Lettera inutile di Enrico Emanuelli

Lettera inutile Lettera inutile La brutta giornata, la neve ed il freddo; le vane paròle delle e le inconclusive risposte ricevute ; la stanchezza per aver troppo camminato in vie sconosciute; la triste sera trascòrsa da un caffè all'altro ; tutto insomma gli pesava addosso come una una pena e lo sospingeva verso l'albergo con una voglia animalesca di riposo e di sonno. La porta, misera e sgangherata, era chiusa : suonò e attese impaziente lo scatto della serratura. Una sola lampada illuminava l'atrio, piccolo e puzzolente, con quattro poltrone di vimini attorno ad un tavolino, il banco della cassa, la tabella delle chiavi con Io smalto delle targhette ingiallito e rotto. Su una branda dormicchiava il portiere; e quel « buona notte » detto con la voce pastosa del sonno gli sembrò un'offesa, tanto il tono era infingardo e ostile. Non rispose ed avanzò verso la scala, dando un'occhiata al casellario della corrispondenza. Nella casella M v'erano due lettere, ma non sue. D'altra parte non ne aspettava e vi aveva guardato spinto da una speranza ingiustificata. Si voltò un attimo ad osservare il portiere che già aveva ripreso a dormire, tenne le due lettere in mano e cominciò a salire le scale. La camera era fredda, i mobili antiquati e troppo grandi ingombravano. Sedette sull'unica seggiola e lesse gli indirizzi, Soltanto allora cercò di capire perchè avesse preso le due lettere e si arrabbiò. Pensava che poteva scendere adagio per rimetterle nella casella ; ed alla peggio, se il portiere lo avesse udito, scusarsi dicendo ch'era stato un errore. Su una busta c'era scritto : « Ill.mo cav. Angelo Molletta » ; sull'altra « Signor Oreste Morano ». Comincio a strappare lentamente il bordo superiore della prima, con cura, quasi toccasse un oggetto prezioso, levò il foglio e lo aprì, improvvisa mente libero dai rimorsi. Era una lettera di poco conto, il direttore d'una ditta di pellami 1» tono asciutto informava il Molletta d'aver sottoposto la sua richiesta di percentuali al presidente e terminava dicendo di aver pazienza e fiducia. Mise nella tasca della giacca foglio e busta poi, velocemente, stracciò la seconda. Aveva tra le mani un foglietto azzurro ricoperto da una scrittura infantile e disuguale, che rivelava sùbito la mano non abituata alla penna. Senza volerlo, quasi aggiungesse alla sua curiosità un interesse ben più profondo e maligno, lesse l'ultima rigfa: «Baci la tua Lisetta » e vide sotto un ghirigoro, uno svolazzo che terminava con una macchia. Gli pareva ora che quella lettera fosse capitata tra le sue mani in maniera onesta, e prese a leggerla pacatamente, immemore d'ogni cosa « Oreste, io ti ho scritto tante volte e aspettato sempre. Ti scrivo per l'ultima volta e se non vieni domanidalle undici e mezzo a mezzogiorno, al solito angolo di via Carducci, sai, davanti al caffè, non ti scriverò più Sono uno sciocca, lo so. Ma tu se ti ricordi devi venire, ti ho tante volte aspettato e adesso mi fai perdere tutte le speranze. E' come se fosse una volta per me. ho tutto dimenticato e non piango nemmeno più. Vieni t'aspetto mezz'ora, non mancare. Baci la tua Lisetta >. Teneva gli occhi sul foglio, senza trovare un pensieio. Almeno avesse aperto con cautela la busta, avrebbe potuto rimet tervi il foglio e riportarla anco ra nella casella M. Adesso non c'era più nulla da fare, conveni va mettersi a letto e pensare ad altro. Le lenzuola erano gelate, il cuscino troppo basso ed anche quella sola coperta gli pareva non bastasse. Spense la luce perchè oramai voleva dormire c dimenticare la stupidaggine delle due lettere. Invece, prima su un fianco, poi sull'altro era come avesse disimparato a dormi re e l'eco di certe parole gli dava fastidio. « Chi sa dov'è la via Carducci, povera e disgraziata Lisetta. Ma se tu ti ricordi devi venire ». E lui di qualcosa siricordava, ma non di Lisetta, d'altre ragazze che forse scrivevano allo stesso modo. Finalmente tutto si fece labile ed inconscio : cominciò a dormire. * * . . Si lavò con cura, si pettino bene e poi si scrutò nello spec-; chio come quando andava agli appuntamenti con le ragazze. Cercava di dimenticare quello che aveva fatto, ma la via Carducci, il caffè e quel nome — Lisetta — e Oreste erano cose che oramai stavano nella sua memoria, ostinatamente. Fece la valigia, scese per pagare il conto e gli pareva che sarebbe bastato uscire dall'albergo, camminare un poco per farla finita davvero. Invece qualcosa lo tradì. Mentre la padrona contava il suo danaro, domandò : — Il signor Morano è già arrivato? — ; e la donna come un automa, tanto era sicura e serena, rispose: — Sì, questa notte. 11 si gnor Morano viene tutti i gio veli, per il mercato —. Fece un piccolo cenno del capo come per dire che aveva capito, prese il resto dal piattello di vetro ed uscì. Non c'era più il brutto tempo del giorno precedente ; ma il cielo era egualmente scuroi mi¬ nl'lotesotolasimde ducorecaatetìmlozmcLgEatovqaestesdcCinrinvacmeqgcpladlcqmgsocLerdgrscvldvdvdvvsicctqcstfcvspztvcmpnlpsaq l nacciava pioggia e forse, per 'aria asciutta e rigida, neve. Alora, come se la realtà ostilmene riprendesse a pesargli addos so, 1 inutilità del suo viaggio gii ornò ad essere chiara. Più nula lo tratteneva nella città, desiderava andarsene con il primo treno. Andò alla stazione, depositò la valigia, tornò fuori e pareva che da tutti quei passi, da tutti quei gesti attendesse una decisione che non aveva il coraggio di prendere. Fermò un tassì, disse d'andare in via Carducci, spiegando che vi doveva essere un caffè all'angolo. Il ragazzo che stava al volante, svelto ed intelligene, rispose d'aver capito e riparì con piglio gioioso. Appena la macchina si mosse guardò l'oroogio, vide che le undici e mezzo erano già passate da qualche minuto e si rammaricò, proprio come lui fosse stato l'atteso e la Lisetta una sua vecchia compagna. Allora gli venne facile un Eensiero; e si disse che leavrebe parlato con tono persuasivo, affettuosamente, le avrebbe detto qualcosa di gentile e poi la vrebbe convinta a dimenticare quell'Oreste Morano o, almeno, a fingere di non ricordarlo più ed attendere che fosse lui a farsi ancora vivo. Questa sua parte di intermediario, di vecchio c saggio amico gli piacque; e Io distrasse la voce del guidatori che gli diceva : — Ecco la via Carducci, il caffè è questo —, indicando con la mano un povero locale da suburbio, con una insegna verde ed antiquata. Appena fu sul marciapiede vide una ragazza ferma proprio all'angolo e capì con certezza che quella era la Lisetta. Camminò per qualche minuto in su ed in giù, mancava ancora un quarto al mezzogiorno e questo gli dava la sensazione che non ci fos^e premura.- La ragazza portava un impermeabile di tela cerata nera, e così il cappello, dall'ala bassa dietro, rome quello dei marinai. Piccola e magra, col volto pallido che spiccava tra quel nero dell'abbigliamento come un colpo di biacca, si appoggiava ora su una gamba, oia sull'altra, ma nulla diceva ansia o dolore. Decise d'andarle incontro e lo fece sorridendo. — Lei è la signorina Lisetta? —, e subito aggiunse, per prevenire la domanda : — Sono mandatola Oreste —. Allora la ragazza, punta da una illogica curiosità, tutta femminile, rispose. — Ma lei come ha latto a capire ch'ero io? —'-, e parjo vivacemente quasi fosse quella l'unica quistione da risolvere. Guardava ora quel volto mal dipinto, dove ogni trucco restava soltanto una intenzione, e vedeva che gli occhi erano spenti, vuotati d'ogni spiritualità, grandi ed estranei sotto la fronte; vedeva che la bocca si schiudeva più che per malizia, per lo stupore ed i denti affioravano irregolari ; vedeva i due orecchini, due grosse perle false comperate sul banchetto; e tutto gli si confuse nella mente, quanto aveva fatto la sera precedente, quello che aveva pensato in tassì, ed anche la Lisetta gli apparve come una incerta figura. Avevano cominciato a camminare, mentre egli spiegava come avesse ricevuto da Oreste l'incarico di venire all'appuntamento; e, spinto dal silenzio impacciante di lei, si lasciò trascinare a dir cose che non avrebbe mai voluto dire. — Ecco, l'Oreste è venuto questa mattina in città, ma è ripartito prima delle undici. E allora sono venuto io perchè lui non voleva lasciarla qui ad aspettare per niente —. La ragazza aveva sino ad allora risposto con qualche sì, o con brevi sospiri; ma al sentire di quell'attenzione, di quella premura, alzò il capo come in cerca d'una forza che le mancava, e domandò : — Allora quando verrà? —. Non sapeva che cosa rispondere, e quegli occhi spenti gli davano fastidio, sarebbero stati meno imbarazzanti se li avesse veduti vivificati dall'odio. — E' per questo che sono mandato dall'Oreste rispose, senza sapere come avrebbe continuato. La ragazza si era di nuovo messa al suo fianco, taciturna e passiva, già rassegnata, pronta alle lagrime. — Stia a sentire, signorina, riprese a dire. L'Oreste è partito per la Sicilia, starà laggiù una ventina di fiorni perchè ha degli affari, 'oi, appena tornerà, scriverà lui per primo e allora vi incontrerete —. Ebbe la sensazione d'aver detto parole incomprensibili, d'aver parlato ad una sorda, tanto la Lisetta era rimasta tranquilla. Stava perdendo la calma, ed aggiunse con tono nervoso : — Non è contenta? Adesso la ragazza gh sorrideva, cantilenando sì, sì e grazie. Poi disse : — Ma l'Oreste non sa il mio nuovo indirizzo. Glie lo dia lei, abito in via Mentana, numero 40. — Egli lo scrisse su un foglietto del suo notes, poi guardò l'orologio e finse d aver fatto tardi. Si salutarono amichevolmente: la Li; setta tornò verso il caffè, lui prese un tranvai e andò alla stazione. Attese due ore e quando il treno si mosse, aperto un finestrino, buttò il foglio con l'indirizzo della ragazza. Le aveva dato venti giorni di pace e non voleva pensarci più. Enrico Emanuelli

Persone citate: Morano, Oreste Morano

Luoghi citati: Oreste, Sicilia