeba Ritmo normale e tranquillità in tutto l'Impero Addis Abeba, 22 notte. Le condizioni dei feriti nell'incidente del giorno 10 segnano un sensibilissimo miglioramento, tanto per il Viceré quanto per il generale Liotta. Nella città la vita si svolge con il suo ritmo normale e l'attentato non ha avuto nessuna ripercussione nelle regioni dell'Impero, dove le popolazioni sanatorie aitavo* campestri od occupati nella costruzione della rete stradale. (Stefani). GABRE' MARIAM