DUEMILA CONTRO DUECENTO

DUEMILA CONTRO DUECENTO Lrt GIORNATA DI URETA' MARINI*. DUEMILA CONTRO DUECENTO (DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) GONDI (Arussi Occidentali), Gennajo. Lo svolgimento dei fatti a Uretà Mariàm è raccontato dall'ufficiale superstite, il Capo-manipolo Pierino Roberti; il quale, con fortunata iniziativa e molta abilità ed energia e coraggio, ricondusse ad Hadama i superstiti di quella giornata del 3 Decembre, cosi aspramente combattuta. Il racconto del Roberti è militarescamente succinto e nudo. Rielaborandolo, quindi mettendoci del mio, certo io lo guasterò. Quando la colonna del Console Generale Mischi si accingeva a tornare alle basi, lungo la ferrovia, Hadama, Moggio, Gli Addàs, ho già esposto com'erano stati stabiliti il presidio di Sirie, con la Banda indigena irregolare di Moggio, del Centurione Luciano Gavazzi, e il presidio avanzato di Uretà Mariàm. Vediamo ora il séguito. Le difese Uretà Mariàm è, anzi era, poiché oramai distrutta, a eccezione della chiesa, e incendiata' e rasa al suolo, era una frazione staccata di Uretà. Di regola, in questo paese, i nomi, come appunto Uretà, insieme che il villaggio, un centro abitato, indicano la località, genericamente; e nella località, piuttosto che un villaggio, si hanno diversi sparsi aggregati di abitazioni, gruppi di tucùl, di maggiore o minore entità. Uretà, dunque: la località, il villaggio, altri numerosi villaggi nella località. E tra questi, poco distante dal villaggio propriamente di Uretà, sulla sinistro del Galatà, su una sorta di dominante terrazza, Uretà Mariàm; che prende nome dalla chiesa, chiesa copta, sita al centro del villaggetto, e dedicata a Maria. Il Capo-manipolo Alessandro Magni, già ufficiale d'Artiglieria, e comandante una sezione di cannoni della Divisione di Camicie Nere Tevere, ora comandante della Banda indigena irregolare di Hadama, era stato dislocato, com'ho spiegato, con la sua banda, a presidiare Uretà Mariani. E la posizione era stata scelta per ragioni politiche e militari .insieme; per riguardo di quest'ultime, in quanto la località si prestava agevolmente a difesa. Il Magni disponeva di centoquarantacinque fucili, della sua banda, con un ufficiale in sottordine, l Capo-manipolo Roberti, e due sottufficiali, il Caposquadra Mario Allasia e il Sergente-maggiore Nori; e con un uachìl — fiduciario della banda, o capobanda indigeno — Tajé Molla, e un sottocapo, Nagàsc Johannes. Inoltre disponeva di cinquantaquattro armati, del Basciàl Bussèt, di Uretà, aggregati alla banda dopo la nostra occupazione di Uretà, pochi giorni avanti; e poteva anche radunare alcune diecine di altri armati, che il Grasmàc Andar ghie, pur alora sottomesso, aveva garantito, all'occorrenza. Per ciò che concerneva la sistemazione difensiva, l comandante del presidio aveva usufruito del muretto di recinto della chiesa, che comprendeva anche un gruppetto di contigui tucùl e l'annesso camposanto. Ma siccome questo muretto di cinta presentava discontinuità e interruzioni, e insieme troppo lungo sviluppo, proporzionatamente alle forze del presidio, il Magni sì preoccupava di restringerne la cerchia, escludendo il camposanto. E lavori erano in corso. Il presidio disponeva anche di due armi mitragliatrici, due mitragliatrici leggere Breda, o come adesso si dice, fucili mitragliatori. Tra il 1" e il 2 Deoembre, due informatori, tale Atò Uadi e Chebbedè Lemma, riferivano al. Magni che oltre duemila armati ribelli, e forse tremila, si accingevano ad attaccare Uretà Mariàm. E speci ficavano ch'erano condotti dai ben noti, cioè infami Negadràs Bachete, in persona, e Cagnasmàc Hailé Abbamar8à; e con i cagnasmàc Abebé Uoldesamàt, Debbelà, Zollala Filati, e il Negadràs Chiflé, e i fitaurariHailé Burrù, Cassa,.Mcissié. L'eroe Magni ebbe forse torto di curarsi mediocremente di tali informazioni. L'ordine ricevuto dal generale Mischi era preciso: il presidio di Uretà Mariàm sarebbe dovuto ripiegare su Sirie, su quell'altro nostro presidio viciniore, qualora stesse per essere attaccato da forze soverchienti. Ila Magni non si pose nemmeno l'alternativa, se ritirarsi o no. E per chi le cono sceva, questo appare perfettamen¬ te consone alla sua natura e al suo stile. Ripiegare, lui, Magni, ritirarsi davanti a un nemico pur tanto e tanto più numeroso e forte, sottrarsi al combattimento f Era un'idea che non entrava nel suo cervello; una risoluzione ch'egli, nonché accettata mai, non prenderebbe nemmeno in considerazione. E meno che mai, se anche at'essc potuto sapere in precedenza che la sua sorte, nell'atto, era prescritta. Lo vedo, caro Magni, lo rivedo. Figìira maschia, saldamente membruto nella persona, ed una chiara faccia aperta, dalle fattezze vigorosamente rilevate, dalla bocca carnosa, dalla larga fronte ossuta, dagli occhi scintillanti: occhi espressivi di fresca e ridente giovinezza, ancora nell'età adulta, e d'intelligenza e di focoso entusiasmo. La sita parlata era clamorosa piuttosto die castigata, esuberante come tutto il suo temperamento. Viveva e lavorava in Egitto — non so se ci fosse nato; — il padre, professionista, occupava una carica elevata nell'amministrazione reale egiziana. Lui era veterano della grande guerra, avendo combattuto come ufficiale di complemento d'Artiglieria da montagna. Ricordo: lo conobbi ad Alessandria d'Egitto, nell'Ottobre del '35: io, di passaggio, diretto in Somalia, per la via del Sudan, dell'Uganda, del Chenia; lui, che aveva presentato domanda di volontario per quest'Affrica Orientale, e aspettava di partire da un giorno all'altro. Aspettava, con un'impazienza febbrile; e imprecando pittorescamente alle lungaggini burocratiche — della gente comoda, — della gente sempre seduta, — degl'invariabili imboscati di tutte le guerre: — quelli che non abbiamo mai e poi mai veduti là dove s'arrischia la pellaccia; ma che, manco a farlo apposta, te li ritrovi, con un massimo di sussiego e pretensione, dovunque sia una grassa prebenda da pappare. Cerammo incontrati una sera, con alcuni amici del Giornale d'Oriente. Dicci minuti dopo, eravamo amiconi. Ci eravamo capiti: anche — né lui, in ispirito, né io vivente, ci peritiamo confessarlo, — anche davanti a una buona bottiglia di rosso vino italiano, da cui vaporavano i ricordi della guerra combattuta, da cui sprizzava l'augurio per la nuova guerra, cui ci preparavamo. La sera che la radio diffuse la notizia delle nostre truppe che avevano occupato Adua, lui corse a cercarmi, fremente. E mi gridò la notizia da un capo all'altro della sala coltrale dell'albergo; mentre la gente compassata, che sorbiva l'aperitivo, affondata nelle pantagrueliche poltrone, come in un semicupio, levava la testa, stupita e un po' scandalizzata, per quell'energumeno che s'era precipitato dentro', e vociava a quel modo strepitoso. Allora scattammo insieme, tuoìiammo a due, da un capo all'altro della sala, che ne tremarono i vetri: — Evviva l'Italia. E corremmo ad abbracciarci. Ci riabbracciammo poi a Mogadiscio, circa un anno dopo, nel settembre od ottobre scorsi. Lui partiva, par raggiungere la sua Tevere. — In bocca al lupo, Magni. Crollò le spalle: — Oh, i ribelli! Quattro scalzaccii, che mi fanno un baffo ai... Non Magni sarebbe arretrato all'annunzio di duemila, tremila attaccanti. E non stupisco abbia esclamato all'annunzio, come si ri ferisce: ■ — Soltantot Abbiamo pallottole per molti più. Questo il suo torto: eccessiva fiducia in se stesso, eccessivo ardi mento e slancio, cioè temerità. Povero bravo Magni: era una Carni eia Nera sul serio. Uattacco Quella notte, dal 2 al 3 Deccmbre, se avvertimenti fossero occorsi ancora, il presidio di Uretà Mariàm n'ebbe un altro, gravissimo, decisivo. Quel greco Giovanni Tamatiadis, che ho già avuto occasione di nominare in una passata corrispoìidenza, proprietario di un mulino appunto presso Uretà Mariàm, venne a rifugiarsi in tutta 'fretta dentro la cinta della nostra difesa, con la moglie ed un bambino, e portando con sè una ventina di suoi armati fidati. E attestava che i ribelli stavano approssimandosi, in forze ingentissime, e alla prima alba avrebbero attaccato. Magni provvide ad accelerare, con quanta possibile alacrità, i lavori di rafforzamento del recinto; e fece riparare dentro la chiesa, nonché la moglie e il bambino del greco, donne e bambini del luogo. E attese sereno gli avvenimenti. Alle cinque e mezzo, del 3 Decembre, che appena l'oriente schiariva, fucileria intensa dal lato meridionale del recinto. E nell'incertezza crepuscolare, veniva avanti una massa d'armati, sventolando una nostra bandiera tricolore e gridando per multiple voci: — Banda Moggio. Banda Moggio. I ribelli cercavano d'ingannare i nostri, mostrando d'essere la nostra Banda indigena irregolare di Moggio, quella del Centurione Gavazzi, dislocata a Sirie, e come se venisse al soccorso. Ma il trucco era troppo grossolano. E i nostri accolsero gli assalitori con nutrite scariche di fucileria. Ma gli assalitori erano in numero strabocchevole. Se non proprio dai duemila ai tremila preannunciati, certo sorpassavano i mille, forse s'aggiravano sui millecinquecento. Ed estesero l'attacco , dal nostro fronte meridioìxalc, al fronte orientale e a quello occidentale. E progredivano specialmente sul fronte orientale, di là cioè donde il Sole nascente sfolgorava a' nostri negli occhi, e li abbagliava. Fin dai primi momenti del combattimento, era caduto colpito a morte Z'Uachll Tajé Molla, il fiduciario della banda. Con lui. parecchi altri colpiti, dei gregari della banda. Le pallottole gragnuolavano contro il nostro recinto, e lo radevano micidiali. Magni si prodigava, stoicamente, magnificamente incurante del pericolo. Trasportava egli stesso uno dei fucili mitragliatori, a volta a volta, nei punti più minacciati; e personalmente lo manovrava. All'altra mitragliatrice si alternavano il Capo-manipolo Roberti e i due sottufficiali, il Caposquadra- Allasia e il Sergente-maggiore Nori. Quando gruppi di nemici incalzavano dappresso al recinto, i quattro li tempestavano con le bombe a mano. E anche quel Greco, il Tamatiadis, dimostrava uno straordinario spirito di combattività e un fegataccio. Puntava una sua carabina, che a ogni colpo metteva un nemico a terra, quasi immancabilmente; e dirigeva sapientemente il fuoco dei suoi armati. . Mario Basii

Luoghi citati: Adua, Alessandria, Chenia, Egitto, Italia, Mogadiscio, Moggio, Somalia